martedì 28 aprile 2009

Polemiche
Le veline secondo la destra finiana




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Le critiche di "Fare Futuro", apparse sul magazine della Fondazione e sostanzialmente recepite da Gianfranco Fini, sulla candidatura alle europee nel Pdl di alcune veline e attrici ("Le donne non sono gingilli da utilizzare come specchietti per le allodole, non sono nemmeno fragili esserini bisognosi di protezione e promozione da parte di generosi e paterni signori maschi, le donne sono, banalmente, persone. Vorremmo che chi ha importanti responsabilità politiche qualche volta lo ricordasse"- http://www.farefuturofondazione.it/
 ), sollevano un problema di fondo. Quale? Quello della dignità del mestiere dell’attore, e nel caso, dell’attrice. E di certo razzismo che sembra oggi prevalere verso di esso.
Ma di quali signore e signorine parliamo? Presto detto: Barbara Matera, già "letteronza", Angela Sozio, ex del Grande Fratello, Camilla Ferranti, reduce da Incantesimo, Eleonora Gaggioli, direttamente dai set di Don Matteo ed Elisa di Rivombrosa. Volti purtroppo destinati - come scrive moralisticamente la Repubblica - “a rappresentare l'Italia in Europa. In quel Parlamento europeo che con le ribalte televisive ha poco da spartire. O almeno dovrebbe”. (http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/politica/elezioni-2009-1/futuro-veline/futuro-veline.html ).
Questo moralismo, secondo alcuni lodevolemente postfascista, non ci convince. Se c’è parità, tra uomini e donne, deve esserci anche parità tra lavori. E soprattutto rispetto per tutte le professioni. Non vorremmo sbagliare, ma in passato, a destra come a sinistra, sono state giustamente candidate, sia in Italia sia in Europa, attrici e conduttrici. Se un Parlamento deve essere lo specchio professionale di una società, è giusto che in esso siano presenti le varie anime lavorative. Soprattutto se femminili.
Naturalmente la tesi di coloro che si oppongono, a prescindere dal camaleontismo di Fini che sta studiando da prossimo segretario del Pdl, è frutto di profondo antiberlusconismo e di odio viscerale nei riguardi della televisione commerciale. In nome di certo superficiale anticapitalismo, che sembra oggi distinguere, a livello di contentino interno, la cosiddetta destra postfascista. Due atteggiamenti, diffusi anche a sinistra, e animati dalle storie intorno al Cavaliere-Sultano che tanto intrigano gli italiani. Atteggiamenti che possono anche essere plausibili sul piano della lotta politica, dove tutto è ammesso, pur di sconfiggere "l’odiato" avversario (nel caso Berlusconi). Ma solo al prezzo, spesso, di violare le libertà formali, come appunto in questo caso. Dove lo svolgimento di un lavoro, quello dell’attrice, che fino a prova contraria va giudicato onesto come tanti altri, viene usato per discriminare politicamente le donne, cercando di privarle di fatto del diritto di elettorato passivo. Che se ricordiamo bene, non riguarda la professione di “velonza” ma gli eventuali requisiti posseduti da un soggetto per potersi candidare, come l’età, la cittadinanza, la posizione giudiziaria. E non risulta che le attrici di cui sopra siano prive di tali requisiti.
Sarebbe onesto perciò che le organizzazioni femministe e i maschi ancora in grado di ragionare con la testa propria, invece di sbavare dietro a Fini, autentico Uriah Heep della politica italiana, prendessero posizione, condannando questa ennesima campagna razzista contro l’inserimento delle donne in politica. O chiediamo troppo?


Carlo Gambescia 

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