Profili/1
Pierre-Joseph Proudhon
Per chi voglia avvicinarsi a un classico del pensiero
sociale, consiglio la lettura di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865). Si può
iniziare da "Che cos'è la proprietà?" (1840) per finire con "La
giustizia nella rivoluzione e nella chiesa"(1858), non trascurando però il
suo "Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della
miseria" (1846). Purtroppo bisogna andare in biblioteca, molte sue opere
non sono tradotte in italiano, o comunque tradotte male, oppure è necessario
cercare aiuto su Internet.
A differenza di quel che comunemente si ritiene Proudhon,
non è un pensatore anarchico e nemico di ogni ordine sociale: è invece un
"sociologo" ante litteram, molto concreto e con una visione
pluralistica della società. Lo Stato per Proudhon è un gruppo sociale come
tanti altri, che però nei secoli moderni, per la prima volta nella storia, è
riuscito ad avere la meglio su tutti gli altri gruppi sociali. Ma ciò non
significa che l'ordine sociale sia inutile o pericoloso: per Proudhon giustizia
e moralità sono insite (o "dormienti") in ogni gruppo sociale: vanno
perciò "risvegliate". E più si riesce a tradurle in una pratica
collettiva e quotidiana basata sulla reciprocità e sul rispetto, più il gruppo
in questione ha la possibilità di "incivilirsi". Ovviamente Proudhon
indica dei rimedi che riflettono quelli che erano i bisogni sociali del suo
tempo. E quindi sotto quest'ultimo aspetto la sua opera è invecchiata. Come è
superato certo suo tono predicatorio...
Quel che invece resta ancora attuale è la visione di una
socialità, come dire, non individualistica. Proudhon ritiene, che il lavoro
comune (inteso nel senso più ampio del termine) di più uomini, rispetto al
lavoro svolto dalla singola persona, produca un "surplus" morale, e
quindi una forza collettiva capace di far superare al "gruppo"
qualsiasi ostacolo, anche il più difficile.
Si dirà, nulla di nuovo: si tratta di un vecchio
principio, noto anche agli antichi, quello dell' "unione che fa la
forza". Certo, ma Proudhon lo elabora e sviluppa nella sue opera, come
nessun altro pensatore. E questo non è poco, soprattutto se si pensa a quanto
oggi questo principio sia poco applicato proprio nella vita di tutti i giorni...
Ecco allora un motivo in più per rileggere Proudhon.
Carlo Gambescia
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