25 aprile: non siamo tutti resistenti
.
Quanto è ancora complicato uscire dalla paludosa e
paludata contrapposizione fascismo-antifascismo. Soprattutto quando si avvicina
il 25 aprile. Quando scatta il riflesso pavloviano dei routinier della
politica italiana, principalmente a sinistra. Ecco allora che Dario
Franceschini in occasione degli imminenti festeggiamenti del 25 aprile tira
fuori la retorica resistenziale. Il segretario del Partito Democratico invita
ufficialmente Silvio Berlusconi alla manifestazione di Milano, sarebbe un modo
per dimostrare che la
Resistenza è ancora un luogo condiviso. Il Cavaliere ci sta
pensando: “Finora non ho mai partecipato perché mi sembra ci sia sempre stata
un’appropriazione indebita da parte di una sola parte politica”.
Berlusconi, una tantum, dice la verità. Ma prima di lui l’aveva detta
Sergio Cotta, grande giurista cattolico e partigiano bianco, che più di
trent’anni fa si era interrogato in un bellissimo libro intitolato Quale
Resistenza?, sull’appropriazione indebita della Resistenza, da parte della
sinistra, in particolare comunista. E ovviamente, Franceschini, pur essendo
avvocato, non ha mai letto un riga di Cotta. Probabilmente perché quest’ultimo
era amico di Del Noce: nemico giurato del cattocomunisti come Franceschini.
In realtà, non è sul concetto di luogo condiviso che bisogna incontrarsi. La parola chiave è sempre e comunque memoria condivisa. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. Franceschini non può pretendere che ci si ritrovi tutti insieme sul mito della Resistenza e sulle consolidate e faziose ragioni storiografiche che affondano le radici nell’antifascismo militante o cattocomunista.
La storia della Resistenza deve essere ricostruita senza miti e agiografie: guardandosi negli occhi. Se davvero si vuole raggiungere una memoria condivisa, i partigiani devono scendere dal piedistallo con la loro vulgata resistenziale che sacralizzala
Resistenza come mito intangibile.
E non lo sosteniamo noi, ma Napolitano. Il presidente della Repubblica, lo scorso 25 aprile, è intervenuto personalmente sull’ esigenza di “smitizzare”la Resistenza . Il capo
dello Stato in quell’occasione affermò che “è possibile e necessario raccontare
la Resistenza ,
coltivarne la storia, senza sottacere nulla, ‘smitizzare’ quel che c’è da
‘smitizzare’, ma tenendo fermo un limite invalicabile rispetto a qualsiasi
forma di denigrazione e svalutazione di quel moto di riscossa e riscatto
nazionale cui dobbiamo la riconquista anche per forza nostra dell’indipendenza,
dignità e libertà della Nazione italiana”.
Smitizzarela Resistenza
e non tacere i suoi limiti, questo è il punto di partenza per iniziare il
cammino verso una memoria condivisa e una vera pacificazione nazionale.
Gli antifascisti militanti e le associazioni dei partigiani negano o peggio giustificano ancora le atroci vicende della guerra civile italiana, tacciono sulle violenze e sugli omicidi perpetrati dopo la fine del conflitto da molti partigiani contro uomini e donne inermi, e contro altri partigiani che non erano di fede comunista. Insomma, i morti, tutti i morti, devono unire e non dividere. Si deve perciò finalmente ragionare in termini di nazione e non di fazione. Riunire due “fazioni”, nello stesso luogo, come propone Franceschini, è perfettamente inutile, nonché, per dirla fuori dai denti, provocatorio.
Il vero punto della questione è che fino a quando i partigiani staranno sull’altare e chi aderì alla Repubblica sociale nella polvere, il 25 aprile non potrà mai essere la festa di tutti gli italiani.
Vera festa tricolore e del tricolore. E non soltanto di una parte di esso, quella dove prevale il colore rosso.
.
In realtà, non è sul concetto di luogo condiviso che bisogna incontrarsi. La parola chiave è sempre e comunque memoria condivisa. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. Franceschini non può pretendere che ci si ritrovi tutti insieme sul mito della Resistenza e sulle consolidate e faziose ragioni storiografiche che affondano le radici nell’antifascismo militante o cattocomunista.
La storia della Resistenza deve essere ricostruita senza miti e agiografie: guardandosi negli occhi. Se davvero si vuole raggiungere una memoria condivisa, i partigiani devono scendere dal piedistallo con la loro vulgata resistenziale che sacralizza
E non lo sosteniamo noi, ma Napolitano. Il presidente della Repubblica, lo scorso 25 aprile, è intervenuto personalmente sull’ esigenza di “smitizzare”
Smitizzare
Gli antifascisti militanti e le associazioni dei partigiani negano o peggio giustificano ancora le atroci vicende della guerra civile italiana, tacciono sulle violenze e sugli omicidi perpetrati dopo la fine del conflitto da molti partigiani contro uomini e donne inermi, e contro altri partigiani che non erano di fede comunista. Insomma, i morti, tutti i morti, devono unire e non dividere. Si deve perciò finalmente ragionare in termini di nazione e non di fazione. Riunire due “fazioni”, nello stesso luogo, come propone Franceschini, è perfettamente inutile, nonché, per dirla fuori dai denti, provocatorio.
Il vero punto della questione è che fino a quando i partigiani staranno sull’altare e chi aderì alla Repubblica sociale nella polvere, il 25 aprile non potrà mai essere la festa di tutti gli italiani.
Vera festa tricolore e del tricolore. E non soltanto di una parte di esso, quella dove prevale il colore rosso.
.
Carlo Gambescia e Nicola Vacca
Nessun commento:
Posta un commento