domenica 1 luglio 2018

Postfascismo, Nolte,  Rom e sinistra al caviale
Botta e risposta tra  Carlo  Gambescia  e Luigi Iannone 




Riproduco  il duello - lettori tranquilli... -   di parole  tra  me e  Luigi Iannone,  sviluppatosi ieri  su Fb. Buona lettura (C.G.)  


Caro  Carlo Gambescia,
La ringrazio per le lodi che tesse nei confronti dei miei lavori, ma sa bene che il mio grado di narcisismo e di auto-celebrazione è ridotto al minimo sindacale. Quindi le accetto ma vado subito oltre e tento di risponderle, in maniera franca, punto per punto.
Nel suo post di ieri ( *) Lei scrive: «Il tono dell’articolo è sarcastico, schernisce e umilia. Non solo la cosiddetta sinistra al caviale».
Ha ragione! Il tono è sarcastico e l’articolo irride, però non umilia nessuno. Il paradosso tale resta; una coloritura che va oltre ogni recinto realistico e lessicale, e magari attraverso questa prospettiva distorta capace di mettere a fuoco un problema reale. Non ritengo e nemmeno auspico che i centri storici delle città debbano diventare dei Suk a cielo aperto (anche se già se ne contano a decine) ma sono stufo di asserzioni apodittiche sulle «migrazioni epocali ingovernabili», su «fenomeni che non si possono gestire», e su tutto quanto il resto.
Reputo complessa la questione e ancora più complesse le soluzioni. Ma se da una parte c’è la tendenza acclarata a perdersi in slogan oscillanti tra il demagogico e il retorico, dall’altra ci sono le solite tirate moralistiche dei finti buonisti che avverso… a prescindere.
Lei sa che sono lettore di Machiavelli, oltre che di Prezzolini e dei pensatori del realismo politico, e quindi non credo nella bontà naturale degli esseri umani. Non credo a coloro i quali gridano alla fratellanza e alla solidarietà globale. Chi, dall’alto della sua posizione sociale, dice di voler salvare il mondo, i poveri, i diseredati, gli ultimi, mi provoca una insofferenza smisurata a cui rispondo, quasi sempre, con tesi argomentate, altre volte con frasi sintetiche che possono apparire intrise di faciloneria e irritante leggerezza. Ma li detesto.
Lei scrive:« so benissimo, scrivevo per Il Secolo d’Italia, che i giornalisti tendono sempre ad attagliare la penna al contesto (e sede) di pubblicazione, per ragioni di cortesia, convenienza, eccetera. Chiamala se vuoi, autocensura. Non faccio la morale a nessuno. C’è però un limite a tutto. Io non gradivo suonare il piffero per Gianfranco Fini, così me ne andai».
Beh, qui si sbaglia di brutto. Io non faccio parte di nessuna casta e nemmeno di quella giornalistica. Pago sulla mia pelle queste scelte di solitudine, o come le chiamo io, di ‘eremitaggio’. Come ho ribadito in qualche altra occasione (ma ai lettori questa ‘cosa’ credo importi davvero poco) non voto alle Politiche da una ventina d’anni e non ho votato nemmeno il 4 marzo. Non sono iscritto e non simpatizzo per alcun partito. Scrivo per le pagine culturali de Il Giornale e ho un Blog (sempre sul Giornale) dopo aver inviato una mail alla direzione e aver mandato qualche mio recente volume. Hanno deciso di accogliere la mia collaborazione e li ringrazio.
Non ho santi in paradiso… e adesso che Lei mi tira in ballo, Le confesso… mi sarebbe tanto piaciuto averne. Magari ora avrei una cattedra universitaria, anche perché dopo tutti questi libri e saggi pubblicati credo che, in un altro paese europeo, sarebbe stato pure possibile. Ma è andata così.
E poi di quale autocensura parla? Io sui venti anni della destra di governo ci ho scritto addirittura un libro dal titolo chiarissimo, SULLA INUTILITA’ DELLA DESTRA… e mica posso tutti i giorni rodermi l’anima parlando di loro.
Non ho particolari simpatie per i Cinque Stelle e l’ho scritto. Così come giudicherò Salvini e la Lega dall’azione di governo e non dal profluvio talvolta irritante di tweet e post su Facebook. E anche questo l’ho scritto e lo ripeto.
Non parteggio! Però, mi lasci la libertà di ‘prendere parte’ sui singoli temi. Sulla immigrazione ho una idea severa, rigida. Che l’abbia anche la Lega, mi fa piacere. Se cambiano idea loro, io non lo farò. Su altre questioni dissento.
E poi dove troverebbe queste ragioni di convenienza da parte mia? Nessuno mi ha dato nulla in passato e credo nessuno me ne darà in futuro. Non ho cattedre, non dirigo giornali, non fanno la gara a reclutarmi in qualche piccolo o grande giornale, e per pubblicare i miei libri (che pure, come lei stesso ammette, qualcuno legge), mi arrabatto tra case editrici senza l’apporto di nessuna segnalazione e così via.
Financo recentemente, quando una televisione nazionale, mi ha invitato, per ben due volte in un mese, ad intervenire in un talk show politico, ho declinato cortesemente perché non mi sento a mio agio nella classica divisione manichea. In fin dei conti, troverei da ridire su Forza Italia come su Liberi e Uguali, su Fratelli d’Italia come sul PD.
Lei scrive. «Ora, si possono scrivere libri, non sempre condivisibili, ma comunque densi (dietro i quali ci sono molti altri libri letti e studiati) come per l’appunto fa Iannone, e poi uscirsene con tirate del genere? Per me è un mistero. Qualcosa però che mi addolora, sconcerta, inquieta. Perché – penso – se uno come Iannone, che studia, se ne esce con pericolose scempiaggini di tal fatta, gli altri intellettuali post-fascisti (per così dire), che non sono degni neppure di attraversagli la strada, non potranno non andare a ruota libera. E in effetti basta farsi un giro tra i Social per mettersi le mani nei capelli: sono “ricicciati” (pardon) tutti, ma proprio tutti, al canto delle sirene salvinian-stellate. E quel che infastidisce è l’aggressività, per ora verbale, e il tono saccente di quelli che rivendicano il copyright, anche apertamente, della “tentazione fascista”».
Io non posso rispondere per tutto ciò che passa in rete o si legge sui social. Non nego che commentare nella stessa giornata una poesia di Costantino Kavafis e una dichiarazione della ex ministra Fedeli provochi smarrimento al sottoscritto e inviti a qualche caduta di stile. Me ne dolgo. Ma dello stile…. e non della sostanza (prima della scrittura, sono pur sempre un cittadino!).
Per quanto riguarda queste «sirene salvinian-stellate» a me non risultano. Proprio oggi ho criticato il deludente risultato del Consiglio europeo, reputo delle baggianate reddito di cittadinanza e Flat Tax… e mi fermo qui. Tuttavia, se si trovano delle concordanze ideali, programmatiche, politiche, anche parziali, minime, perché non dovrei dirle? E perché sarebbero delle ‘scempiaggini’? Perché le condisco con il sarcasmo?
Lei riporta frasi di Ernst Nolte, a me tanto caro, e poi torna sull’imbarbarimento della politica e del linguaggio da ‘’guerra civile’’: «come è possibile, che un intellettuale, colto e civile, come Iannone, che, tra l’altro, dovrebbe conoscere il libro di Nolte a memoria, sposi una causa del genere?»
Caro Gambescia,
(…e qui chiudo), sui social e sul blog, come le dicevo, utilizzo ironia e sarcasmo, registri comunicativi che oscillano, di per sé, tra il leggero e il greve. Corro il rischio. Sono consapevole che nell’imbarbarimento della politica e della vita civile si deve mantenere un contegno. Ma di tanto in tanto al posto del fioretto va usata anche la sciabola. Altrimenti la ‘’via del bosco’’ è solo diserzione, e non un combattimento da un’altra postazione. Ed io sono un ‘resistente’.

***

Caro Luigi   Iannone,
tutti i miei ringraziamenti, anche perché di solito i postfascisti non raccolgono... Soprattutto dopo l'uscita di  A destra per caso, otto anni fa.  Evidentemente, Luigi Iannone, postfascista non è.  O se lo è - Bingo! - sono davanti a persona leale. 
Vengo al punto. 
Capisco tutto, la passione civile, la strada in salita, il doppio registro, le astuzie della ragione, eccetera, eccetera, però il problema che io pongo, e che mi sta particolarmente a cuore, è un altro. E riporta a Nolte e alla questione dell'imbarbarimento politico, da Lei intuita ma non sviluppata nella risposta. Ovviamente, sul piano personale, nessuno può chiederLe di rispondere delle fesserie dei Social, ci mancherebbe altro...  Però dietro l'imbarbarimento della politica - a maggior ragione se lei si ritiene un realista - c'è un giudizio di valore sul ruolo dell'intellettuale. Questione cognitiva. Mi spiego meglio. 

Un mio lettore, Alberto Usuardi, commentandola, ha detto: "Ragionando nello stesso modo, chi dice:"Prima gli Italiani" dovrebbe ospitare a casa sua gli italiani poveri". 
Sa che cosa gli ho risposto? 
"Giusto. Però, Alberto Usuardi, è proprio ciò che si deve evitare, da una parte e dall'altra. Comprendere che mentre per l' intellettuale (serio, ovviamente) le parole sono strumenti di lavoro, per la gente comune sono pietre". 
Il rischio pietre, ecco il punto. 
Nolte ricorda all' intellettuale vero di tenere sempre presente che le parole per la gente comune possono diventare pietre, come accadde a Weimar. E perciò le parole vanno misurate in tutte le sedi. A prescindere, direbbe Totò. 
Quindi, ribadisco - capisco tutto, anche la cordiale antipatia che tutti nutriamo verso la sinistra al caviale, eccetera, eccetera - però quell'articolo va oggettivamente nella direzione della guerra civile. La stessa idea, che lei propone nella chiusa, del bosco, della resistenza, eccetera, gli stessi termini militari che lei usa, appartengono a un universo politico e sociale (semplificando, così ci capiamo) da "tempeste d'acciaio". Altro che liberal-democrazia e metabolizzazione del nemico come avversario... Parlo dell' orizzonte politico, che piaccia o meno, ha garantito benessere, libertà, eccetera, eccetera. E, ricordi bene, non è questione di "contegno", "etichetta" , insomma di "forma", ma di sostanza. 
Perché il nodo di fondo che Lei elude - eludendo in qualche misura la risposta su Nolte - è quello della "tentazione fascista" (Kunnas), ciò che mi inquieta, addolora, eccetera: del perché persone colte e studiose, alcune con tratti di genialità, si schierarono con i movimenti fascisti e nazisti. Non ne sono sicuro al cento per cento (perché nella vita di certezze ne esistono poche), però credo Lei ritenga che fecero bene. Io invece sostengo il contrario. 

Giano Accame, al quale ho dedicato un libro (*), riteneva che il fascismo non si dovesse né giustificare, né celebrare, ma solo studiare per confrontarsi su di esso, scientificamente: De Felice e Parlato, erano, se mi passa l'espressione, i suoi miti. Dunque, il problema, ripeto, è cognitivo.

Ora, - non "perdessimo" la calma direbbe Antonio Di Pietro - ma i Rom, con questo, che c'entrano? P.S. Anzi, che c'azzeccano?

Ricambio i carissimi saluti. 


Nessun commento: