lunedì 16 aprile 2012


Dilemmi weberiani
Vivere per la politica 
o vivere di politica?



Oggi facciamo anche noi un po’ di antipolitica… Ma di lusso, tirando in ballo il caro vecchio Max Weber … Veniamo subito al punto: scriveva il Nostro ne La politica come professione, il politico dovrebbe vivere, stando a quel che dichiara, per la politica. Mentre in realtà, lasciava intuire, vive di politica (Oscar Mondadori, p. 63). Tradotto: il politico invece di dare, nel senso del plusvalore ideale e professionale (precedente all’elezione), prende… Sfrutta la situazione e specula su contatti e relazioni. Si trasforma in "funzionario" , pappandosi laute prebende e - oggi - altissimi stipendi.
Weber, che morì, nel 1920, non era un fascista, ma un liberale, attento osservatore di ciò che uno studioso più a destra di lui, come Pareto, definì la degenerazione della democrazia.
Tra le due guerre mondiali i vari fascismi “smontarono” i parlamenti, sostituendoli con camere corporative, capaci di rappresentare i diversi corpi professionali. Perché si diceva, servono i competenti, non i politicanti. Poi tornarono le democrazie che misero in soffitta il corporativismo. Anche se nei paesi scandinavi, targati socialdemocrazia, si continuò a praticare, quello che i politologi, ancora negli anni Settanta del Novecento, continuarono a chiamare neocorporativismo democratico: una forma di gestione economico-sociale che, pur lasciando le istituzioni parlamentari nelle mani dei politici di professione, praticava una concertazione, spesso prevista per legge, tra le diverse parti sociali e professionali. Si trattava di un corporativismo, che non esautorava il parlamento, ma lo affiancava e in alcuni casi surrogava, stabilendo la cornice sociale ed economica degli accordi entro cui i deputati dovevano poi legiferare.
In Italia, una funzione di questo tipo - però consultiva - avrebbe dovuto svolgerla il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Istituito alla fine degli anni Cinquanta, ma presto divenuto un cimitero di lusso per elefanti politici e sindacali…
Va ricordato che nel dopoguerra la destra missina ha promosso per anni l’ “idea corporativa”. E, per chiunque ne abbia voglia, consigliamo la rilettura dei numerosi fascicoli e rapporti prodotti, soprattutto negli anni Settanta - in effetti sotto l’impulso di Almirante - dall’Istituto di Studi Corporativi (oggi confluito nella Fondazione Ugo Spirito). Dove si ragionava soprattutto di corporativismo democratico, se non alla scandinava, sicuramente in chiave “mediterranea”. Puntando sulla creazione di una camera delle competenze professionali da affiancare a quella politica. Una “camera” capace di fornire indicazioni sulla programmazione corporativa - una volta discussa con i diversi corpi professionali - dei vari indicatori sociali ed economici. Oggi, per attualizzare quei dibattiti, si potrebbe parlare di Pil corporativo. 
Tuttavia l’idea stessa di un neo-corporativismo democratico, anche in termini di pura concertazione informale tra imprenditori, governo e sindacato è stata spazzata via negli anni Ottanta e Novanta e Duemila (soprattutto in Italia, dove però un vera e propria concertazione istituzionale non era mai esistita: quindi pioveva sul bagnato…) dalle cosiddette “rivoluzioni neo-liberiste”… Che hanno finito per incidere anche sulla cultura politica dei post-missini, post-aennini, post-Pdl, e infine post tutto, pure post-corporativismo democratico. Pietoso.
Il caro vecchio Weber aveva ragione. Purtroppo chi vive di politica deve attaccare l’asinello dove vuole il padrone. Pertanto, se la stessa destra neo-fascista che un tempo celebrava e studiava, seppure timidamente, il neo-corporativismo in versione democratica è passata armi e bagagli a un neo-liberismo, tra l'altro alle vongole, figurarsi gli altri partiti, incollati ai propri storici privilegi.
Probabilmente servirebbe gente capace di vivere per la politica. Ma dove trovarla oggi?

Carlo Gambescia

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