martedì 20 maggio 2008

Le due città 

Da Agostino a Corviale (1)




Stimolati dalle periodiche e interessanti riflessioni di Biz (http://bizblog.splinder.com), colto architetto e studioso di urbanistica, proponiamo agli amici lettori una nostra riflessione sul destino della città. Ovviamente di natura sociologica.
Si tratta di un testo piuttosto lungo e di taglio prospettico, che abbiamo suddiviso in due parti. La prima viene pubblicata oggi, la seconda domani.

Ricordiamo, in particolare a Biz, che il nostro testo potrebbe tornare utile anche a proposito del dibattito su cattolici e politica. (C.G.)


Può sembrare poco ortodosso, soprattutto al routinier dell’urbanistica più alla moda, ma la teologia agostiniana, quella del conflitto tra le due Città, può aiutarci a capire la crisi della città tardo moderna. Perché la lotta tra Città Celeste e Città Terrena può anche essere rappresentata come conflitto tra principi sociologi opposti. Certo, si tratta di andare oltre la pura interpretazione teologica, magari forzandola un poco. Ma basta intendere i due principi come modi opposti di costruzione sociale della realtà(lo spirituale e il materiale), per disporre in di uno strumento analitico di grande valore

La Città Celeste
Con Città celeste va intesa non tanto ( o solo) la città agostiniana o quella perfetta dei riformatori di ogni epoca, oppure la città “santa” (Gerusalemme, Roma, ecc.) ma la città preindustriale o tradizionale. Perché Città Celeste? Perché si parla di una città basata su una dimensione ultraterrena. Che può essere quella cristiana, ma anche “riflesso esemplare” di una cosmogonia, per dirla con Eliade. Ogni città, come ogni nuova casa edificata, è giudicata un’imitazione o addirittura una ripetizione della creazione del mondo. Ogni spazio urbano finisce così per riflettere un “ordine più alto”: celeste. Attraverso appositi rituali (dai riti di fondazione alle benedizioni pasquali), il singolo si sforza di adeguare, talvolta inconsapevolmente, il suo ambiente umano (città, villaggio, casa), al prototipo perfetto : un luogo che si riceve e consacra a dio o agli dei, e si accetta di difenderlo, anche a costo della vita.
Sul piano storico e materiale siamo perciò davanti a una città circondata da mura, economicamente collegata alla campagna o al porto (come il Pireo per Atene). Con i suoi riti, miti, dei e santi. Con i nobili e i ricchi che vivono gli uni accanto agli altri. Città dove si circola a piedi, in carrozza o lettiga, oppure a cavallo o dorso d’asino. E dove i commercio con il contado e le altre città si svolgono in occasioni di feste religiose. Per circa seimila anni (fino alle soglie del XIX secolo d.C.) il modello generale di ogni insediamento umano, in Occidente, è stato questo.
Roma con il suo impero rappresentò una specie di supercittà tradizionale, il cui entroterra agricolo era costituito dai frutti delle sue conquiste militari.

La Città Terrena
Con Città Terrena, va invece intesa, quella che Arnold Toynbee ha definito City on the Move : l’ aggressiva città degli ultimi due secoli, che “esce di città”, cresce, invade e sommerge “di calcina e mattoni” quanta più superficie, al suo esterno, riesce a “coprire”. Perché Città Terrena?
In primo luogo, perché è una città dove la dimensione ultraterrena è confinata nelle “sottocittà” sante. Che senso avrebbe, in una società che ha privatizzato la funzione religiosa, fare appello a "un ordine più alto”? Ordine che potrebbe essere pericolosamente opposto, da masse di diseredati, al “disordine” economico sul quale la Città Terrena, post-tradizionale, si regge?
In secondo luogo, perché quando gli dei della città tacciono, parlano solo gli uomini, e attraverso questi, quel piccolo dio che corrompe i cuori: il denaro. Infatti quali sono oggi i principali punti di riferimento architettonico? Giganteschi grattacieli che ospitano banche, istituzioni finanziarie, imprese transnazionali: tutti ventriloqui dei dio Mercurio. Sul piano storico e materiale si tratta di una città priva di mura, che non ha più bisogno del contado. Dove ricchi e poveri vivono separati. Una città segnata da traffico intenso, pendolarismo, inquinamento, criminalità. Dove tutto è commercio e denaro. O per dirla più nobilmente con Manuel Castells: flusso informazionale. Il cui controllo è detenuto dai pochi che hanno accesso ai codici culturali: le nuove élite di un capitalismo invisibile, perché informatizzato, che muove cifre colossali, con un semplice clic sulla tastiera di un computer…
Sotto questo aspetto - e semplificando - gli Stati Uniti rappresentano una specie di gigantesca “supercittà” post-tradizionale e imperiale. La City on the Move per eccellenza, che per riprodursi e contrastare i nemici esterni deve ricorrere a professionisti e mercenari (come la Roma imperiale), perché nessuno vuole morire per una città “imperfetta” dove gli dei tacciono e Dio parla solo la domenica. E neppure viene ascoltato da tutti.
(fine prima parte)

Carlo Gambescia

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