giovedì 12 aprile 2012


Il libro della settimana: Daniela Bifulco, Negare l’evidenza. Diritto e storia di fronte alla “menzogna di Auschwitz”, Franco Angeli, Milano 2012, pp. 124, Euro 17,00. 


http://www.francoangeli.it/


Talvolta ci sono volumi la cui lettura ricorda l’ attraversamento di un campo minato, in parte per ragioni legate alla preparazione specifica di chi legge, in parte per la "sensibilità agli urti" dell'argomento trattato. Il notevole libro di Daniela Bifulco, Negare l’evidenza. Diritto e storia di fronte alla “menzogna di Auschwitz” ( Franco Angeli ) appartiene senz’altro a questa categoria. Tuttavia, una volta attraversato il campo minato, ci si guarda indietro, tirando un sospiro di sollievo: il pericolo di saltare in aria ormai è alle spalle… E grazie all’abilità dell’autrice, che si mostra capace di affrontare nel modo più pacato e ragionato un tema, per l’appunto, esplosivo. Dove sono in gioco, e in modo contrastante, diritti di espressione e difesa della memoria, ragione giuridica e ragione storico-politica. Insomma, i valori di fondo di una società aperta.
Dicevamo della preparazione: chi scrive è sociologo, mentre Daniela Bifulco giurista. Quindi gli approcci sono differenti. Infatti, dove lo studioso del diritto scorge la necessità di una risposta giuridica al manifestarsi del male nel mondo, una prima volta come Shoah, e una seconda come sua Negazione, il sociologo invece rileva la questione della costruzione sociale del male. Si veda ad esempio, in argomento, l'avvincente libro di Jeffrey Alexander, La costruzione sociale del male ( da noi recensito qui: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/search?q=jeffrey+alexander ).
Perciò, se il punto di partenza è lo stesso: la condanna morale del tentativo di negare il genocidio ebraico, diverso è lo "sguardo professionale". Il sociologo reputa il negazionismo, come l’altra faccia, neppure tanto nascosta, della modernità razionalizzatrice: si nega l’Olocausto, invocando come scusa, quella stessa banalità del male che lo avrebbe prodotto.Per contro il giurista scorge solo un vuoto legislativo in ambito penale da colmare E quindi risponde, se ci si passa l’immagine, lanciando la macchina della razionalizzazione giuridica alla massima velocità. Del resto, intorno a quale problema ruota Negare l’evidenza? Chiedersi perché « il diritto si “intestardisce” (…) nel voler – dapprima – fissare per legge il dovere di memoria e, in seguito nel prevedere come reato la condotta di chi osi rivedere i contenuti di quella memoria» (p. 10).
E la risposta, secondo la Bifulco è proprio in quel vuoto politico e culturale che consente al negazionista di semplificare e liquidare la Shoah come una menzogna, provocando la risposta altrettanto semplificatrice del diritto penale. Ma lasciando fare al diritto non si segue un principio pedagogico-autoritario di tipo giacobino ? Quale? Quello che le buone leggi, calate “dall’alto”, d'incanto faranno buoni gli uomini, posti “in basso”. E con un corollario, tutto moderno, veramente inquietante: quello della “motorizzazione” del diritto penale capacissimo di irrompere, più veloce che mai, in campo storiografico, sostituendo il giudice penale allo storico accademico.
Si tratta della stessa bestiale e macchinale volontà di potenza che animò i costruttori dei campi di sterminio? Secondo Bauman il rischio sussiste. Ascoltiamolo: «L’olocausto fu il prodotto specifico dell’incontro tra le vecchie tensioni che la modernità aveva ignorato, trascurato o mancato di risolvere, e i potenti strumenti di azione razionale ed efficiente creati dallo sviluppo della modernità stessa. Sebbene tale incontro sia stato un evento unico e abbia richiesto una rara combinazione di circostanze, i fattori che furono alla sua base erano, e sono tuttora diffusi e “normali”» (Modernità e olocausto, Il Mulino 1992, pp.15-16). E uno di questi fattori moderni potrebbe essere proprio la “motorizzazione” del diritto.
Va onestamente riconosciuto che la Bifulco è consapevole del pericolo: « L’intervento del diritto - osserva - può talvolta produrre, e paradossalmente, l’effetto contrario: gli avvenimenti sono ricondotti tutti sotto un’unica lente legislativa, che livella, parifica, ammassa eventi tra loro assai diversi e lo stesso vale per le condotte incriminabili (negare, minimizzare, banalizzare, giustificare). Il risultato normativo, allora si fa confuso e la memoria , che pure si voleva salvaguardare, ne esce lievemente stordita, vaghe amnesie si sostituiscono al bisogno di un ricordo lucido e le responsabilità, che pure, forse volevano ammettersi risultano fortunosamente sbiadite. Al paradigma della memoria si sostituisce quello dell’amnesia» (p. 76).
Che fare allora? Difficile dire. Uno spunto, purtroppo relegato dalla Bifulco in una nota a piè di pagina, è offerto dall’ottimo libro di Guido Calabresi, Il dono dello spirito maligno (Giuffrè). Testo che, a dire il vero, rimastica, benché con grazia, l'antica Ragion di Stato, modernamente reinventata e posta al servizio del pluralismo: « Il diritto proprio di uno stato pluralista - scrive la Bifulco chiosando Calabresi - dovrebbe quindi evitare, per quanto possibile, di considerare certi ideali o convinzioni, rivendicati da un gruppo, nei termini di idee senza valore dal punto di vista del contesto istituzionale di riferimento (…). Vale a dire che il perdente potrebbe essere più disponibile ad accettare la sconfitta, se il perdere non significasse anche che la società “consideri irrilevante i suoi valori”. Insomma, quando di scena sono “scelte tragiche” la peggior soluzione per un sistema pluralista è quella di dire al perdente: “ La tua metafisica non fa parte della nostra costituzione”. Soluzioni del genere inaspriscono il conflitto sociale nel momento in cui pongono al di fuori dell’orbita costituzionale interessi, tesi e convinzioni invisi ai più». Di conseguenza, conclude la Bifulco, sintetizzando il pensiero di Calabresi, « di fronte a tali conflitti, o scelte tragiche, il diritto deve ricorrere (…) a ponderati “sotterfugi” onde evitare che il senso dell’offesa dei perdenti/esclusi divenga insopportabile» (pp. 108-109, nota 6, il testo tra virgolette alte è di Guido Calabresi ).
Che dire? La Bifulco cita ma sembra non condividere. Del resto - va riconosciuto - un "sotterfugio" può essere inteso sia come espediente per trarre in inganno qualcuno, sia come via per sottrarsi a un pericolo incombente. Servirebbe un diritto virtuoso capace di captare l’eccezione. Questione più sociologica, anzi politica, che giuridica in senso stretto.
E allora? A dire il vero, Negare l’evidenza si muove su un doppio registro. E in fondo, la Bifulco non fa sconti neppure alla propria tesi. Di qui, la capacità, come dicevamo all’inizio, di evitare le mine più pericolose, quelle del colpo su colpo all'insegna del semplicismo ideologico. Anche se, in conclusione, il diritto sembra rassegnarsi al conflitto e subire le ragioni dei vincitori. Ci spieghiamo meglio: la Bifulco è sicuramente consapevole, come nota, che « la pretesa di positivizzare la storia, comprimendone l’essenza nella maglie della rete giuridica, non può che risultare forzata, semplicistica e, con riguardo agli effetti auspicati dal diritto penale, forse illusoria» (p. 111). E nonostante ciò, giustifica la legislazione antinegazionista. Che pur essendo, scrive, «in bianco e nero (…) assai schematica e semplificatoria e, in quanto tale discutibile (…), quando si discorre di fatti che sono costati la vita a molti innocenti , solo perché colpevoli di appartenere a una “razza” diversa, quel bianco e nero è un lusso che ci si può, e forse ci si deve permettere. Almeno fino a quando la comunità politica e il suo humus culturale non riescano ad offrire - o si ostinino a non farlo - una soluzione diversa, migliore, e più partecipata» (p. 116).
La Bifulco sceglie il male minore? O se si preferisce un diritto “motorizzato” come Katechon penalistico? Probabilmente sì. Del resto è possibile darle torto? Soprattutto quando si viene posti dalla storia davanti all' evidenza del Male? E alla necessità di rispondere seccamente con un sì o un no?

Carlo Gambescia

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