giovedì 7 aprile 2016

 Referendum Olanda:  proiezioni,  vince il no
Europa disorientata, impaurita, divisa





Al posto dei politici di Bruxelles  presteremmo maggiore attenzione. Il rifiuto degli olandesi al trattato di associazione dell’Ucraina alla  Ue indica che l’Olanda, come altri stati europei, diciamo di vecchio conio,  non ne vuol sapere di aggiungere altri posti a tavola.  
L’Europa è disorientata, impaurita, divisa: coniugare unificazione e allargamento, due processi differenti (prima ci si dovrebbe unire, poi  allargare),  rischia di complicare ancora più le cose.  Del resto i primi responsabili dello sbandamento europeo sono  le classi politiche, cattoliche, socialiste, liberali macro-archiche (dirigiste)  che hanno creduto di poter applicare  lo schema redistributivo (tasse, tagli e stimoli economici), che prevede alti tassi di sviluppo e centralismo consociativo (una specie di centrosinistra europeo), a una realtà sovranazionale senza però avere gli stessi strumenti politici economici e fiscali dello stato nazionale ( un governo e un parlamento  veri,  un  sistema bancario, creditizio e fiscale unificato). 
Il sistema attuale, per certi versi e al netto della retorica europeistica, ricorda quello della settecentesca aristocrazia polacca, incapace di darsi un sovrano elettivo, che  favorì l'affondamento della Polonia  nel gioco delle spartizioni.  Il politico non ammette vuoti di potere.
A Bruxelles, pur essendo  consapevoli della debolezza politica europea, un po’ per inerzia, un po’ per non perdere la faccia, si persevera nel procedere, e magari rilanciare,  come se  l’Europa fosse da anni  un’entità politicamente coesa.  Il che, pur avendo un antico fondamento culturale,  resta, almeno per ora,  pura fantapolitica istituzionale. Inoltre, cosa ancora più importante,  il redistribuzionismo catto-socialista-liberalsociale, dal punto di vista politico-economico, soprattutto per il suo indisponente verticismo, non è praticabile in tempi di vacche magre. E qui, per contro,  si vuole addirittura puntare sull’allargamento  a stati  indebitati come l’Ucraina.  Sicché, inevitabilmente,  i popoli, come gli olandesi ieri, non possono non  accorgersene. E votare no.
Il rischio è che nel crescente (per alcuni inarrestabile) vuoto consensuale - e qui la crisi del modello politico-sociale Weimar resta un esempio classico -  possano  proliferare non solo i bacilli del nazionalismo, ma quelli del razzismo, dell’antisemitismo, del romanticismo antiborghese, che, nella prima metà del Novecento condussero, prima culturalmente poi politicamente,  alla guerra civile europea.
Parliamo di rischio, quindi di una tra le alternative racchiuse  in un  processo storico, come quello dell’unificazione europea, di cui  però non possiamo fissare esito e durata.  Di sicuro, considerati i risvolti  negativi del nazionalismo, l’unificazione potrebbe  rappresentare un passo avanti, in termini di pacificazione interna,  quale  riduzione del conflitto tra stati da problema militare a  problema di polizia. Oltre, ovviamente, ai grandi  vantaggi che ne sortirebbero sul piano geopolitico. Il nostro, ovviamente, è il  giudizio personale di un vecchio europeista,  disgustato dalla guerra civile novecentesca.  Per ora, tuttavia, l’Europa, come dicevamo, è disorientata, impaurita, divisa.  Proprio come nel 1929. O nel 1933?

Carlo Gambescia                     
       
         

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