giovedì 26 luglio 2018

Luigi Di Maio  tra Mimmo Mignano e Sergio Marchionne
Dov’è il nuovo che avanza?



Che Mimmo Mignano (il lettore si chiederà chi è costui…), non abbia  versato una lacrima per la morte  di Marchionne (1)  è  sociologicamente  spiegabile,   almeno per l’Italia,   terra dove c’è ancora nostalgia, come in Sudamerica,  per la lotta di classe dura e pura.  Diciamo che da noi esistono sacche sindacali che trovano ispirazione in un modello archeologico di relazioni industriali.  
Mignano, sindacalista di base, a sfondo operaista,  venne licenziato nel 2014,   come si legge in un  resoconto giornalistico fin troppo benevolo,  per aver inscenato  il funerale di Marchionne (2). In realtà,  Mignano  si presentò, con  quattro colleghi,   ai cancelli della Fiat di Pomigliano ostentando il manichino di Marchionne impiccato.  Inutile ricordare, la  natura minacciosa  di un gesto pubblico del genere,  in un’ Italia, dove il terrorismo, come il denaro di Wall Street, sembra  non dormire mai.

In seguito, nel giugno di quest’anno, Mignano, per protestare contro la sentenza definitiva della Cassazione, si è incatenato e ha tentato di darsi fuoco. E  indovinate davanti alla casa di chi?   Di Luigi Di  Maio, fresco Vice Presidente del Consiglio.  E qui viene il bello anzi il brutto. Di Maio, in veste ufficiale, si  è subito recato nell' ospedale,  dove  Mignano si trovava ricoverato più per  precauzione che per altro,   “per dirgli che lo stato c’è”… (3) . Questo l’antefatto.
Alcuni giorni fa, appena diffusasi la notizia delle gravi condizioni di salute di Marchionne,   Di Maio, sollecitato dai giornalisti,  ha  invece criticato la sinistra, soprattutto quella senza  un briciolo di pietà verso  il manager FCA (4).
Qual è il vero Di Maio?  Quello al  “capezzale” di Mignano? O quello che chiede "pietà" per Marchionne in fin di vita?
Qualcuno penserà  che esageriamo.  In fondo, ci sembra di sentirli,  si tratta, più semplicemente,  del classico comportamento  da  buon cristiano.   Mah...  Diciamo che il  fedele tipo (a parte Frate Mitra, che poi però stava dalla parte della polizia), tende a  condannare  chiunque inciti alla violenza: porgere l'altra guancia, eccetera, eccetera.  
Andare a dire che "lo stato c'è"  a un irrequieto operaista  come Mignano,  significa comunque  offrire una sponda politica  a chi   teorizza l'antistato, nonché, cosa più grave,   a tutto quello che ne può conseguire nei termini di un non impossibile  passaggio all'atto, non di Mignano, magari,  ma di altri pesci, per usare la vecchia  metafora,  che nuotano nella stessa acqua.    
Da questo punto  di vista,   l’atteggiamento  del Vice Presidente del Consiglio potrebbe essere rubricato  sotto quello  del classico politico, assopigliatutto: con lo stato e con l'antistato.  Un mezzo democristiano. Anzi un doroteo.  Però  potrebbe anche rinviare a quello del  "compagno di strada". Ricordate?  Né  con lo stato né con le Brigate Rosse...      
Se è così (o doroteo  o  compagno di strada)  in che cosa consiste la tanto decantata  “diversità” di Luigi Di  Maio e  più in generale del Movimento Cinque Stelle?    Dov’è il nuovo che avanza?  

Carlo Gambescia