Detestiamo Trump. Senza mezzi termini lo riteniamo un leader autoritario, con pulsioni chiaramente illiberali, secondo alcuni addirittura fasciste, animato da una volontà di potenza che in Occidente non si vedeva dal 1945, dalla caduta di Hitler e Mussolini.
Trump è pericoloso perché, insieme alla Russia e alla Cina, rappresenta un nemico dell’Occidente e dei suoi valori illuministi e liberali.
Ora, stando ai giornali, Trump, tiranno virtuale (il suo nemico principale è lo stato di diritto), si appresterebbe ad abbattere con la forza un tiranno reale: Maduro, liquidato come presidente di uno stato narcos.
Il che, per un verso, è vero. Ma solo in parte. Perché il dittatore venezuelano, nel cuore di quell’area rosso-bruna dove estremismi opposti finiscono per toccarsi — e dove si spiega anche il sostegno di russi e cinesi — soffoca nel suo paese ogni forma di libertà in nome di un’ideologia nazional-sociale, una miscela di castrismo e peronismo. L’esatto contrario dei prestigiosi valori occidentali.
Il vero punto è che un nemico della civiltà occidentale, Trump, si prepara a colpire un altro nemico della civiltà occidentale, Maduro.
E qui nasce la crisi di coscienza del liberale: da che parte stare? Difendere l’azione di Trump? Lo stesso Trump che abbandona un’Ucraina che sogna l’Occidente al suo destino di stato satellite della dittatura russa? Che insulta, disprezza e ricatta l’Europa democratica e liberale?
Si dirà che la politica estera segue la logica degli interessi. E da questo punto di vista — al netto di eventuali tornaconti personali — Trump avrebbe più convenienza a riaffermare la propria presa su un Paese che, dalla dottrina Monroe in poi, gli Stati Uniti considerano parte naturale della loro sfera d’influenza. Allo stesso modo, l’Ucraina rientra — nelle intenzioni di Mosca — in quella russa, e l’Europa, nella visione muscolare del Cremlino, orizzonti europei che la Russia insegue almeno da Pietro il Grande.
Qui si consuma la scelta più grave, quella che distingue Trump da una lunga linea blu (nel senso di "arrivano i nostri") di presidenti americani, liberal-democratici, da Wilson a Obama e Biden.
Pertanto, al netto delle sue ciarlatanerie, se Trump dovesse “liberare” il Venezuela non lo farà certo in nome dei valori occidentali o liberali, ma in nome di un concetto di egemonia tanto ruvido quanto esplicito Un concetto che, applicato retrospettivamente alla Prima e alla Seconda guerra mondiale, avrebbe potuto condurre gli Stati Uniti ad abbandonare l’Europa prima al Kaiser, poi a Hitler e Mussolini. E forse a perdere il Pacifico, favorendo l’espansionismo del Giappone nazionalista, e secondo alcuni studiosi mezzo fascista.
Sotto questo aspetto, la crisi di coscienza di un liberale, un liberale davvero dalla parte dell’Occidente, si supera solo partendo dalla considerazione — già accennata — che Trump, come tanti altri leader autoritari o aspiranti tali, è un nemico dell’Occidente liberale, e come tale va trattato. Trump non ragiona come Churchill, che non si arrese a Hitler, in nome di un realismo politico liberale a lungo termine, che scorgeva nei valori occidentali di libertà la via maestra.
Trump va a braccetto con i dittatori: il suo non è liberalismo politico, ma un realismo, a breve termine, del mordi e fuggi, deformato, quasi criminogeno, perché il personaggio sembra godere del male che provoca. Non ha forse dichiarato di odiare i suoi nemici, a prescindere dal loro colore politico? La stoffa con cui è cucito Trump è molto più simile a quella di Maduro di quanto i suoi sostenitori ammetteranno mai.
E il popolo venezuelano? Se Trump attaccherà, verrà probabilmente liberato da Maduro. Ma non per questo sarà emancipato. Cambiare il padrone non significa cambiare il destino di un paese. Un liberale non può dimenticarlo: l’Occidente non si difende applaudendo chi rovescia un dittatore per imporre la propria egemonia, ma tenendo ferma la distinzione tra liberazione ed emancipazione. Tra puro dominio e valori liberal-democratici.
E Trump, nemico dichiarato di quella distinzione, resta comunque un nemico dell’Occidente liberale.
Carlo Gambescia




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