Rapporto Caritas 2016
Si fa presto a dire "lotta alla povertà"...
Leggevamo
alcuni giorni fa i dati della Caritas
sulla povertà. Mah… A parte le questioni tecniche legate alle misurazioni ( basta uno scarto
reddituale o di un parametro e i poveri aumentano o diminuiscono a piacere),
al sociologo cosa si chiede? Neutralità
affettiva. E i sociologi della Caritas sono obiettivi? No, perché l’analista
deve considerare la povertà, come un fenomeno naturale, non un male da
combattere o una guerra da vincere. Insomma, basta con queste dichiarazioni di intenti! Non se ne può più! Parliamo di dati e cifre che, regolarmente, come per l' "esclusione sociale" (altro termine ancora più impreciso di "povertà") sono dati in pasto ai leoni e alle volpi della politica, che rilanciano, creando messianiche aspettative e sdegno a comando.
Che
cosa significa fenomeno naturale? Che la povertà in tutte le società è un
fenomeno legato alla stratificazione sociale e che riflette la distribuzione naturale dei
talenti, della fortuna e del potere. Pertanto inevitabilmente c’è sempre ( e ci sarà sempre) chi sale e chi scende. Di
riflesso, la povertà è un fenomeno naturale, come del resto la ricchezza. Quindi parlare di guerra alla
povertà è ridicolo: è come parlare di guerra alla pioggia, alla neve
eccetera, eccetera.
Ovviamente,
ci si può riparare dalla pioggia, dalla neve e
perciò anche dalla povertà. Si possono distribuire cappotti, impermeabili, ombrelli. Nessuno
lo nega. E le nostre, fortunatamente, sono società ricche e quindi possono
permettersi, mediante la leva fiscale di mantenere e aiutare un certo numero di poveri. Ma parlare di guerra (di qualcosa che si possa vincere un giorno), come abbiamo detto, è pura fantasociologia.
Sotto l'aspetto dell' "aiuto", esistono storicamente e sociologicamente tre modelli, quello del
welfare state, quello totalitario, quello confraternitario-religioso. Nel primo si cede un poco di libertà economica (per alcuni fin troppa) in cambio di sicurezza; nel secondo si scambia la sicurezza con la libertà tout court; nel terzo si baratta la libertà di fede con la sicurezza. Tuttavia,
senza libertà economica la società va a
picco, senza libertà tout court si
trasforma nell’anonima conformisti, senza libertà di fede muore l’intelligenza. Pertanto
ogni modello ha un costo preciso.
Naturalmente
esistono forme intermedie. Dove fermarsi però, dal punto di vista della
pressione fiscale? E soprattutto, chi deve intervenire? Lo stato, i privati, la
chiesa? Infine, siamo sicuri che l’eliminazione di qualsiasi rischio, anche
quello di cadere in povertà, favorisca l’iniziativa e l’impegno dei singoli? Insomma,
si fa presto a parlare di "lotta alla povertà".
Ecco
i problemi che il sociologo dovrebbe porsi, invece di parlare come un attivista politico qualunque
di "lotta alla povertà"…
Carlo Gambescia
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