Il problema dell'acqua
In un interessante articolo apparso sul
"Manifesto" del 25-11-05,
a firma G.Ra (Guglielmo Ragozzino), si segnala il
pericolo che anche in Italia la proprietà dell'acqua ufficalmente pubblica, si
possa trasformare in privata, soprattutto in termini di gestione pratica.
Perché? Dal 1994, quindi da dieci anni, la
"mappa" dell' acqua italiana è stata ridisegnata ( sono state create
91 zone, sulla base di una siglia tecnica denominata ATO - Ambito Territoriale
Ottimale) , aprendo gradualmente ai privati, sul piano locale.
Al luglio 2004 risultava che su 38 ATO, fino a quel
momento costituite: 24 erano pubblico-private e 13 interamente pubbliche. Il
vero problema, è che con l'ingresso dei privati, si rischia di trasformare
l'acqua in merce, per giunta rara, e di conseguenza, di considerarla non un
bene comune, quale è da sempre , ma un prodotto da porre sul mercato a
pagamento. E che quindi richiede investimenti, migliorie, e purtroppo, visto
che gli investimenti "privati" vanno sempre recuperati, tariffe
elevate che non tutti possono pagare.
Karl Polanyi, sociologo, economista, antropologo, ha
scritto che nell'evoluzione del capitalismo c'è un punto di non ritorno, che
una volta superato, implica la trasformazione degli uomini e della natura in
merci.
Per quello che riguarda l'Occidente il punto di non
ritorno è stato superato da tempo, e la commercializzazione dell'acqua, che è
un fenomeno non solo italiano, non è che un ulteriore passo in avanti, piaccia
o meno, verso un mondo dove di gratuito
e di comunitario non vi sarà più nulla.
Carlo Gambescia
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