lunedì 20 maggio 2019

La guerra del rosario
Antonio Ferrer e  Matteo Salvini


Ma la nostra  non era  una società secolarizzata? Dove rosari e preghiere sono optional per il tempo libero?  Sappiamo già  cosa ci si potrebbe rispondere.  Che l’ “uso politico” della religione, e dunque del rosario, alla Salvini per intendersi, è invece  il   frutto avvelenato  di una società secolarizzata, dove purtroppo  la religione  - in particolare la pratica -   non è che una continuazione del marketing con altri mezzi.  Quelli della  pubblicità.  Pubblipolitica, insomma.    
Il Cancelliere Antonio Ferrer in un' edizione illustrata dei Promessi Sposi

Perfetto. Di conseguenza, allora, le Crociate furono il prodotto di  una gigantesca campagna pubblicitaria  di un Berlusconi dell'epoca, ma in vesti sacre:  un certo Urbano II…
Lo stesso discorso potrebbe valere anche  per le guerre religione, perfino quelle interne al mondo protestante, tra rivoluzionari e conservatori, come insegna la Prima Rivoluzione inglese. Nonché per i contrivoluzionari all'opera nelle infiammate  campagne  italiane e   vandeane.  E che dire dei crocifissi e in particolare dei  rosari avvolti intorno alla baionette franchiste  durante la guerra civile spagnola? Tutta pubblipolitica?  Anche in società non secolarizzate?  I conti non tornano.  
Carl Schmitt   ha sostenuto  che nonostante i moderni  dichiarassero il contrario, la politica, perfino nei parlamenti, è  una prosecuzione della teologia con altri mezzi.  Sia sotto il punto vista della regolare trasformazione del nemico in apostata, sia sotto quello dell’uso simbolico  del messaggio cristiano: veicolo di conservazione per gli uni, di progresso per gli altri. Insomma, di  teologie politiche in conflitto,  clericale e anticlericale.    E guai a  vellicarle.
Iconografia controrivoluzionaria  settecentesca

Schmitt non era un amico del liberalismo. Però, vivendo nell' epoca dei totalitarismi, intuì, come il liberale Benedetto Croce, che l’uomo non è ciò che mangia, ma ciò in cui crede, spesso in modo irrazionale.  Di qui, a suo dire,  il  rischioso ricorso alle ideologie salvifiche, di cui il populismo e solo l'ultima  incarnazione.  E cosa ancora più grave, l' uso improprio di tutta una segnaletica (la parola non è scelta a caso) simbolica. 
Se ci si perdona la metafora blasfema per un cattolico,  il rosario è come un semaforo che può indicare alle folle il rosso, il verde, il giallo… Dipende sempre e solo  dal detentore: il papa,  un dittatore,  un cattolico liberale,  una vedova ottantenne,  un anarchico, un arruffapopoli, eccetera, eccetera. 
Cosa vogliamo dire? Che, come la nitroglicerina, stando almeno alla lezione di Schmitt, il rosario andrebbe maneggiato con cura. Come insegnano sociologia e buon senso politico, le folle, secolarizzate o meno,  non vanno mai eccitate, in un senso come nell'altro. Proprio per evitare, ripetiamo, lo sviluppo di un meccanismo a spirale, capace  solo di moltiplicare  l'odio tra le opposte "teologie" clericale e anticlericale. Cosa, tra l'altro, da noi già  sottolineata nell' articolo a proposito dell'irrituale blitz populista  del cardinale Robin Hood (*). 
Manzoni, da buon cattolico liberale, immortalò l’astuto realismo politico di Antonio Ferrer, Gran Cancelliere (e personaggio storico),  che  si guardò bene dallo sfidare le folle milanesi inferocite dalla fame: “ Pedro, adelante con juicio”. 
Cosa insegna Manzoni?  Dal momento che la gente tende ciclicamente  a vedere  il mondo in bianco e nero,  diviso tra buoni e cattivi, dunque in chiave di conflitto teologico tra bene e male, il politico deve essere prudente.  Mai enfatizzare.
A prescindere dalle finalità, un buon politico non deve mai mettersi nella condizione di spargere inutilmente sangue.  Insomma,  come giustamente scrive Manzoni a proposito del Ferrer, “si può spendere  bene, una popolarità male acquistata”.
L’esatto contrario di quel che fa Salvini, che spende male una popolarità  male acquistata.