Anche i ricchi piangono
Il film di Lapo Elkann
Quando Lapo Elkann finì in ospedale, la prima reazione fu
quella di ritenere la famiglia Agnelli proprio sfigata. La seconda di pietà
verso un giovane, tutto sommato simpatico: un bambacione, certo ricco, ma
finito in un brutta storia. La terza, non nostra, ma colta in giro: “ è la solita
storia, questi (i ricchi) pur avendo tutto, vogliono provare tutto…”. La
quarta, sentita al Bar Sport, infieriva volgarmente sulle cattive compagnie del
ragazzo (come si diceva un volta). Infatti, come subito venne fuori su
giornali, Lapo Elkann aveva trascorso la “nottata” dell’overdose
nell’abitazione di un transessuale.
Insomma, sesso droga e rock and roll. C’era tanto materiale per un’aspra invettiva contro la corruzioni dei tempi, di quelle che piacciono tanto ai tromboni della morale.
Sì, è vero, il pesce comincia a puzzare dalla testa. Ma il problema della dipendenza da droghe, e in particolare quello dell’uso di cocaina, è ormai un problema diffuso. Tra gli sniffatori ci sono i ricchi, ma anche un ceto medio, di piccoli consumatori e spacciatori, e purtroppo molti giovani Secondo l’ultima Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze il 5,4 per cento degli italiani tra i 15 e i 44 anni avrebbe sniffato almeno un volta nella vita. Tra gli studenti si scende al 4,8, e sotto i sedici anni al 2 per cento. Mezzo grammo di cocaina costa dai 35 ai 50 euro, per una dose possono bastare 20 euro. Lo “sballo”, in fondo, è a portata di tasca…
Insomma, il giovane Lapo si trovava in buona compagnia (si fa per dire…).
Ma perché ci si droga? Tra i giovani “per provare tutto e fare tutto”, tra gli adulti, per “ricaricarsi” e in alcuni casi anche per poi arrotondare, spacciando. Inoltre sembra che la coca, ma solo in certi ambiente scelti, sia uno strumento di ricatto, controllo e ascesa sociale. Il rischio della dipendenza viene fuori col tempo, e non perdona, dal momento che si finisce quasi sempre per morire di ictus o infarto.
Se la nostra non fosse una società dello spettacolo, quel che era capitato, avrebbe dovuto far riflettere sulla sprovvedutezza di tanti giovani meno famosi, e con minori responsabilità, del manager Fiat. Per poter poi agire, potenziando la prevenzione, e dove occorra, le attività di repressione.
Ma come al solito finì tutto in chiacchiericcio mediatico: o nel romanzetto rosa (il giovane Lapo, vittima della coca, per dimenticare un amore infelice), o nell’invettiva moralistica a scelta: variante religiosa (il giovane Lapo, come un peccatore punito da Dio ); variante tradizionalista (il giovane Lapo, come prodotto di una classe dominante da kali-yuga); variante laica (il giovane Lapo, come traditore della vera cultura di impresa: quella che impone la nanna alle 20 e la sveglia alle 6).
Per capire i problemi delle dipendenze, consiglio sempre di rivedere un vecchio film con Jack Lemmon e Lee Remick, I giorni del vino e delle rose. In quel film, che narra la storia di due alcolizzati, si riporta il problema della dipendenza a qualcosa di profondo che corrode dal di dentro e da sempre l’uomo: una cieca volontà di autodistruzione, indipendente da ogni vincolo sociale, culturale, morale e religioso. Un male intenso che porta alla morte. E quando ci si “ammala” non bastano per salvarsi un lavoro appagante, l’amore sincero, e lo stesso desiderio di smettere. Il film non ha lieto fine: a un certo punto si “ferma”, tecnicamente termina, lasciando però le cose, come sospese, al di là del bene e del male.
Il succo de I giorni del vino e delle rose è che per contrastare il problema delle dipendenze non servono il moralismo da quattro soldi, o peggio, il buonismo un tanto al chilo. Certo, va fatto tutto il possibile sul piano della prevenzione medica e psicologica. Il segreto però è aiutare senza la pretesa di giudicare e magari di risolvere per sempre un problema, che in realtà è interiore, e spesso impenetrabile: molte storie individuali dei pazienti non sono a lieto fine, e quel che peggio, è che legioni di psicologi e sociologi non hanno tuttora capito perché.
Ora Lapo è “ritornato”, tra i lampi dei flash dei fotografi e i sorrisi malandrini delle modelle, ma, francamente, è difficile dire come finirà anche il suo il film…
Insomma, sesso droga e rock and roll. C’era tanto materiale per un’aspra invettiva contro la corruzioni dei tempi, di quelle che piacciono tanto ai tromboni della morale.
Sì, è vero, il pesce comincia a puzzare dalla testa. Ma il problema della dipendenza da droghe, e in particolare quello dell’uso di cocaina, è ormai un problema diffuso. Tra gli sniffatori ci sono i ricchi, ma anche un ceto medio, di piccoli consumatori e spacciatori, e purtroppo molti giovani Secondo l’ultima Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze il 5,4 per cento degli italiani tra i 15 e i 44 anni avrebbe sniffato almeno un volta nella vita. Tra gli studenti si scende al 4,8, e sotto i sedici anni al 2 per cento. Mezzo grammo di cocaina costa dai 35 ai 50 euro, per una dose possono bastare 20 euro. Lo “sballo”, in fondo, è a portata di tasca…
Insomma, il giovane Lapo si trovava in buona compagnia (si fa per dire…).
Ma perché ci si droga? Tra i giovani “per provare tutto e fare tutto”, tra gli adulti, per “ricaricarsi” e in alcuni casi anche per poi arrotondare, spacciando. Inoltre sembra che la coca, ma solo in certi ambiente scelti, sia uno strumento di ricatto, controllo e ascesa sociale. Il rischio della dipendenza viene fuori col tempo, e non perdona, dal momento che si finisce quasi sempre per morire di ictus o infarto.
Se la nostra non fosse una società dello spettacolo, quel che era capitato, avrebbe dovuto far riflettere sulla sprovvedutezza di tanti giovani meno famosi, e con minori responsabilità, del manager Fiat. Per poter poi agire, potenziando la prevenzione, e dove occorra, le attività di repressione.
Ma come al solito finì tutto in chiacchiericcio mediatico: o nel romanzetto rosa (il giovane Lapo, vittima della coca, per dimenticare un amore infelice), o nell’invettiva moralistica a scelta: variante religiosa (il giovane Lapo, come un peccatore punito da Dio ); variante tradizionalista (il giovane Lapo, come prodotto di una classe dominante da kali-yuga); variante laica (il giovane Lapo, come traditore della vera cultura di impresa: quella che impone la nanna alle 20 e la sveglia alle 6).
Per capire i problemi delle dipendenze, consiglio sempre di rivedere un vecchio film con Jack Lemmon e Lee Remick, I giorni del vino e delle rose. In quel film, che narra la storia di due alcolizzati, si riporta il problema della dipendenza a qualcosa di profondo che corrode dal di dentro e da sempre l’uomo: una cieca volontà di autodistruzione, indipendente da ogni vincolo sociale, culturale, morale e religioso. Un male intenso che porta alla morte. E quando ci si “ammala” non bastano per salvarsi un lavoro appagante, l’amore sincero, e lo stesso desiderio di smettere. Il film non ha lieto fine: a un certo punto si “ferma”, tecnicamente termina, lasciando però le cose, come sospese, al di là del bene e del male.
Il succo de I giorni del vino e delle rose è che per contrastare il problema delle dipendenze non servono il moralismo da quattro soldi, o peggio, il buonismo un tanto al chilo. Certo, va fatto tutto il possibile sul piano della prevenzione medica e psicologica. Il segreto però è aiutare senza la pretesa di giudicare e magari di risolvere per sempre un problema, che in realtà è interiore, e spesso impenetrabile: molte storie individuali dei pazienti non sono a lieto fine, e quel che peggio, è che legioni di psicologi e sociologi non hanno tuttora capito perché.
Ora Lapo è “ritornato”, tra i lampi dei flash dei fotografi e i sorrisi malandrini delle modelle, ma, francamente, è difficile dire come finirà anche il suo il film…
Carlo Gambescia
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