*********************senza "metapolitica" si finisce sempre per fare cattiva "politica"*******************
domenica 19 settembre 2021
Circoncellioni e (soprattutto) altro… Scambio di idee tra Massimo Maraviglia e Carlo Gambescia
Caro Carlo, risposta sociologicamente illuminante, la tua, sullo sviluppo movimento-istituzione e sul regresso movimento-setta (sembra che tu abbia dato un carattere moderatamente valutativo alle due diverse dinamiche).
Mi domanderei se le rivoluzioni vengano tradite di più istituzionalizzandosi, e perdendo un po’ di convinzione a favore dell’ordine e della responsabilità; o trasformandosi in sette, cioè radicalizzando la convinzione, ma perdendo totalmente ordine e responsabilità.
Osserverei che, mentre della responsabilità esiste un’etica, non ve n’è una della totale irresponsabilità. Anche l’ordine più oppressivo mantiene sempre un residuo etico: il servitore dello Stato, anche di uno Stato infame, può sacrificare se stesso, crederci, e anche, se vogliamo, trovare nell’istanza etica di adeguarsi all’istituzione quello stimolo, parimenti etico, a soffrire la discrepanza tra i fini, generalmente nobili o considerati tali, dell’istituzione stessa (che rimandano alle sue ragioni fondative, cioè alla fase movimento) e la sua prassi degenere.
Il settario è invece totalmente deresponsabilizzato e ciò lo disabitua al sacrificio di sé. La verità è funzione della rivoluzione cioè del soggetto rivoluzionario, cioè infine di se stessi in quanto unici e liberi interpreti delle Scritture rivoluzionarie… Questo trasforma la mentalità settaria in una mentalità strutturalmente violenta e omicida perché capace di un mostruoso relativismo e soggettivismo; mentre lo Stato è violento e omicida accidentalmente, cioè fino a che conviene e solo nella misura in cui conviene alla sua durata.
Quando il relativismo settario si sposa innaturalmente con la ragion di Stato, si producono gli Stati-setta: nazionalsocialismo, bolscevismo e americanismo. Cioè in sostanza quel Novecento dal quale stentiamo ancora ad uscire.
(Massimo Maraviglia)
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Caro Massimo, grazie dell’interessante commento. Che, come puoi vedere, ho trasposto sul blog, per rispondere in modo articolato.
Una precisazione più per i lettori che per te. Lo schema istituzione, movimento, setta, rinvia, sebbene in forma diversa, a Weber, Simmel,Troeltsch.
Schema che però non rimanda, in termini di estensione, al concetto di stato-setta.
La setta sociologicamente parlando, rinvia a un microgruppo che si autoisola dal resto della società, per approfondire, e non sempre diffondere, in chiave esclusiva valori non condivisi, spesso invisi, socialmente. Insomma, non è un "macrofenomeno".
Esiste, ovviamente lo spirito settario, al quale probabilmente ti riferisci. Il punto è che l’istituzione, rivolgendosi a tutti, non può essere settaria, mentre il movimento o si sviluppa e si trasforma in istituzione o regredisce a setta.
Perciò non esiste uno stato-setta, ma esiste uno stato totalitario, con spirito di setta, nel senso dell’esclusivismo ideologico, che però non basta da solo, perché lo stato-totalitario impone una fitta schiera di fedeli esecutori degli ordini, dal partito unico alla burocrazia tentacolare.
La discrepanza di cui parli, tra ideali e fatti, tra responsabilità e deresponsabilizzazione, nasce proprio dalla questione dimensionale, che influisce sulla selezione delle élite, diminuendone la qualità, proprio in ragione della massa “immessa”.
Di qui, la differenza in termini di effetto di ricaduta della mobilità sociale, burocratico-partitica, tra ciò che tu chiami impropriamente stato-setta e stato totalitario. Il che imporrebbe un riflessione sul concetto di “americanismo”, che, a mio giudizio, rinvia non allo stato totalitario, ma a una forma di nazionalismo, eventualmente, pre-totalitario (perché mancano partito unico e burocrazia tentacolare).
Quanto ai Circoncellioni, si potrebbe parlare di un “quasi” movimento socialmente abortito. Per contro, nella storia della Chiesa e del cristianesimo, nelle varie versioni, sono per così dire fiorite e fioriscono istanze movimentiste contestative delle istituzioni, con risultati di inclusione, esclusione, fondazione e rifondazione.
Un ultimo punto. Ritengo degno del massimo approfondimento, però dal punto di vista della filosofia morale, quanto affermi qui:“Osserverei che, mentre della responsabilità esiste un’etica, non ve n’è una della totale irresponsabilità. Anche l’ordine più oppressivo mantiene sempre un residuo etico”.
Dico questo, improvvisandomi filosofo morale: che l’etica rinvia al conflitto, il conflitto al relativismo (tra valori diversi), il relativismo all’etica della responsabilità (non dei principi), etica che media tra valori diversi, mentre il totalitarismo esclude il conflitto, si pone come assolutismo, e quindi nemico del relativismo come di un’etica della responsabilità, sulla quale impone l’esclusivismo ideologico, quindi non media un bel nulla.
Di qui, quell’etica dell’irresponsabilità che rimanda a un’etica dei principi fondata però sull’esclusivismo ideologico.
Pertanto, sul piano della filosofia morale (di quello sociologico ho già detto) il veleno è nell’assolutismo non nel relativismo. Ovviamente, se il relativismo da mezzo si tramuta in fine (in versione stato sovra-etico o stato provvidenza), può diventare a sua volta un pericolo per la libertà. (Carlo Gambescia) P.S. Ci scusiamo per la formattazione. Ma purtroppo per il momento meglio di così...
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