martedì 21 maggio 2019

Riflessioni
La Cina è vicina



Oggi  la Cina è  un groviglio di contraddizioni. Qualcosa che ricorda l’Inghilterra del Seicento e la Francia  del  Settecento:  due società in attesa delle rivoluzione liberal-democratiche,  ma in piena espansione economica  con una borghesia scalpitante.  Di qui, i conflitti interni  tra  poteri nascenti e morenti.
Probabilmente il raffronto storico può sembrare azzardato, dal momento che non poche sono le differenze storiche e culturali tra lo sviluppo della Cina e quello dell’Inghilterra e della Francia. Tuttavia esiste un elemento comune: quello della necessità di una  progressiva apertura dei mercati, dovuta a surplus produttivi, necessità  che segnò lo sviluppo  europeo  e che sta distinguendo quello cinese.  

Insomma, piaccia o meno, ma  i mercati aperti sono il  principale  motore delle  trasformazioni culturali. Diciamo il veicolo.  Si pensi  al fenomeno dello schiavismo: la risposta culturale che portò all’abolizione della tratta fu interna alla cultura liberal-democratica, frutto della  comunione di idee,  tra uomini di nazioni e culture diverse, entrati pacificamente in contatto grazie alla progressiva apertura di un  mercato mondiale. 
Una dottrina sociale che, pur tra alti  bassi ideologici, aveva dominato per migliaia di anni  fu sbaragliata, ideologicamente sbaragliata, da quel moltiplicatore rappresentato dalla crescita dello scambio intellettuale,  facilitato dallo sviluppo delle relazioni economiche, grazie a un processo di azione e reazione  e di interdipendenza  tra idee e affari, capace di inverare stoicismo e cristianesimo. Ovviamente, con contraddizioni, frenate, passi indietro, che possiamo osservare ancora oggi. Si pensi all’atteggiamento razzista nei riguardi del fenomeni migratori. Però l’ internazionale del commercio culturale, se ci si passa la definizione, ha finora avuto la meglio, apportando vantaggi per tutti. 
Cosa vogliamo dire? Che la Cina è vicina.  E che non si può  escludere che  il gigante asiatico  grazie all’apertura dei commercio mondiale, pur tra le contraddizioni, si  “liberal-democratizzi”.
Ovviamente sono processi  storici  lunghi, che richiedono secoli:  l'Inghilterra  di Carlo I e Giacomo  I, come la Francia di Luigi XIV, non erano rispettivamente come l'Inghilterra  della Regina Vittoria  e la Francia della Terza Repubblica. 
Di conseguenza,  protestare contro le politiche restrittive  dei diritti civili di Xi -  cosa comunque meritoria  -   dovrebbe però  far riflettere sul fatto che le politiche di Luigi XIV e di Carlo I non erano molto differenti.  Quindi, ripetiamo, la Cina è vicina. 

Alcuni osservatori insistono  in particolare sul peso  degli interessi geopolitici,  dipingendo la Cina come un potenziale nemico  dell’economia euro-occidentale. Un tempo,  si diceva la stessa cosa dell'Inghilterra "dominatrice dei mari".   Eppure, grazie alle navi britanniche, il mondo, tutto il mondo, è cambiato in meglio. Comunque sia,  per affrontare gli esclusivismi economici esistono  istituzioni mondiali, commerciali ed economiche, oggi però messe in discussione dai nostalgici  del protezionismo. Che invece sognano di poter fare da soli, di stringere o denunciare trattati bilaterali, in nome dell'avventurismo politico. Alle maestose architetture multilaterali il protezionista preferisce il graffito bilaterale.
Sotto il profilo del multilateralismo andrebbe ristudiato attentamente un periodo di fortissimo sviluppo dell’economia mondiale come quello tra il 1815 e il 1914. Dove l’apertura mondiale dei mercati toccò il culmine. Quando oggi si parla di globalizzazione si dovrebbe riandare con la mente all’Ottocento,  che rappresenta veramente il secolo della  trasformazione epocale dell'Occidente.  
Parliamo di una gigantesca mutazione economica e culturale che però  fu  rimessa in discussione, nei suoi principi di libero commercio di uomini, idee, cose,  nel Novecento, che a parte alcune parentesi nella sua seconda metà,  può rivendicare il triste record del secolo dei nazionalismi. I populismi e i sovranismi di oggi  ne sono l'ultima incarnazione. Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo.
Ciò per contro significa che lo straordinario sviluppo della Cina può rappresentare, pur tra le contraddizioni, una sfida e un’opportunità a livello di effetti inintenzionali delle azioni sociali, come fu per la  Gran Bretagna e la Francia.  Ovviamente sempre in chiave multilaterale non bilaterale.  

Detto altrimenti,  la Cina, grazie alle aperture economiche e culturali,  può “liberal-democratizzarsi” suo malgrado. E, per contro, le economie euro-occidentali, possono ulteriormente crescere, rispondendo alla sfida economica cinese.  Nell’economia internazionale  aperta, vincitori, vinti e latecomers sono sempre andati  a collocarsi a un livello superiore al precedente.   E qui si pensi agli straordinari progressi di   Italia  e  Germania  all'inizio e nella seconda metà del Novecento.  Tesi del resto  comprovata  dallo sviluppo delle altre  economie oggi emergenti in Asia e perfino in Africa.  Insomma, tutto il sistema, se pur a livelli diversi, ha dato prova  di crescere, salendo di un gradino,  spesso più di uno,  sulla scala del progresso economico e culturale. 
Si dirà che il nostro è un atto di fede nella libertà di commercio e nei suoi effetti benefici. E sia. Una cosa però  è certa: le guerre commerciali  favoriscono  l'odio tra i popoli. E preparano le guerre vere.  

Carlo Gambescia