I tempi brevi
della politica
della politica
Sul "Corriere della Sera" di oggi, Angelo Panebianco criticando la scarsa concretezza programmatica del centrosinistra pone, probabilmente suo malgrado, un problema politico importante, che riguarda le capacità di governo, in termini temporali, delle democrazie parlamentari. Scrive Panebianco: "I governi sono per lo più innovativi solo nei primi anni della legislatura. Dopo di che è finita, o quasi. L'ombra delle elezioni successive diventa incombente e il resto del tempo viene speso in difesa, con la preoccupazione di non disturbare alcuna lobby che conto qualcosa".
Giustissimo. Infatti il problema di fondo delle
democrazie contemporanee è che a fronte di problemi economici, sociali e
politici risolvibili, o comunque gestibili in tempi lunghi (ad esempio un
riforma della pubblica amministrazione richiede almeno, per andare a regime,
15-20 anni), i governi ( e quindi non solo quello italiano) dispongono al
massimo di due o tre anni di tempo (dal momento che i due o tre anni restanti,
sono "giocati" in funzione delle successive elezioni: non per niente i politologi parlano di un ciclo politico elettorale, che vede aumentare la
spesa pubblica prima delle elezioni, e diminuire subito dopo) . Si dirà: un
governo che restasse per lungo tempo in carica (15-20 anni) potrebbe
trasformarsi in "regime". Certo, il rischio esiste. Ma è anche vero,
che in due o tre anni non è possibile, per nessun governo, affrontare problemi
strutturali (scuola, lavoro, sanità, eccetera)
Pertanto oggi la vera questione è come coniugare la
democrazia politico-parlamentare ( la giusta alternanza tra maggioranza e
opposizione) con una gestione di lungo periodo, e soprattutto concreta, della
situazione economica e sociale.
Detto in due battute: come conciliare i tempi brevi della
politica con i tempi lunghi dell'economia e della società?
Carlo Gambescia
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