martedì 19 aprile 2016

Referendum anti-trivelle
Tredici milioni di  conservatori- progressisti




Ieri pensavamo,  a proposito dell’esito del referendum anti-trivelle, a come distinguere un conservatore da un progressista.
Diciamo che il conservatore difende  lo status quo, teme il futuro, ha paura del cambiamento, non lo incoraggia e se proprio deve, lo subisce. Il progressista, invece, guarda sempre avanti, non ha timore del mutamento, al punto di promuoverlo sistematicamente, talvolta troppo, anche ad ogni costo.  Per dirla in chiave di  psicologia politica:  se il primo è portato a scambiare la prudenza con il   timore fino  a  preferire  la  sottomissione, il secondo è così  ardito  al punto di  scambiare coraggio  con la temerarietà, fino  a rifiutare il principio di realtà.    
Sulla base di questa distinzione come definire 13 milioni di italiani che hanno votato sì al referendum, conservatori  o progressisti?
Di sicuro, “conservatori” dell’ambiente, secondo una vulgata, che, pur avendo sostenitori a destra (in genere i border line del radicalismo anti-moderno),  ha  profonde radici  anti-capitaliste, perciò a sinistra,   di   derivazione utopistica  piuttosto che marxiana (in senso stretto).  Dal momento che  Marx e soprattutto Engels non rifiutavano  modernità e scienza  (per non parlare poi, dell’entusiasmo costruttivista, fin troppo ingenuo, dei  diadochi  socialdemocratici, socialisti e  comunisti).
Il che  spiega  perché   nel voto contro le trivelle,  spicchi anche  un’istanza utopica di sinistra, nel senso di immaginare un mondo diverso (politicamente ed economicamente). Però, ecco il punto,  da perseguire a costo zero,  senza perdere i vantaggi della società avanzata. Nel senso, per dire una banalità, che si vuole continuare a correre in automobile parlando al cellulare ma al tempo stesso non si vuole pagare pegno (energetico).  Pertanto quel voto è conservatore rispetto allo stile di vita, perché pochi tra quei tredici milioni sarebbero disposti a cambiarlo,  ma utopico-progressista rispetto  alla finalità sociale e politica. Quindi un voto contraddittorio. Come dire, tredici milioni di conservatori-progressisti… Insomma, si vuole fare la rivoluzione con il permesso dei carabinieri della modernità.
Ovviamente, sull’istanza utopica, si innestano - ecco tornare la chiave progressista -   i grandi discorsi, spesso campati in aria, sulle "energie alternative" (perché eludono o minimizzano i costi sociali ed economici riorganizzativi) e le semplificazioni narrative sulle mitiche potenzialità (collettive e ultrademocratiche) dello strumento referendario su temi invece  complessi di derivazione scientifica e tecnica.
Come concludere? Che in materia, a dispetto di quanto predica l'ecumenismo politico verde-rosso-bruno, il vero discrimine politico tra conservatori  e progressisti  potrebbe essere rappresentato, a destra si intende,  dalla valorizzazione del concetto di  “prezzo pagare”  e di quantificazione del danno (antropologicamente e sociologicamente ineliminabile, se ci si vuole definire conservatori: qui sta la differenza tra l'imperfettismo di  destra e il perfettismo di  sinistra ), danno, dicevamo, che una società si propone di sopportare (il paretiano utile per la società), pur di  conservare uno stile di vita moderno, apprezzato e condiviso dalla maggioranza dei cittadini, come del resto mostra  il voto di domenica. Che però ha di nuovo certificato  l'esistenza di un  potenziale esercito di destra (coloro che hanno votato no direttamente o indirettamente, almeno in buon parte,  non andando alle urne ), privo di generali politici.
Quantificare il danno accettabile. A dirlo sembra semplice, politicamente semplice.  In fondo, si tratta di  difendere lo  status quo. Di "fare catenaccio" contro ogni forma di confuso estremismo, a cominciare da quello ecologista. Di dire, insomma, le cose come stanno. Di riaffermare il principio di realtà, interpretando, anche elettoralmente, un bisogno diffuso quanto inevaso di destra, di destra sistemica, ovviamente. Servirebbero però  politici conservatori dotati di  coraggio.   Altra contraddizione… O magari solo intelligenti?   

Carlo Gambescia   



Il successivo  dibattito su Facebook 
con Claudio Ughetto e Carlo Pompei 



Claudio Ughetto  Preferisco la definizione di Ambrose Bierce: "Conservatore, uomo politico affezionato ai mali del passato. Da non confondere col progressista, che invece vuole sostituirli con mali nuovi"…

Carlo Pompei Falcone Una opinione autorevole, prendiamone atto, ma non gli conferisco la verità assoluta. Sono per pescare le sintesi…

Claudio Ughetto Vero, poi mi danno del nichilista… 

Carlo Pompei Falcone esatto, altra categoria abusata ed equivocata.

Claudio Ughetto Come indirettamente discutevamo una settimana fa sull'essere di destra o di sinistra, l'epoca è troppo cambiata, come anche l'approccio culturale, per stagnarsi su simili categorie.

Carlo Gambescia Caro Claudio, visto che mi si chiama in causa, o quasi (tra l'altro ancora aspetto una tua riposta (via tag) sui miei quattro punti di qualche giorno fa (parlo della mia pagina Fb). Intanto, Bierce, era un Mark Twain sfortunato, e forse per questo più simpatico dell'originale.Però la definizione da te citata, a mia avviso si attaglia più al reazionario che al conservatore. Ma non mi interessano, qui, le battute. Quanto al destra e sinistra, si tratta di categorie già finite, stando ai detrattori (legittimisti e socialisti utopisti) nel 1848... Anche per essi, l'epoca già era troppo cambiata... E invece eccole qui, che vivono e lottano insieme a noi. Confusione, molto pericolosa, invece continua  farla  chi  si ostina a negare la democrazia rappresentativa e liberale ( e il dividersi eccetera ...). Tu parli di approccio culturale cambiato... No, qui, carissimo permane una divisione unica, culturale e politica (che poi, di volta in volta si è rispecchiata storicamente in istituzioni, eccetera) dal Socrate platonico in poi: la conoscenza è virtù: sì o no? Cioè chi sa è anche buono? E si può trasmettere la bontà, acquisibile per virtù? Per la destra no. E infatti l'antropologia della destra - non mi riferisco ai fascio-socialisti, eccetera - non crede nella tabula rasa, ma nella forza della tradizione ricevuta per osmosi ambientale (di qualsiasi tipo) e nelle virtù innate, patrimonio di pochi. Per la sinistra sì... L'uomo (antropologicamente) può essere costretto ad essere libero, dal momento che - si cantilena - l'uomo più è istruito (conoscenza) più è buono (virtuoso). Di qui, la tabula rasa delle tradizioni ( tutte; per questo, anche la tradizione moderna è a rischio), e sotto con l'educazione coattiva: per poi ricominciare ogni volta da capo eccetera.... In realtà, non mi stancherò mai di ripeterlo ( e qui il nostro cruccio di intellettuali, non sempre compresi), l'uomo al capire preferisce il credere. Quindi si continua ad essere di destra come pure di sinistra: antropologicamente, cognitivamente e politicamente. Malgrado il tifo contrario e interessato dei terzaviisti, che non sanno poi dove cazzo andare, salvo che in braccio allo stato... Perché, alla fin fine, il principio di realtà non può essere ignorato. E si vendica sempre. Un abbraccio.Un caro saluto al padrone di casa!

Claudio Ughetto Carlo, in realtà la stavo prendendo un po' per scherzo. Il tuo articolo è molto condivisibile. Tra l'altro, ho scritto qualcosa sul buttarsi nelle braccia dello stato proprio ieri, benché io sia meno convinto di te che buttarsi nelle mani del liberismo più selvaggio sia la soluzione. La realtà è anche rendersi conto che la possibilità di morire inquinati non è peregrina. "Le conseguenze del mancato quorum mi hanno portato a una riflessione più ponderata sulla natura di noi italiani. Alla fine dovremo decidere tra il qualunquismo che ci permea, spacciato per anarchismo da quattro soldi, e la medesima retorica statalista che portiamo in piazza ogni volta che ci svuotano il portafoglio o ci riempiono i campi di immondizia. O tra la vita sana e avere il centro storico con le auto in tripla fila per favorire i commercianti".


Carlo Gambescia Grazie Claudio. Un solo punto: nel il mio "Liberalismo triste", non riduco il liberalismo al solo liberismo, cosa che tra l'altro, mi ha attirato le critiche dei liberali an-archici. Sul piano pratico, come ho scritto, si tratta di mediare tra varie tendenze (an-archica, micro-archica, macro-archica), compito questo del liberalismo archico, o triste, non ridens... Quindi si tratta, di valutare caso per caso, seguendo il meccanismo della formazione dei prezzi, come e dove intervenire con liberalizzazioni e privatizzazioni, tenendo presente anche i cosiddetti fallimenti del mercato. Al "morire inquinati", mi dispiace per te, do lo stesso significato, che attribuisco al termine "liberalismo selvaggio": idee-forza, da comizio, usate da certa sinistra arcaica e cripto- totalitaria, idee che confliggono con il principio o "senso della realtà", per usare un termine del nostro caro Berlin. Un abbraccio 

Claudio Ughetto È proprio lì, il discorso, Carlo: io mi sento profondamente liberale, ma la possibilità di morire inquinati c'è eccome. E non la metto su un piano ideologico: l'URSS inquinava tanto quanto gli States se non peggio (anzi, sicuramente peggio). Lasciamo poi perdere Cuba, che ha solo il vantaggio di essere piccola: viaggiare con certi rottami di auto non fa bene alla salute.  Come scrivi tu, si tratta insomma di valutare caso per caso, mettersi magari in testa che certe scelte possono aprire nuovi mercati ecc. In questo, ti confesso, vedere con quanta foga certi governi difendono l'uso del petrolio dove potrebbe essere evitato mi fa pensare a una politica più "conservatrice" che progressista. Ma forse qui stiamo dicendo qualcosa di simile da punti di vista diversi.  Per il resto, chi "sa" non è per forza buono, ma confesso che con Trump andrei soltanto a divertirmi in birreria. Però è vero che apri una questione difficile, dove si palesa tutta la mia contraddizione tra una strenua difesa della libertà e l'idea (snob e aristocratica, o per meglio dire manzoniana) che il popolo si possa educare per ottenere una società migliore.
Mi devo decidere, insomma...

Claudio Ughetto O forse, andando nel profondo, qui si esplicita tutto il mio rapporto con la classe lavoratrice, da cui provengo. Alla sinistra piace vederla come portatrice del bene, io l'ho sempre vista come quella che vota Trump e Berlusconi, oppure salta un referendum, perché è la prima a pensare in senso utilitarista.  Non l'ho mai sopportata. Ora l'ho detto... 

Carlo Gambescia Claudio, capisco benissimo i tuoi dilemmi interiori e apprezzo la tua sincerità (pubblica). Semplificando al massimo: nel mio articolo do questa risposta: "dalla valorizzazione del concetto di 'prezzo pagare' e di quantificazione del danno (antropologicamente e sociologicamente ineliminabile, se ci si vuole definire conservatori: qui sta la differenza tra l'imperfettismo di destra e il perfettismo di sinistra ), danno, dicevamo, che una società si propone di sopportare (il paretiano utile per la società), pur di conservare uno stile di vita moderno, apprezzato e condiviso dalla maggioranza dei cittadini, come del resto mostra il voto di domenica" . Si tratta di sostituire il concetto di danno sostenibile (in rapporto a ciò che perderemmo, in cambio, come sistema di vita) al principio di precauzione (vietare tutto, a prescindere, perché si potrebbe morire, come dici tu eccetera; però "alla lunga" come dice Keynes, liberale macro-archico, questa di battuta gliela concedo, "saremo tutti morti") : Vilfredo Pareto vs Hans Jonas. Naturalmente, ripeto, ho semplificato. Forse troppo. Ma è di questo che si dovrebbe ragionare (non con te ovviamente).

Claudio Ughetto Anche con me. Posso avere dubbi e perplessità, che ti esprimo, però hai il pregio di stimolarmi a pensare. Ogni mia evoluzione (o de-evoluzione) è il risultato di confronti con pensatori che mi danno degli insight non pensando cose che già penso, ma deviando su terreni comuni.             

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