*********************senza "metapolitica" si finisce sempre per fare cattiva "politica"*******************
martedì 21 settembre 2021
Le sette e il totalitarismo (Continua lo scambio di opinioni tra Massimo Maraviglia e Carlo Gambescia)
Caro Carlo, grazie per la tua documentata risposta. Riguardo al tema delle sette, porterei alla tua attenzione il tema delle grandi sette contemporanee (per es. quella del reverendo Moon o di Dianetics).
Forse sociologicamente parlando non sono più classificabili come sette, benché abbiano con le sette tradizionali alcuni importanti punti di sovrapposizione (un’analisi l’ho incontrata quasi per caso nel volumetto di R. Ikor, “Las sectas” (Paradigma, Barcelona 1997); Ikor non è un sociologo, ma un letterato e scrittore francese che ha avuto un’esperienza traumatica con le sette e perciò ha fondato in Francia un “Centro contro le manipolazioni mentali”).
Potremmo dire che le sette oggi sono “istituzioni” particolari che istituzionalizzano il fanatismo e promuovono un sistematico condizionamento? Per farlo bisogna diventare relativisti, ma non nel senso del politeismo dei valori delle società contemporanee, un politeismo che trova, o dovrebbe trovare, nello Stato neutrale il suo punto di convergenza, ma propriamente il concetto per cui l’ideale tipico della fase movimento si “dialettizza”, cioè diventa plastico e in grado di sopportare qualsiasi tattica, anche quella che effettualmente lo contraddice.
Un relativismo machiavellico, che permette la massima libertà d’azione alle élites rivoluzionarie e che tuttavia mantiene sullo sfondo una riserva, un serbatoio di fanatismo da impiegare alla bisogna e strategicamente contro il nemico politico. E’ lo Stato reinventato dalle élites bolsceviche, cui esse, sul modello di una setta, la Comune di Parigi, hanno saputo dare un carattere al tempo stesso istituzionale in senso tradizionale, e settario.
Massimo Maraviglia
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Grazie, a te caro Massimo, per la documentata risposta . Che sollecita, come deve essere, ulteriori questioni e interrogativi. Per inciso, probabilmente stiamo abusando della pazienza degli amici lettori. Però, come già notato, la questione merita.
Parto dalla tua domanda:“Potremmo dire che le sette oggi sono “istituzioni” particolari che istituzionalizzano il fanatismo e promuovono un sistematico condizionamento?”
Diciamo che la forma o tipo setta, e non solo oggi, dal punto di vista dello “spirito” di setta, se si vuole della mentalità, “usa” il fanatismo, e ovviamente “condiziona” i suoi adepti. Quindi sì, ma a certe condizioni-
In primo luogo, l’istituzionalizzazione, come già scritto, è altra cosa, e prevede il passaggio precedente, dalla setta al movimento. Che non sempre è lineare. Si pensi, come si diceva a proposito dei Circoncellioni, alla difficoltà di trasformarsi in movimento, quindi in attore sociale di dimensioni crescenti, capace di reclutare rapidamente e di sfidare a tutto campo le istituzioni esistenti, proponendosi di distruggerle o assorbirle.
L’uso non regolato della violenza settaria, come nel caso Circoncellioni (per inciso, da circum cellas («[coloro che si aggirano] intorno alle cellae», ossia ai santuari dei martiri), per alcuni storici, vera truppa armata del donatismo, impedisce di crescere lungo la linea setta-movimento-istituzione .
In secondo luogo, Una cosa è il partito bolscevico, partito di professionisti della politica, poi partito-stato, che si muove nel pubblico, un’altra le sette di oggi alle quali ti riferisci che rinviano a “professionisti del plagio”, senza nessuna volontà di trasformarsi in movimento politico-sociale e partito-stato.
Professionisti, insomma, che si muovono nel privato. Ma era veramente una setta il partito comunista? Probabilmente ha sempre conservato lo spirito settario di Zurigo, pur trasformandosi in istituzione-partito e in istituzione-stato dopo la guerra civile. La fase del movimento, lasciandosi dietro quella della setta in senso materiale, inizia e termina con la guerra civile. Dopo di che prevale l’istanza totalitaria, come ho scritto, che apre il fronte delle dimensioni e dell’utilizzazione dell’istituzione-partito e dell’istituzione-burocrazia.
In terzo luogo, quanto al nesso tra relativismo e settarismo, preferirei parlare di “dottrina criminogena della politica”. Un aspetto che non riguarda le sette in particolare, ma anche movimenti e le istituzioni, soprattutto se a sfondo totalitario. Quindi qualcosa di più generale, rispetto al tuo discorso in argomento.
Si tratta di un atteggiamento o “spirito” che rinvia alla tesi classica della forza che crea il diritto. Tesi, in parte vera, che tuttavia il realismo politico criminogeno (che non è che una delle forme del realismo politico, quella “polemica” per eccellenza, che rimanda al lato “demoniaco del potere ), riconduce nell’alveo della sopraffazione a ogni costo, relativizzando i concetti di uso comune.
Hitler ad esempio, negli anni Trenta, a ogni prova di forza sostenuta e vinta, dichiarava che agiva così perché aspirava alla pace, dicendo così qualcosa di vero e falso al tempo stesso: pace per tedeschi ma non pace per tutti gli altri. Relativizzava… Lo stesso si potrebbe dire, di Lenin, a proposito del concetto di libertà, utile per arrivare al potere, ma non per governare. Relativizzava…
Ho affrontato questi temi in un libro dedicato alla sociologia del realismo politico.
Non credo ci sia altro da aggiungere, almeno sul piano sociologico.
Comprendo, ovviamente, che dal punto di vista della storia delle idee o della filosofia politica o morale la mia risposta possa eventualmente essere giudicata insufficiente.
Ubi maior minor cessat.
(Carlo Gambescia) P.S. Ci scusiamo per la formattazione. Ma purtroppo per il momento meglio di così...
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