Il libro della settimana: Carl Schmitt, Un giurista davanti a se stesso. Saggi e interviste, a cura di G. Agamben, Neri Pozza, pp.320, Euro 34,00
http://www.neripozza.it/collane_dett.php?id_coll=6&id_lib=86
Carl Schmitt è sicuramente uno dei pensatori politici più
importanti e complessi del secolo XX. I suoi innumerevoli interpreti ne hanno
riletto l'opera sotto i più diversi punti di vista. La bibliografia su Schmitt
è oggi ricchissima. Non è perciò facile dire qualcosa di nuovo o di originale
su di lui. Nemmeno a un filosofo, oggi molto citato e apprezzato come Giorgio
Agamben, che ha curato, questa notevole silloge di interviste e saggi
schmittiani.
Infatti la sua introduzione nulla toglie e nulla aggiunge
dal punto di vista critico. L'unica nota di "colore" è rappresentata
dal tentativo di Agamben di ricondurre il pensiero schmittiano, nell'alveo
della "biopolitica" (pp. 21-24), una corrente di pensiero
filosofico-politico, oggi tornata in auge.
Ora, nessuno nega la legittimità di ricostruire l'intera
storia del pensiero politico da Platone e Rawls, sotto l'aspetto del cosiddetto
controllo dei corpi esercitato dall'apparato politico. Però, insistendo troppo
sul punto specifico, come fa Agamben, si è filosoficamente alla moda, ma si
corre anche rischio di dire cose scontate. E soprattutto di ricondurre, come
accadeva ai positivisti di fine Ottocento, l'agire umano entro coordinate
estremamente rigide (la materia ieri, il corpo oggi). Inoltre, per quel che
riguarda la teoria politica schmittiana, privilegiare il presunto aspetto
biopolitico del suo pensiero significa perdere di vista l'aspetto sociologico
della sua analisi. Certo, è vero , come nota Agamben, che in Schmitt è sempre
il "politico" a decidere che cos'è impolitico. Ma è altrettanto vero,
che il politico, non può prescindere dal rapporto con l'impolitico. Dal momento
che per Schmitt, il politico, senza impolitico, finisce sempre per essere una
relazione priva di uno dei due termini. Il capo e il movimento da un parte,
senza il popolo dall'altra, non esistono e viceversa. O per dirla in termini
sociologici: senza istituzione non c'è processo sociale, e senza processo
sociale non c'è istituzione. E rappresentare questo schema sociologico solo in
termini di controllo da parte delle istituzioni del processo, significa
privilegiare, come appunto fa Agamben, soltanto una parte, e per giunta la meno
di interessante, del pensiero di Schmitt.
A prescindere da queste critiche il volume merita
comunque di essere letto perché raccoglie molto materiale biografico
(soprattutto le interviste) che se studiato attentamente, e non alla luce delle
fuorvianti e riduttive ipotesi proposte da Agamben, può offrire utili spunti
interpretativi.
Carlo Gambescia
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