giovedì 28 aprile 2016

Vienna “Al Brennero 250 poliziotti, se serve anche l’esercito”
L’Austria ha ragione, 
sociologicamente ragione



L’Austria chiude le  frontiere. La “civilissima” Austria - “civilissima”, perché cosmopolita secondo la vulgata di certo  illuminismo estremo -   sbatte la porta in faccia  a chi bussa e chiede aiuto.  
Perché?  Cosa  dire?  Che, come ogni sociologo sa (o dovrebbe sapere), siamo di nuovo  dinanzi al contrasto tra società e istituzioni, contrasto verso il quale  la cultura cosmopolita,  può ben poco. Anzi, se iniettata in dose massicce nel corpo sociale, come oggi accade,  può provocare, se ci si passa la brutta metafora medica, gravi reazioni anafilattiche Ci spieghiamo.
Le società nascono e si sviluppano sempre contro qualcuno o qualcosa  intorno a un nucleo di istituzioni condivise.   E il diverso  (come  potenziale  nemico  interno) e l’estraneo (come potenziale nemico esterno)  ne hanno fatto sempre le spese. Piaccia o meno, è così. Possono mutare le dimensioni delle unità politiche ma il conflitto è ineliminabile.
Per quanto riguarda l’Europa le forme istituzionali o politiche possono essere studiate anche da un altro punto di vista, ovviamente  complementare a quello del conflitto.  Vediamole insieme. 
La città-stato, come forma politica micro,  era fondata su un’idea di cittadinanza esclusiva, lo straniero, se pure accolto restava tale, il nemico interno eliminato o espulso;  Roma, pur essendo fondata su un’idea simile di cittadinanza (micro), sviluppò una forma politica imperiale (prima macro, la Repubblica, poi super-macro, l’Impero), allargando gradualmente la cittadinanza a tutto l’impero (certo, ci vollero secoli).  Si può dire che la “forma-impero” (super-macro), prevalente nel medioevo, si propose in qualche misura di recepire e rinnovare la tradizione imperiale, richiamandosi a Roma e mescolando valori laici e religiosi.  Le forme politiche della Signoria, del Principato e del Comune, in qualche misura, rappresentarono, anche quando coagulatesi intorno a famiglie aristocratiche o borghesi, un ritorno alla forma città-stato, al micro, insomma.  Per contro,  con le forme  dello stato-assoluto e soprattutto dello stato-nazione, la nazionalità progressivamente venne eretta a principio fondante del macro. All’antica città (micro), si sostituì la nazione moderna (macro).
Sullo sfondo di questo sviluppo istituzionale,  si muovono le società, o meglio il sociale (una vera e propria seconda natura per gli uomini),  segnato da popoli, che pur essendo  differenti per cultura e tradizioni, hanno  sempre guardato "naturalmente"  alla forma città-stato:  forma  che rappresenta il grado uno dello sviluppo istituzionale (prima ancora ci sono la Tribù e l’Orda, il grado zero).  
Pertanto la natura sociale spinge verso la città-stato, la natura istituzionale verso la stato-nazione. Da un lato il micro, dall’altro il macro. E la forma impero? Come visto, rappresenta il  super-macro: un passo ulteriore, dal punto di vista istituzionale.
Quanto alla cultura, la modernità ha introdotto una cesura tra i processi sociali (verso il micro) e i processi istituzionali (verso il macro). Per un verso (la cultura), l’illuminismo - la tradizione culturale dei moderni, semplificando al massimo -  si è imposta, nelle sue forme estreme, di invertire la tendenza di fondo verso la città-stato (il micro degli antichi), propugnando  quel cosmopolitismo cui accennavamo  all’inizio, rivolto però  in direzione  del superamento dello  stato-nazione (il macro dei moderni), per l’altro, nell’impossibilità  di poter gestire, anche sul piano organizzativo, in un mondo globalizzato, la forza della città-stato (il micro degli antichi), la cultura illuministica, certa cultura illuministica,  si è inventata nuove forme di super-macro. E qui si pensi al disegno europeo, che non è altro che una laicizzazione e democratizzazione della forma impero, che però, secondo le intenzioni di certo iper-illuminismo non sarebbe che una forma intermedia di  transizione verso il super-stato universale delle nazioni: una specie di  stato-mondo o mondiale. Un’utopia.
Pertanto se la tendenza sociologica  di fondo è verso il micro (quindi di stati negli stati: qui si pensi al tessuto istituzionale ricostruttivo del micro, portato avanti dalle comunità di “migranti”), o comunque verso una dialettica conflittuale micro-macro, resta comprensibile come lo stato-nazione (il macro) non possa non rispondere chiudendosi, respingendo le irrealistiche istanze della cultura (cosmopolitica) ed entrando in conflitto  con quelle istituzionali  europee, super-macro (in atto),  e al tempo stesso con quelle  micro (in potenza) dei "migranti". Inoltre, questo processo conflittuale di chiusura è reso ancora più rischioso  dal metodo democratico, che essendo fonte di legittimazione politica e di consenso istituzionale, rischia di rendere  inevitabile la chiusura verso l’esterno, proprio in nome di una  dialettica macro contro micro,  imposta dall’  elettorato stesso, ancorato al macro, come surrogato storico del micro.  
Ora, non sosteniamo che il chiudersi sia la soluzione di ogni problema, né che il cosmopolitismo sia la fonte di tutti i mali. Come nelle forme allergiche, per riproporre la metafora medica, il cosmopolitismo rinvia a  un problema di dosaggio e di prudenti prove antiallergiche.  Però la chiusura  resta una risposta naturale (in senso sociale), come dire  al di là del bene e del male, di un organismo sociale, nel quadro di una dialettica reale: quella  del conflitto sociologico  micro-macro. Soprattutto quando le strutture istituzionali (il super-macro europeo) e culturali (l’illuminismo)  restano  inerti, come l’Unione Europea, o chiedono troppo, come certo cosmopolitismo.  Quindi la ex "civilissima" Austria va se non  giustificata, almeno compresa. Sociologicamente compresa.   

Carlo Gambescia         

         

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