C’è un vizio intellettuale ricorrente, duro a morire: quello dell’accostamento meccanico, quasi pavloviano, tra conflitti diversi per storia, geografia, attori, e posta in gioco.
L’ultimo esempio è la sovrapposizione – pressoché automatica – tra la guerra in Ucraina e il conflitto israelo-palestinese, con particolare riferimento all’offensiva israeliana a Gaza. Secondo molti commentatori, soprattutto di area radicale (ma non solo), si tratterebbe di due “guerre imperialiste” – o, meglio ancora, “colonialiste” – condotte dagli “alleati dell’Occidente” contro popolazioni inermi e oppresse. Dunque da condannare in blocco.
Tesi suggestiva, ma profondamente ideologica. E, come ogni ideologia, cieca alla complessità e nemica della realtà. Peggio ancora: si tratta di una costruzione retorica che serve un fine politico preciso – l’antioccidentalismo – e che non regge alla minima analisi razionale.
Partiamo dall’Ucraina. Quella in corso è una guerra d’invasione, promossa da un regime autoritario e revanscista, quello russo, ai danni di una nazione sovrana che ha scelto, legittimamente, di avvicinarsi all’Unione Europea e alla NATO. La resistenza ucraina non è frutto di un’isteria nazionalista, ma della volontà di sottrarsi a una nuova forma di dominio imperiale. In gioco, qui, non c’è l’espansione occidentale, ma la sopravvivenza dell’Ucraina come entità politica indipendente e il rispetto delle regole minime del diritto internazionale.
Passiamo ora a Gaza. Il conflitto israelo-palestinese ha radici lontane e complesse, ma l’offensiva israeliana è oggi risposta a un attacco terroristico senza precedenti, quello del 7 ottobre, organizzato da Hamas, un movimento islamista che rifiuta l’esistenza stessa di Israele. Si può – anzi si deve – criticare il modo in cui Israele conduce le operazioni, ma non si può fingere che si tratti di una guerra “asimmetrica” tra oppressori e oppressi, come ripetono i soliti cantori della “resistenza dei popoli”. Hamas non rappresenta i palestinesi: rappresenta una visione totalitaria, reazionaria, intrisa di antisemitismo, incompatibile con qualsiasi progetto di pace. E cosa fondamentale, con la modernità occidentale.
Chi accosta Ucraina e Gaza, chi parla di “doppio standard”, chi invoca il diritto internazionale a corrente alternata, dimentica – o finge di dimenticare – un punto essenziale: l’Occidente, con tutti i suoi difetti, resta l’unico spazio politico in cui i diritti individuali, la democrazia liberale, la libertà di espressione e il pluralismo possono ancora esistere e prosperare. Difendere l’Ucraina e criticare Hamas non significa “schierarsi con l’imperialismo”, ma difendere dei princìpi minimi di civiltà. Quelli che l’ideologia antioccidentale, oggi dominante in ampi settori della sinistra radicale, e anche in certe sacche dell’estrema destra, vuole demolire.
Sì, perché accanto all’antioccidentalismo classico della sinistra, oggi troviamo un’area crescente di destra radicale – si pensi a certi movimenti “sovranisti” o “identitari” – che condivide con la sinistra estrema un rifiuto viscerale della modernità liberale, dell’economia di mercato e dell’universalismo dei diritti. Entrambi gli estremismi si incontrano sul terreno dell’odio per il “decadente Occidente liberale”. A cambiare è solo il linguaggio. L’uno parla di “imperialismo americano”, l’altro di “grande sostituzione” o “decadenza morale”.
Da qui il fronte comune che si sta delineando, nonostante le apparenze: dalla Russia di Putin al Venezuela di Maduro, passando per l’Iran degli ayatollah, la Corea del Nord, e sotto sotto la Turchia di Erdoğan, la Cina di Xi Jinping e altri paesi ancora.
Un caleidoscopio politico di regimi autoritari che non hanno nulla in comune se non l’odio per il modello occidentale. Ed è proprio questo che li rende così pericolosamente compatibili: la comune volontà di abbattere il sistema liberaldemocratico, di screditare l’Occidente, di sabotarne l’autorità morale.
In questo panorama non può mancare una figura ambigua e inquietante come Donald Trump. Apparentemente difensore dell’Occidente, in realtà fustigatore seriale delle sue istituzioni fondamentali: la stampa libera, le alleanze internazionali, l’equilibrio dei poteri. La sua ammirazione per i “leader forti”, il suo disprezzo per l’Unione Europea e la NATO, la sua incapacità di distinguere tra avversari e nemici, lo rendono un alleato oggettivo – se non consapevole – dei demolitori dell’ordine liberale. Trump non è l’America: è la caricatura populista e narcisista della sua peggiore ignoranza geopolitica, espressione estrema di un illiberalismo sovranista che nulla ha a che vedere con l’eredità dell’Occidente liberale.
Attenzione: alla retorica illiberale di Donald Trump — già di per sé preoccupante per chi ha a cuore la democrazia rappresentativa — va sommata quella dei suoi emuli europei. Prendiamo Giorgia Meloni, ad esempio, che dietro l’apparente sostegno atlantista nasconde, con sempre minore abilità, un desiderio neppure troppo celato di defilarsi dal fronte ucraino e di trattare la questione israeliana come un fastidio diplomatico di cui sbarazzarsi il prima possibile. In breve, si rischia una nuova Internazionale dell’ambiguità sovranista.
L’accostamento tra Ucraina e Gaza, insomma, non è analisi: è propaganda. È una costruzione ideologica che parte da un presupposto: l’Occidente è colpevole a priori, sempre e comunque. È questa la cifra comune dei nuovi “internazionalisti del risentimento”: Putin, Hamas, Maduro, Xi, Khamenei, Erdoğan, Kim Jong-un, poco importa. Purché siano “contro l’Occidente”.
Ecco perché bisogna rigettare con fermezza questa retorica tossica. Chi accosta ciò che accade in Ucraina con ciò che accade a Gaza non cerca la pace, né la giustizia: cerca solo un nuovo pretesto per attaccare l’Occidente, per delegittimare la sua storia, i suoi valori, le sue istituzioni. E in questo senso, il vero obiettivo non è Israele, né l’Ucraina: è la libertà. La nostra libertà.
Carlo Gambescia

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