Il libro della settimana: Alessandro
Campi e Angelo Mellone ( a cura di), La destra nuova. Modelli di partito,
leader e politiche a confronto in Francia, Gran Bretagna e Svezia, Marsilio, Venezia 2008, pp. 205, euro
11,00.
Piuttosto deludente - e dispiace dirlo - il volume curato da Alessandro Campi e Angelo Mellone (La destra nuova. Modelli di partito, leader e politiche a confronto in Francia, Gran Bretagna e Svezia, Marsilio, Venezia 2008, pp. 205, euro 11,00), che inaugura la collana “Interventi” della Fondazione Fare Futuro. Della quale Campi, professore associato di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Perugia, e Mellone, ricercatore di Scienza politica della romana Università San Pio V, sono rispettivamente direttore scientifico e direttore editoriale.
In primo luogo, perché l’ipotesi della "destra nuova" non sembra solidamente fondata. Quelli che i curatori indicano, in 38 pagine di introduzione comunque non banali, come i “valori nuovi” della destra francese, inglese svedese ( liberismo dolce e moderata attenzione verso i diritti civili e l’ambiente) sono semplicemente esito di un mimetismo ambientale, imposto da una politica di “corsa” verso il centro politico. Inaugurata, e con successo, da Blair.
Probabilmente Sarkozy, Cameron e lo svedese Reinfeldt nascono come uomini con spiccate propensioni per il centro dello schieramento politico. E in questo senso sono omologhi (o quasi) di Blair, con l’unica differenza che provengono da destra. Dopo di che il mimetismo ambientale ha fatto il resto.
In realtà, il vero problema da indagare, sarebbe quello
del perché destra e sinistra ormai si somiglino così tanto: del perché il
mimetismo ambientale si sia oggi fatto vettore di valori e interessi "di
centro". In questo senso, se proprio si desiderava mettere un cappello
accademico sul capo delle pseudodestre nuove, si doveva parlare di “ centri
nuovi": perché crediamo sia compito dello studioso sociale analizzare la
realtà per quel che è non per quel che dovrebbe o potrebbe essere. Del resto -
a riprova di quanto asserito - i saggi raccolti nel libro, mostrano appunto che
le destre francese, britannica e svedese si sono spostate al centro.
Contraddicendo la tesi dei curatori sulla “destra nuova”. Quando si dice farsi
del male da soli...
In secondo luogo, il volume delude perché raccoglie contributi diseguali e poco
organici. Già in termini di distribuzione dello spazio: circa la lunghezza
dell' introduzione abbiamo già detto; alla Francia di Sarkozy sono dedicati due
saggi, complessivamente lunghi 38 pagine; alla Gran Bretagna, tre saggi per 61
pagine; alla Svezia, 4 saggi per 53 pagine.
Inoltre i contributi sull’esperienza francese (Sofia Ventura e Marcello Foa) sono soprattutto incentrati sul "colore" sarkozyano. Per contro, il primo intervento dedicato allo scenario politico-elettorale britannico (Luigi Di Gregorio) risulta altamente specialistico, ricco di dati e tabelle. Finendo così per stonare con i due interventi precedenti. Come con quelli successivi dedicati, il primo, in chiave impressionistica, al conservatorismo cameroniano ( Kieron O’Hara), il secondo, curioso ma giornalistico, alla blogosfera conservatrice britannica (Nicholas Jones).
Probabilmente la parte migliore del libro è quella dedicata ai “Nuovi moderati” svedesi: quattro interventi, tutti ben calibrati, che inquadrano ottimamente il sistema partitico svedese (Göran von Sydow), la cultura della destra (Niklas Ekdal), la tradizione del welfare (Maria Rankka), l’economia sociale secondo i “nuovi moderati” (Fredrik Aage).
Una sezione, quella dedicata alla Svezia, che però può solo rafforzare in chi legge la convinzione che queste "destre" sono sostanzialmente forze di centro. Inutile perciò definirle tali e per giunta "nuove".
Inoltre i contributi sull’esperienza francese (Sofia Ventura e Marcello Foa) sono soprattutto incentrati sul "colore" sarkozyano. Per contro, il primo intervento dedicato allo scenario politico-elettorale britannico (Luigi Di Gregorio) risulta altamente specialistico, ricco di dati e tabelle. Finendo così per stonare con i due interventi precedenti. Come con quelli successivi dedicati, il primo, in chiave impressionistica, al conservatorismo cameroniano ( Kieron O’Hara), il secondo, curioso ma giornalistico, alla blogosfera conservatrice britannica (Nicholas Jones).
Probabilmente la parte migliore del libro è quella dedicata ai “Nuovi moderati” svedesi: quattro interventi, tutti ben calibrati, che inquadrano ottimamente il sistema partitico svedese (Göran von Sydow), la cultura della destra (Niklas Ekdal), la tradizione del welfare (Maria Rankka), l’economia sociale secondo i “nuovi moderati” (Fredrik Aage).
Una sezione, quella dedicata alla Svezia, che però può solo rafforzare in chi legge la convinzione che queste "destre" sono sostanzialmente forze di centro. Inutile perciò definirle tali e per giunta "nuove".
Carlo Gambescia
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