martedì 18 novembre 2025

Mutandoni, notai e piccoli peccati: le Kessler non modernizzarono l’Italia

 


Non è vero, come si legge oggi sui giornali, che le Gemelle Kessler portarono una ventata di modernità nella cultura popolare italiana.

Il modello Bluebell, che affonda le radici negli anni Trenta del Novecento, rimandava piuttosto alla Parigi godereccia degli anni poco prima e poco dopo la guerra: meta ambita dai notai e possidenti di provincia italiani in cerca di avventure.

Dietro le Bluebell non c’è un’idea di modernità ma di piccoli peccati carnali: imponenti, in abiti di scena succinti e sgargianti, impennacchiate, erano la grande attrazione del Lido di Parigi, dove si potevano esaudire i sogni peccaminosi custoditi nei piccanti calendari omaggio dei barbieri.



Le Kessler, tedesche dell’Est e catapultate nell’Italia dei Sessanta, gemelle e imponenti, entrarono di forza nei sogni degli italiani: sogni peccaminosi, come detto, in un’Italia piatta, cattolica e ipocrita. Tant’è che la stessa Rai — che aveva appena epurato Tognazzi, Fo, Rame e altri per eccesso di indipendenza — infilò alle due ballerine dei mutandoni neri per salvare la coscienza democristiana del Paese.

La modernità sarebbe arrivata dopo, sull’onda del Sessantotto e poi con le televisioni di Berlusconi. Quando nel 1975 le Kessler posarono nude per Playboy, fu come scoprire i seni di Anita Garibaldi: per l’Italia dei peccatori di provincia, più sacro di così non c’era nulla. Fu un dolore.  Proprio perché quelle foto furono un portato della modernità che nel frattempo aveva travolto tutto, comprese le gemelle. Che dieci anni prima avevano accettato i mutandoni della Rai per la serie “che tocca fa’ per campare”.



Ma il punto è un altro: le Kessler non incarnavano la modernità, la subivano. Facevano parte di un Paese che sul corpo — il loro come quello di chiunque — esercitava controllo, censura, moralismo. La vera rottura arriva quando il corpo torna a essere dell’individuo e non dell’istituzione.

C’è invece modernità nella scelta di fine vita assistita che restituisce all’individuo l’habeas corpus: alle origini della tradizione liberale. Per i moderni, l’ultima scelta — quella di morire — appartiene all’uomo e non a Dio, quando possibile ovviamente.



E modernità c’è anche nella decisione di lasciare i propri averi a un’organizzazione umanitaria come Medici senza Frontiere: una lezione di umanesimo in tempi in cui il razzismo sembra tornare a gonfiare la cresta dell’onda.

Le Kessler non modernizzarono proprio nulla; semmai blindarono l’Italia nel suo peccaminoso paradiso dei notai di provincia (con i mutandoni, però). Un paradiso diventato prêt-à-porter per lo spettatore del sabato televisivo.  Che, a conti fatti, è il vero erede ufficiale di quel notaio: stessa rassicurante mediocrità, solo con più lustrini e meno protocolli.

Per contro, oggi, scegliendo liberamente quando e come morire e lasciando il proprio patrimonio a chi, tra le altre cose, si occupa di migranti, una mano alla modernità possono darla davvero.

Carlo Gambescia

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