*********************senza "metapolitica" si finisce sempre per fare cattiva "politica"*******************
lunedì 30 novembre 2009
sabato 28 novembre 2009
Discussioni
Un commento molto stimolante
sulla
cultura della "vera destra"
.
Gino Salvi ( http://www.blogger.com/profile/07278718757570202848 ) ha commentato il
post sulle dieci domande a Veneziani ( http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2009/11/blog-post_23.html ), direi, in modo
molto stimolante. Ponendo dei paletti tra destra berlusconiana e "vera
destra".
Salvi coglie un punto fondamentale. Merita perciò una risposta in "Home
Page".
Ma meglio procedere per gradi, prima il
commento di Salvi.
.
Caro Gambescia,
Sì sono delle belle domande. E, soprattutto, mettono in luce una questione, a mio parere, fondamentale: l'innesto di un "corpo estraneo", cioè il berlusconismo, sul tronco della destra, e lo snaturamento della destra stessa. Qualcuno obietterebbe che è grazie al berlusconismo se la destra è andata al governo. Non ne sono convinto però anche se fosse vero è successo a costo del taglio delle radici storiche, dell'assunzione del pensiero liberista come valore unico, dell'esclusione della vera cultura della destra. Non credo che la cultura della destra, quella vera, debba ringraziare Berlusconi visto che,in un recente articolo su "Il Riformista" s'identificava la cultura della destra con la sottocultura televisiva dei reality e delle fiction. La cultura della destra, quella vera, quella di Evola, di Marinetti, di Jünger, di Spengler non ha niente a che spartire con il liberismo berlusconiano
Caro Gambescia,
Sì sono delle belle domande. E, soprattutto, mettono in luce una questione, a mio parere, fondamentale: l'innesto di un "corpo estraneo", cioè il berlusconismo, sul tronco della destra, e lo snaturamento della destra stessa. Qualcuno obietterebbe che è grazie al berlusconismo se la destra è andata al governo. Non ne sono convinto però anche se fosse vero è successo a costo del taglio delle radici storiche, dell'assunzione del pensiero liberista come valore unico, dell'esclusione della vera cultura della destra. Non credo che la cultura della destra, quella vera, debba ringraziare Berlusconi visto che,in un recente articolo su "Il Riformista" s'identificava la cultura della destra con la sottocultura televisiva dei reality e delle fiction. La cultura della destra, quella vera, quella di Evola, di Marinetti, di Jünger, di Spengler non ha niente a che spartire con il liberismo berlusconiano
Gino Salvi
.Caro Salvi,
Grazie dello stimolante commento.
Gli autori dai lei citati sono tutti di grandissimo valore. E meritano di essere letti e studiati con la massima attenzione.
Però, a parte Marinetti, che in un testo, credo della fine degli anni Dieci, si pronunciò a favore della democrazia diretta (senza però mai più tornare sull'argomento), gli altri autori non mi sembrano conciliabili con la teoria liberaldemocratica (attenzione, non parlo di liberismo, ma di liberalismo politico: due cose diverse, se diamo ascolto a Tocqueville e Croce...). Anche perché nelle loro, pur validissime opere, gli autori dai lei ricordati non affrontano il tema decisivo della forma di rappresentanza, se non in termini - ecco il punto fondamentale - di forme politiche né democratiche né liberali (ripeto: liberali in senso politico, non economico).
Sono totalmente d’accordo con lei sulle critiche al berlusconismo. Anche perché Berlusconi, al di là della questione della grossolana sottocultura veicolata dalle sue televisioni (la nostra è pur sempre una società di massa, con i suoi pregi e difetti, indietro non si può tornare...), sembra comunque muoversi all’interno di un cesarismo nemico dello stato di diritto liberale.
Ma come sviluppare una teoria della rappresentanza politica, rispettosa della liberaldemocrazia, partendo dall’humus antidemocratico, affascinante quanto vuole ma sociologicamente pericoloso, che caratterizza, sospendendo per ora il giudizio su Marinetti (che pure fu "fascistissimo"), le opere di Evola, Jünger, Spengler?
Carlo Gambescia
.
mercoledì 25 novembre 2009
Ancora su Veneziani
“Nuova
destra” di ieri e “destra nuova” di oggi
.
Due osservazioni, la prima breve, la seconda più lunga.
Sono mancati, anche in privato, alcuni commenti che mi aspettavo. La paura fa
novanta. Guai a inimicarsi i possibili Nuovi Padroni. Complimenti, amici della
destra, coraggiosi come sempre.
Alcuni lettori mi hanno chiesto quale può essere il nesso tra la “nuova destra”
di Tarchi e la “destra nuova” di Fare Futuro”, capitanata da Campi.
Non c’è alcun nesso.
La “nuova destra” si è mossa fin dall’inizio all’interno di un percorso
antisistemico, ovviamente non nel senso di mettere la bombe. Scelta che ha
comportato, in termini di crescita culturale e democratica, un passaggio dal
fascismo ammodernato - ma ancora fascismo - degli anni Settanta alle “nuove
sintesi”, pienamente democratiche, degli anni Ottanta.
La “destra nuova”si è invece mossa fin dall’inizio, grosso modo dalla metà
degli anni Novanta (l’esperienza di “Ideazione”), in ambito sistemico,
sfruttando inizialmente il “marchio nuova destra”, ma piegandolo, soprattutto
nell’ultima fase (“Fare Futuro”), agli interessi professionali di Gianfranco
Fini.
Perciò quali temi la “destra nuova” di Campi ha recepito dalla “nuova destra”?
Nessuno.
Non l’antiamericanismo, non l’antiutilitarismo, non il comunitarismo
democratico ed ecologista (i tre temi di fondo della “nuova destra”). Al
contrario la “destra nuova” ha invece sposato certo libertarismo
post-sessantottino, facile facile. Uniformandosi così alla vulgata
società-civil-buonistica, per semplificare, delle professoresse che leggono
“Repubblica”.
Il che non può giovare alla nascita di una destra liberalconservatrice, né
tantomeno al recupero delle battaglie culturali della “nuova destra”. Magari
alla carriera di Fini, sì.
Fermo restando, ripetiamo, un fatto fondamentale: che la “destra nuova” si
muove in ambito sistemico, mentre la “nuova destra” è sempre restata sul
terreno della critica antisistemica.
Il che significa, che le idee della “nuova destra” possono essere criticate
(nessuno è perfetto, ci mancherebbe altro…), ma rimangono non conformiste. O se
si preferisce: non funzionali al “sistema”.
Purtroppo - e questo va detto - la "nuova destra" era ed è uno stato
maggiore senza alcun esercito. Uno stato maggiore, oggi, con unico generale al
comando. Uno stato maggiore tuttora immerso in una “terra di nessuno”
mediatica. In attesa, oggi come ieri, dei Tartari (il che per alcuni è un
merito) … Se non che, negli anni, molti stanchi di aspettare e complice lo
sdoganamento aennino, realizzato con un colpo di bacchetta magica da
Berlusconi, sono tornati all’ovile.
Un’ “evoluzione” (se così la si può chiamare) quella di An, ripetiamo,
infrasistemica… E che eventualmente può ritrovare le sue lontane radici
ideologiche nella "Costituente di Destra" promossa da Almirante , e
poi in "Democrazia Nazionale", partito scissionista fondato da Mario
Tedeschi e altri. E non nella “nuova destra” antisistemica: “marchio” che ora
però viene usato, in chiave "liberal" da “Fare Futuro”, come
coccardina da mettere all’occhiello della giacca di Gianfranco Fini, per fare
bella figura. Che vergogna.
Veneziani, infine, non può essere ricondotto né all’una né all’altra scuola.
Vive ideologicamente alla giornata, anche se crediamo, che sotto sotto, provi
ancora vivissima simpatia per il duce (cosa che potrebbe spiegare la sua
passioncella per il "duce Berlusconi").
Un’undicesima domanda da porre, potrebbe essere proprio questa: Veneziani, che
ne pensa di Mussolini?
Carlo Gambescia
martedì 24 novembre 2009
La destra e gli intellettuali alla
Marcello Veneziani
L'importanza di aprire una discussione
Riportiamo in home page due ironici commenti.
Invitiamo altri lettori a intervenire. Con
l'unica condizione di firmarsi (nome e cognome, eccetera), oppure di comunicare
preventivamente in privato le ragioni dell' anonimato: carlogambescia@yahoo.it
Sarebbe interessante, al di là delle
"finte risposte" di Marcello Veneziani, aprire una discussione sulle
ragioni del nullismo di una certa cultura di destra che, almeno qui in Italia,
non riesce ad andare oltre il romantico neofascismo (basta fare un giro in
Rete...) o il calambour qualunquistico
al servizio di un gioco delle parti, tra destra degli affari (ex aennina e non)
e intellettuali cinici. Come nel caso di Marcello Veneziani.
Il quale - ecco il punto - a differenza
degli esponenti di punta delle lunatic
fringes culturali, pubblica con Laterza, Mondadori, eccetera. E
rappresenta (anche se Veneziani si atteggia a perseguitato) la destra ufficiale
nelle istituzioni (Rai, Comitati Culturali, Premi, eccetera). In questo modo il
nullismo culturale, accettato ufficialmente anche dalla sinistra riformista e
radicale (alla quale fa comodo avere avversari di basso livello culturale),
finisce però per non giovare, da un punto di vista sistemico (che non è il
nostro personale) alla ricostruzione o al rinnovamento di una cultura di destra
seria: conservatrice, liberale e democratica.
Ma c'è anche un'altra distinzione da fare,
di tipo più morale che politico. Mentre i neofascisti sono in buona fede (nel
senso che credono nei valori per i quali lottano), gli intellettuali cinici e
opportunisti alla Veneziani no.
I primi vanno perciò rispettati, gli altri
no.
Carlo Gambescia
.
***
Giacomo
.
Se io fossi Veneziani risponderei così:
.
1) Perché non scrivo sul Secolo né Repubblica, poi se ci ha scritto Telese...
2) Perché non pubblico su Rizzoli.
3) Distanza di stile.
4) Perché ai tempi non c'erano ancora mali assoluti, e io mi facevo i cazzi miei.
5) Per soldi.
6) Questo chiedetelo a Fini.
7) Non criticavo quella del Msi, figurati un po'...ma poi c'è qualcuno che è ancora antisionista?
8) Perché Giano Accame ha condiviso le mie? Esiste ancora uno spazio filosofico-intellettuale di destra in italia?
9) Per sopravvivenza, puro darwinismo... e un pizzico di fascismo.
10) Quel che resta di una Volontà di potenza... non togliamoci almeno l'ultimo briciolo di autofanatismo...
Puro esercizio, nulla di mio o personale. Saluti!
Giacomo
.
.
Se io fossi Veneziani risponderei così:
.
1) Perché non scrivo sul Secolo né Repubblica, poi se ci ha scritto Telese...
2) Perché non pubblico su Rizzoli.
3) Distanza di stile.
4) Perché ai tempi non c'erano ancora mali assoluti, e io mi facevo i cazzi miei.
5) Per soldi.
6) Questo chiedetelo a Fini.
7) Non criticavo quella del Msi, figurati un po'...ma poi c'è qualcuno che è ancora antisionista?
8) Perché Giano Accame ha condiviso le mie? Esiste ancora uno spazio filosofico-intellettuale di destra in italia?
9) Per sopravvivenza, puro darwinismo... e un pizzico di fascismo.
10) Quel che resta di una Volontà di potenza... non togliamoci almeno l'ultimo briciolo di autofanatismo...
Puro esercizio, nulla di mio o personale. Saluti!
Giacomo
.
***
Marcello Teofilatto
.
Niente male, Giacomo. Ci provo io:
.
1) Perché è sempre meglio che
leggerlo..
Niente male, Giacomo. Ci provo io:
.
2) Per avere la metà o anche solo un quarto delle comparsate di Bruno Vespa.
3) E che, lo dovevo adottare da vicino?
4) Come diceva uno dei padri della cultura di destra, Leo Longanesi, "tengo famiglia".
5) Avevo promesso a suo tempo di incatenarmi se avessero allontanato Santoro e l'ho fatto: mi sono incatenato al mio posto.
6) Perché se no come faccio a presentarmi come libero pensatore indipendente?
7) Libero pensatore indipendente sì, ma fesso no.
8) Vedi risposta 4.
9) Perché Berlusconi è in difficoltà, ed è tradizione della destra sociale lo stare coi più deboli.
10) QUESTA E' CHIARAMENTE UNA PROVOCAZIONE FASCISTA!
Saluti da Marcello Teofilatto
lunedì 23 novembre 2009
Dieci domande
a
Marcello Veneziani
1) Perché Lei scrive sul
“Giornale”?
2) Perché Lei pubblica con Mondadori?
3) Lei non aveva dichiarato di voler adottare Berlusconi a distanza?
4) Perché non ha attaccato Fini quando Lei è stato nominato consigliere Rai?
5) A questo proposito perché Lei non si è dimesso dalla Rai, appena si è
accorto che non aveva alcun potere?
6) Perché Lei attacca Fini proprio nel momento in cui l’ex presidente di An
prende le distanze da Berlusconi?
7) Perché Lei si è sempre ben guardato dal criticare la politica
filo-israeliana di Fini?
8) Perché Lei non ha mai condiviso pubblicamente le critiche di Giano Accame
alla svolta finiana?
9) Perché Lei adesso è diventato berlusconiano?
10) Perché Lei pensa con presunzione che non possa esistere una cultura di
destra senza Marcello Veneziani?
Carlo Gambescia e Nicola Vacca
giovedì 19 novembre 2009
Franco Cardini e Antonio Caracciolo
E bravo il "Secolo d'Italia"... Due pesi, due misure
Oggi il “Secolo d’Italia” pubblica in prima pagina (taglio basso) la replica di
Franco Cardini all’ accusa di far parte di un complotto rosso-nero-verde. Non
abbiamo ancora letto il libro di Alexander Valle (Verdi, rossi, neri, Lindau), oggetto del contendere,
perciò, per ora, non ci pronunciamo sul merito delle accuse rivolte allo
storico fiorentino.
Al posto di Cardini, avremmo però evitato di replicare: certe accuse, se
ideologicamente false si squalificano da sole; se lesive dell’onorabilità
riguardano gli avvocati.
E comunque sia, nel caso di una replica pubblica, avremmo colto l’occasione per
rilanciare “l’affaire Antonio Caracciolo”: il docente romano di filosofia del
diritto ingiustamente accusato - fino a prova contraria - di “negazionismo”. E
che rischia di essere allontanato dall’Università. Invece niente.
E qui va evidenziato anche l’atteggiamento del “Secolo d’Italia”, che si è ben
guardato dal concedere a Caracciolo lo stesso spazio concesso a Cardini.
Due pesi, due misure. Complimenti.
Carlo Gambescia
POST NUMERO 1000!
Il libro della settimana: François
Walter, Catastrofi. Una storia culturale, Angelo Colla
Editore 2009, pp. 365, euro 23,00.
www.angelocollaeditore.it |
.
Nell’epoca della “catene”, speriamo, per ora, solo editoriali e librarie, si
parla sempre poco delle piccole case editrici. Che, in realtà, rispetto alla
qualità, non sono mai così “micro”… Come ad esempio quella fondata da Angelo
Colla nel 2002: editore vicentino che ha già all’attivo un’opera collettiva, di
altissima caratura scientifica come Il
Rinascimento italiano e l’Europa, in dodici volumi (finora sono
usciti i primi cinque, bellissimi). Oltre ad affabulanti pubblicazioni
nell’ambito delle scienze umane, dell’arte, della manualistica, della cultura
locale e di recente della narrativa. Insomma una casa editrice capace di unire
ed evocare universale e particolare: rigore e passione, se si vuole. Piccola,
ma non nella qualità. E che aspira a diventare grande. Auguri sinceri.
E solo un editore dotato di notevole fiuto poteva scovare e tradurre
tempestivamente (l’edizione francese è del 2008) un libro al tempo stesso
intrigante, opportuno e dotto come quello di François Walter, Catastrofi. Una storia culturale
(Angelo Colla Editore 2009, pp. 365, euro 23,00 ). L’autore è uno storico
dell’Università di Ginevra, dalla cultura enciclopedica. Già noto in Italia per
una ghiotta Storia dell’ambiente europeo,
scritta con il medievista Robert Delort (Editore Dedalo 2002).
Dunque, lo abbiamo definito un libro intrigante, opportuno e dotto. Dobbiamo,
allora, spiegare perché.
Intrigante, perché Catastrofi
affronta un problema antico quanto l’uomo: quello, per metterla sul colto,
della Teodicea. In parole povere del perché il male infierisce sugli uomini
senza preavviso. E con il permesso di Dio, secondo alcuni. Senza, per altri.
Opportuno, perché viviamo in un’ epoca dove si parla solo di “catastrofi”:
naturali, ecologiche, economiche, sociali . E quindi giunge propizio un libro
che spiega che tipo di storia culturale vi sia dietro il “catastrofismo.
Dotto, perché François Walter, pur esponendo i fatti in modo avvincente, non
rinuncia mai a fornire le cosiddette “pezze d’appoggio”. Il libro spicca per
una ricchezza di autori trattati e di riferimenti bibliografici
(accuratissimi), che lascia veramente a bocca aperta. Senza mai però intimidire
il lettore. Con scioltezza: con la semplicità del grande storico.
Ma veniamo alla tesi del libro. Walter ricostruisce la storia del concetto di
catastrofe dal XVI secolo ai giorni nostri, nelle sue ramificazioni sociali e
culturali: da Calvino e Francesco di Sales fino ad Al Gore. Semplificando, il
percorso storico è il seguente: al paradigma provvidenzialistico della
catastrofe (teologico), predominante fino alla metà del XVIII secolo, si è
prima sostituito quello naturalistico (scientifico): in termini di controllo,
non più divino, ma umano, degli eventi naturali. Durato, grosso modo, fino al
Primo Grande Macello del 1914. Dopo di che - e soprattutto all’indomani del
Secondo Grande Macello, culminato con la Shoah , Hiroshima e Nagasaki - si è fatta avanti
la tesi dell’imperscrutabilità della catastrofe, in un mondo ormai abbandonato
da Dio. E dove l’uomo finisce per assumere il ruolo del portatore sano del
“male catastrofe”. Di qui però lo sviluppo, dagli anni Settanta del Novecento
in poi, di una società dei rischio, se non controllato, almeno “controllabile”
e riducibile grazie alla mano visibile della politica…
Ricapitolando: dalla passività teologica, si è passati all’attivismo
progressista della scienza, per poi accettare un prudente interventismo, che
non scomoda né Teologia, né Scienza, ma sovraccarica di decisioni la Politica , come del resto
è sotto gli occhi di tutti.
Interessanti, a questo proposito, le riflessioni di Walter sulla “società del
rischio”. Società che, come rileva,
.
“non assomiglia più allo Stato
previdenziale, pazientemente costruito dalle generazioni del XX secolo: non spetta
più infatti alla società preservare i cittadini, ma ciascun individuo è tenuto
singolarmente ad accettare i rischi probabili, badando a non lasciarsi
travolgere dal processo di ‘vulnerabilizzazione’ che a colpi di flessibilità
nel mondo del lavoro tocca una porzione non trascurabile degli abitanti della
maggior parte dei paesi europei. La vulnerabilità e la precarietà si sono così
sostituite all’impoverimento. L’unica certezza è quella di una minaccia
costante, spia di un nuovo rapporto con il mondo, donde il favore di cui gode
il principio di precauzione diventato… la vulgata dei poteri decisionali”.
.
E dunque della politica. In questo senso,
l’idea di una minaccia costante, in realtà potrebbe servire solo a rafforzare
il potere esistente. Ci si serve - e qui andiamo oltre le tesi di Walter -
della possibilità del disordine (il rischio della catastrofe naturale, sociale,
economica) per imporre l’ordine assoluto. La teorizzazione e la pervasività del
rischio a ogni livello andrebbero a rafforzare, l’apparentemente invisibile ma
altrettanto soffocante, Leviatano post-moderno: basato su una sorta di
individualismo, funzionale al potere. E dunque su un'idea di individuo, se non
da assistere, almeno da rassicurare, come si fa con i bambini in preda agli incubi
notturni. Fatto che non depone sicuramente in favore di una società matura e
libera. Ecco, il libro di Walter favorisce anche una riflessione “metapolitica”
di questo genere. Altro buon motivo per leggerlo.
Carlo Gambescia
.mercoledì 18 novembre 2009
Tutti pazzi per l’acqua
E così in Italia è riesploso il problema della privatizzazione dell’ acqua.
La questione va esaminata sotto due aspetti.
Il primo è quello politico, e riguarda la "stabilità instabile" del
governo Berlusconi. Sinistra riformista e sinistra radicale stanno utilizzando
la questione in chiave politica per rendere la vita difficile al centrodestra.
Ora, mentre la sinistra radicale è in buona fede ( perché da sempre contro la
privatizzazione dell’acqua), quella riformista (Pd e dintorni) no. Bersani, da
ministro, era favorevolissimo. Per non parlare di nefasti ministri prodiani
come Padoa-Schioppa.
Il secondo aspetto è sociologico e riguarda la natura profonda del capitalismo.
Se si esamina il suo sviluppo, non si può non osservare come il capitalismo si
sia sviluppato attraverso ondate successive di privatizzazioni (globalizzazioni
+ concentrazioni oligopolistiche), alle quali ha fatto da contenimento il
potere dello stato (economia mista + welfare sociale e giuridico). E ora è il
turno dell’acqua.
Due vie d’uscita, ovviamente semplificando all'osso.
La prima. La sinistra ( e in particolare il Pd), lascia perdere le fantasie
centriste e "neoliberiste", recupera il senso dello Stato e del
Sociale, batte Berlusconi, e impone l’acqua pubblica. Come in passato impose il
welfare. Insomma, fa da contenimento alla mercificazione capitalista, come
fecero le socialdemocrazie europee.
La seconda. La sinistra, decide di abbattere il sistema (e dunque non solo
Berlusconi), coopta nel suo seno, volente o nolente, le lunatic fringes italiane (a cominciare
dai decrescisti), tutte rigorosamente per l'acqua pubblica, o quanto meno ne
adotta le idee, per puntare su una specie di socialismo nazionale (o su
qualcosa di "nuovo conio"). Al quale giungere, si fa per dire,
attraverso la "festa della rivoluzione" contro il capitale.
Lasciamo ai lettori il giudizio su quale delle due strade sia la più
percorribile e sicura sotto il profilo democratico.
Carlo Gambescia
.
martedì 17 novembre 2009
“Il Secolo d’Italia
truffa 09”
di Carlo Gambescia e
Nicola Vacca
.
.
.
Non ci stanchiamo mai di rivedere quel film
dove Totò cerca di vendere Fontana di Trevi a un americano: “Totòtruffa 62” .
Ogni volta ci sbellichiamo dalle risate. E la stessa cosa ci capita appena
sfogliamo le pagine culturali(?) del “Secolo d’Italia”. Dove si cerca di
vendere quella gigantesca fontana Di Trevi, che fu la “tentazione fascista” (
riveduta e corretta a uso e consumo dei fans dei Manga ), ma non si capisce
bene a chi: se a un lettore di destra, praticamente inesistente, oppure a una
sinistra, soprattutto intellettuale, che sembra starci, solo perché Fini ora fa
comodo contro Berlusconi.
Il problema, sia chiaro, almeno per chi scrive, non è quello di rivendicare
presunte purezze ideologiche, ci mancherebbe altro. Ma quello di smascherare
“Il Secolo d’Italia truffa 09”…
In primo luogo, ripetiamo, perché l’ex giornale di An scrive di autori mai
letti, come nel caso di Žižek. E dunque si procede a orecchio. Il che è una
vergogna.
In secondo luogo, la convergenza occasionale con Asor Rosa è puramente politichese
e in chiave antiberlusconiana. Quella sulla carta (dal momento che si tratta di
una recensione) con Tronti, non esiste proprio. Che rilevanza da nuove o
vecchie sintesi (faccia il lettore), può avere un accordo puramente di
superficie sulla critica all’antipolitica? Oppure sull’importanza del pensiero
conservatore novecentesco? Mah...
Ad Asor Rosa e Tronti si dovrebbe invece chiedere sul tamburo un giudizio
sull’occupazione delle fabbriche nel 1920, sull’impresa etiopica, sulla
dichiarazione mussoliniana di guerra, sulla Repubblica Sociale. E (perché no?)
anche sui fatti di Genova nel 1960.
Oppure se vogliamo andare sul colto: sul populismo nella letteratura italiana,
su Pasolini, sulla centralità della classe operaia e sul conflitto di classe
come fattore di trasformazione sociale…
E allora ne vedremmo delle belle, altro che la gigantesca Fontana di Trevi
della "tentazione fascista"…
Per il resto si tratta solo di balle pseudo-culturali al servizio di
un’operazione politica precisa: far cadere Berlusconi.
.
Carlo Gambescia e
Nicola Vacca
venerdì 13 novembre 2009
Pensierino del mattino
Giuridica ( all'amico Teodoro Klitsche de
.
Grundnorm
Nasce dalle ceneri,
si presume che esista,
muore dimenticata.
.
Abuso di potere
Fare quel che non si deve fare.
Non fare quel che si deve fare.
Ma sempre in nome della legge.
.
Forma del contratto
“Pagare un prezzo,
come da promessa scritta”.
Ma per comprare che cosa?
.
Legalità
Dare ragione al giusto,
in nome del diritto,
per poi favorire l’ingiusto,
in nome della legge.
.
Esprit des lois
La legge viene prima del diritto.
La politica prima della legge.
La forza prima della politica.
Carlo Gambescia
mercoledì 11 novembre 2009
Incontri su YouTube
Alle origini del "Grande Fratello"...
Altra chicca, ma non solo musicale. Si tratta di un video, che anticipa i
videoclip di oggi: anno 1966 ( https://www.youtube.com/watch?v=ksmlWkfRSFI), girato in
Italia, Roma, via Vittorio Veneto.
Ma il punto interessante è un altro: la reazione dei passanti davanti
all’occhio della telecamera; reazione meno composta e dignitosa di quella del
pigmeo africano di fronte all’ esploratore munito di macchina fotografica. E
che si sviluppa lungo un crescendo rossiniano: preoccupazione, curiosità,
complicità, condivisione finale della scena in termini di apoteosi. Si tratta di
un comportamento sociologicamente interessante. Che può offrire qualche
elemento di riflessione per comprendere i successivi "trionfi", non
solo in Italia, di programmi come il Grande Fratello e della televisione
commerciale in genere.
Per la cronaca, la graziosa cantante “scalza” è Sandie Shaw (http://it.wikipedia.org/wiki/Sandie_Shaw ). Simpatica
esecutrice di una canzoncina che profuma di feste con giradischi, aranciate,
gioco della luce spenta... E perché no? Anche di castissimi primi baci in punta
di piedi e sulle note di “Domani”.
Nostalgia, canaglia...
Carlo Gambescia
lunedì 9 novembre 2009
Professore, che fatica raggiungerla
fin qui nel Valhalla… Tra l'altro non pensavo di trovarla nel paradiso degli
eroi morti in battaglia. Dal momento che lei, professore, durante il servizio
militare non è addirittura caduto da cavallo? Insomma... E, se ricordo bene,
nel corso della guerra franco-prussiana ha servito la patria solo come
infermiere... O no?
Le rammento che a Torino tutti mi
scambiavano per un uffiziale prussiano...
Perciò è qui per sbaglio.
Ssssss...
Capisco, ma che stanchezza. Non me ne
voglia, salire fin quassù...
Evidentemente, signore, lei non è abituato
come me alle lunghe camminate. Per non parlare delle scalate. Italiano della
Magna Grecia ?
Roma.
Roma.
Mi pareva... E non è neppure di nobile
famiglia...
Sono un sociologo.
E così anche lei è stato traviato dal cristianesimo. Ah, la sociologia! Lei si occupa di una presunta scienza che si fonda sull’analisi dell’istinto del gregge, ovvero, degli zeri sommati. Dove è virtuoso essere zero. E dunque cristiano. Ah, la décadence!
Veramente, sarei qui in veste di semplice intervistatore…
Pour un entretien… Allora proceda pure, signore. Ma in fretta tra dieci minuti inizia la mia lunga passeggiata giornaliera di salute.
Ecco, dal momento che si tratta di un' intervista che uscirà sul mio blog, vorrei chiederle un giudizio sulla Rete…
Blog, Rete? Was sind das für Sachen? Che storie sono qveste?
Vede professore, adesso sulla Terra, non ci si scrive più per lettera, ma si comunica direttamente attraverso un apparecchio che si chiama personal computer. Io scrivo un testo e subito il mio interlocutore, anche il più lontano, può leggerlo su una specie di lavagnetta… E tutti i personal computer messi insieme costituiscono la Rete…
Lavagnetta? Mi faccia capire... Non esistono più libri e giornali?
No, esistono ancora, ma grazie alle Rete tutti possono trasformarsi in scrittori e giornalisti: si apre un blog, che è una specie di diario pubblico che tutti possono leggere e commentare... Insomma, in questo modo si può parlare democraticamente al mondo… Siamo tutti sullo stesso piano.
Tutti sullo stesso piano? Parlare al mondo? Idiotie... Solo un tipo superiore può parlare al mondo. Ma faccia attenzione: il genio è la macchina più sublime che ci sia. E pertanto la più fragile… Non ci sono riuscito io a farmi capire dal mondo, figurarsi un dummkopf: un cretino qualsiasi… E poi quante persone di genio possono nascere in un secolo? Due o tre al massimo. Ad esempio io ero l'unico genio della seconda metà del XIX secolo. E lei signore mi parla di milioni di computer; milioni di possibili persone di genio... Lächerlich... Ridicolo.
Sono un sociologo.
E così anche lei è stato traviato dal cristianesimo. Ah, la sociologia! Lei si occupa di una presunta scienza che si fonda sull’analisi dell’istinto del gregge, ovvero, degli zeri sommati. Dove è virtuoso essere zero. E dunque cristiano. Ah, la décadence!
Veramente, sarei qui in veste di semplice intervistatore…
Pour un entretien… Allora proceda pure, signore. Ma in fretta tra dieci minuti inizia la mia lunga passeggiata giornaliera di salute.
Ecco, dal momento che si tratta di un' intervista che uscirà sul mio blog, vorrei chiederle un giudizio sulla Rete…
Blog, Rete? Was sind das für Sachen? Che storie sono qveste?
Vede professore, adesso sulla Terra, non ci si scrive più per lettera, ma si comunica direttamente attraverso un apparecchio che si chiama personal computer. Io scrivo un testo e subito il mio interlocutore, anche il più lontano, può leggerlo su una specie di lavagnetta… E tutti i personal computer messi insieme costituiscono la Rete…
Lavagnetta? Mi faccia capire... Non esistono più libri e giornali?
No, esistono ancora, ma grazie alle Rete tutti possono trasformarsi in scrittori e giornalisti: si apre un blog, che è una specie di diario pubblico che tutti possono leggere e commentare... Insomma, in questo modo si può parlare democraticamente al mondo… Siamo tutti sullo stesso piano.
Tutti sullo stesso piano? Parlare al mondo? Idiotie... Solo un tipo superiore può parlare al mondo. Ma faccia attenzione: il genio è la macchina più sublime che ci sia. E pertanto la più fragile… Non ci sono riuscito io a farmi capire dal mondo, figurarsi un dummkopf: un cretino qualsiasi… E poi quante persone di genio possono nascere in un secolo? Due o tre al massimo. Ad esempio io ero l'unico genio della seconda metà del XIX secolo. E lei signore mi parla di milioni di computer; milioni di possibili persone di genio... Lächerlich... Ridicolo.
Ma professore la Rete è uno strumento
democratico… Proprio oggi l'Europa celebra i venti anni trascorsi dalla caduta
del Muro di Berlino.
Ma quale Muro. Esiste solo un muro: quello della mediocrità umana. Della stupidità. E poi l'uomo superiore non riconosce uguaglianza. A cominciare da quella vantata dai cristiani. Stupidi che parlano dell'uguaglianza davanti a Dio. Pusillanimi.
Ma quale Muro. Esiste solo un muro: quello della mediocrità umana. Della stupidità. E poi l'uomo superiore non riconosce uguaglianza. A cominciare da quella vantata dai cristiani. Stupidi che parlano dell'uguaglianza davanti a Dio. Pusillanimi.
.
E la democrazia?
.
Ah, la democrazia! Una delle cause
dell’abdicazione dello spirito tedesco al dominio dell’Europa. Essa, signore,
si fonda sull’inganno rappresentato dal fatto che la governabilità degli uomini
viene ritenuta da alcuni pensatori idealisti un indice di progresso.
Perché non lo è?
La democrazia serve solo a indebolire la
volontà. E a snaturare l’ideale aristocratico, facilitando il subdolo gioco del
cristianesimo. Anzi le dirò di più: quella società che rifiuta la guerra come
strumento di conqvista è matura per la
democrazia. Un forma di governo che prospera sulla mancanza di fede nei grandi
uomini. Quelli veri, non come quell'uomo politico che governa da voi: il signor
Berluskan, mi pare si chiami. Me ne ha parlato un filosofo italiano, Monsù
Colletti... E' giunto qui qualche anno fa. Però lui vive due piani sotto.
Sembra sia un ex marxista pentito.
.
Silvio Berlusconi si chiama. Faccia
attenzione professore, perché può farle causa.
.
Mah... La democrazia, in buona sostanza,
rifiuta per principio una società sanamente elitaria... Al massimo può favorire
l'ascesa del demagogo: un signor Berluskan, ad esempio. Berlusconi, mi scusi.
.
Ma...
Non mi contraddica signore, la democrazia è
solo frutto di viltà, di stanchezza e di debolezza.
Ma grazie alla democrazia le idee possono circolare…
Ma quali idee, quelle del gregge che studia lei... Al massimo, egregio signore, le concedo che qvesta “Rete” di cui parla può essere il laboratorio di una nuova forma di schiavitù al di sopra della quale, magari in futuro, forse potranno elevarsi alcuni spiriti dominatori e cesarei… Ma quale democrazia… Per ora la sua Rete non può che riflettere un piattume, intellettualmente indecoroso.
.
E allora?
Allora niente. Lei signore è venuto fin qui, solo per pormi delle domande stupide su di un tema stupido: la democrazia. Da quel che capisco, voi di laggiù, siete ancora in piena décadence. E per di più vi illudete di guarire grazie alla scienza e alle invenzioni… Poveri illusi.
Ma grazie alla democrazia le idee possono circolare…
Ma quali idee, quelle del gregge che studia lei... Al massimo, egregio signore, le concedo che qvesta “Rete” di cui parla può essere il laboratorio di una nuova forma di schiavitù al di sopra della quale, magari in futuro, forse potranno elevarsi alcuni spiriti dominatori e cesarei… Ma quale democrazia… Per ora la sua Rete non può che riflettere un piattume, intellettualmente indecoroso.
.
E allora?
Allora niente. Lei signore è venuto fin qui, solo per pormi delle domande stupide su di un tema stupido: la democrazia. Da quel che capisco, voi di laggiù, siete ancora in piena décadence. E per di più vi illudete di guarire grazie alla scienza e alle invenzioni… Poveri illusi.
Beh...
La riverisco professore.
Io no.
( a cura di Carlo Gambescia)
giovedì 5 novembre 2009
Il libro della settimana: Nicola
Vacca, Esperienza degli affanni, Edizioni il Foglio
Letterario, pp. 84, euro 6.00.
Sociologia o poesia? La domanda può apparire insolita. Ma c’è una spiegazione: le scienze sociali da alcuni anni si cimentano con la “sociologia delle emozioni”… Da membri della “congrega” (quella dei sociologi), siamo però molto scettici sulla possibilità di uno studio sociologico delle emozioni umane, capace di andare oltre l’esposizione di freddi elenchi statistici: nude cifre che dovrebbero fissare le percezioni collettive di una realtà interiore e indefinibile, già sul piano individuale. E che appartiene ai poeti, come appunto il mondo delle passioni, dei sentimenti e degli stati d’animo…
Insomma, il sociologo su certi argomenti deve tacere e lasciare spazio a letterati e poeti. Magari per apprendere proprio da questi ultimi quel senso, per così dire, dell’ ”inattingibile sociologico”. O se si preferisce dell’impossibilità di scrutare, armati di grafici e tabelle, nei cuori umani.
Ovviamente ci riferiamo a una poesia capace di fare i conti con il dolore, probabilmente la più pura e reale delle esperienze umane: un tempo si diceva, “morire di crepacuore”…
E qui pensiamo all’opera di Nicola Vacca, giornalista, scrittore, ma soprattutto poeta, che i lettori del blog già conoscono e apprezzano. Una poesia degli e negli affanni, legata dunque alla vita di tutti i giorni e ai suoi dolori, come appunto mostra, fin dal titolo la sua ultima bella raccolta: Esperienza degli affanni (Edizioni il Foglio letterario, pp. 84, euro 6.00 - http://www.ilfoglioletterario.it/ ) . Ma lasciamo la parola al poeta.
“La vita non è facile/lo sanno i poeti./ Tutte le mattine/fanno i conti con le parole/camminano senza mappa./ Tengono tra le mani/ la poesia che succede nella crudeltà/di un altro giorno di paura” (La crisi, p. 7).
Ecco, l’idea di mappa rinvia al viaggio esistenziale, giorno dopo giorno. Ma dove si va? Verso Il lato giusto delle cose (p. 11): “Dateci parole semplici/per attraversare il mare./ C’è pericolo di naufragio/ la mente brucia, il cuore è squarciato./ Il dolore è perdita/ma è anche l’esperienza dell’uomo giusto. Sono proprio coloro che non ci sono più/ a raccontarci che nella memoria/ forse la deriva può essere evitata esiste/ anche il lato giusto delle cose”.
Naturalmente il poeta non può conoscere o indicare porti sicuri. Ma nutrire solo la consapevolezza che “il vuoto afferra la realtà”(Il vuoto afferra, p. 41), confinandoci “in un freddo di cose ultime” (L’esperienza del freddo, p. 55). Ma allora che rimane? Resta soltanto, come monito stilistico e missione redentrice, all’ombra di una laicità contesa al Dio delle cose e degli eserciti, La crudeltà delle parole nude (p. 79): “In questi tempi sinistri/l’inverno dello spirito è l’unica stagione/ che ha qualcosa da dire./ E’ troppo intenso l’odore del cloroformio./ Non cercate l’intuizione./Ad essere incendiari si corre il rischio di finire sul rogo. Amate la crudeltà delle parole nude”.
E non è poco.
Qualche giorno fa, sfogliavamo questa raccolta, tornando a casa in autobus, in quel crepuscolo da sempre caro ai poeti. Intorno a noi una umanità ferita dalle abitudini. Uomini e donne, chiusi su se stessi, ma non per scelta: solo per costrizione di una società “vuota che afferra” e mette nell’angolo, per parafrasare i taglienti versi di Nicola Vacca. Quale può essere, pensavano, il ruolo della poesia per queste anime morte, o sul punto di morire? Forse di risvegliarle? Ma come? Se chi scrive, in quel preciso momento, si fosse messo a declamare poesie in autobus, fra gente sopraffatta dalla stanchezza, probabilmente avrebbe raccolto intorno sé gli sguardi infastiditi o indifferenti, che di solito si posano sugli outsider delle miserie urbane …
Perché invece non tornare a declamare la poesia, ovunque? Nelle piazze, nelle strade, nelle stazioni? Celebrando e attribuendo a versi e versificatori una funzione concreta, reale, civica e civile? Una poesia non legata ai narcisismi da combriccola di pochi poeti “coronati”…
Ne siamo infatti certi: in questo nostro viaggio quotidiano al termine delle cose - anche in autobus, come abbiamo visto… - la poesia, attraverso l’ intuizione e la rappresentazione del dolore può tornare a scolpire l’anima degli uomini, parlando al cuore delle persone. Perché, come ci ricorda Nicola Vacca, “non è più tardi/ per un’altra possibilità".
Carlo Gambescia
Iscriviti a:
Post (Atom)