venerdì 4 settembre 2020

Vivendi, Tim, Mediaset e  la sentenza della Corte di Giustizia europea
Il dito e la Luna

La  Corte di Giustizia  europea accogliendo il  ricorso di Vivendi sul tetto delle azioni possedute in Mediaset e Tim  imposto dalla legislazione italiana,  apre alla nascita di imprese  ancora più ampie nell’ambito dell’informazione-comunicazione.  
In qualche misura, semplificando, la sentenza  permetterebbe  a Vivendi di comprare Mediaset e Tim e a Mediaset di comprare  Vivendi e Tim. E così via...
Si tratta di un male?  Si tratta di un bene? Non risponderemo alla domanda in sé, insomma  se  Tim, Mediaset, Vivendi, eccetera, eccetera. Ci limiteremo  a fornire al lettore alcuni strumenti esplicativi, più di  natura sociologica che economica.  Poi saranno i lettori a cavarsela da soli.
Intanto, va subito osservato che i monopoli vanno valutati dal punto di vista dei consumatori: se un monopolio, senza diminuire la qualità del prodotto, riduce costi e prezzi, allora siamo davanti a un bene. Se invece ottiene l’effetto contrario, siamo davanti al male. 
Ovviamente, un mercato monopolistico indica l’esistenza di un solo venditore.  Il che è un male.  In effetti  nel  monopolio  (  privato o  pubblico)  l’assenza di  competitori  favorisce la scarsa qualità dei prodotti e la crescita di costi  e prezzi.
A dire il vero  l’ipotesi più vicina alla realtà è quella  dell’ oligopolio: della presenza di  un numero ridotto  di venditori. Naturalmente  la struttura oligopolistica può favorire  accordi tra gruppi di imprese per stabilizzare i prezzi e scaricare parte dei  costi sui consumatori vendendo un prodotto a un prezzo addomesticato.  Non è un’evenienza da escludere. Anzi… 

Va però considerato che l’economia di mercato, regolata dalla ricerca del profitto, non può non   promuovere l’innovazione: l’unico vero strumento, per aumentare costantemente i profitti. Di qui l’ impossibilità che la  stabilizzazione guidata da accordi oligopolistici sui prezzi  possa durare per  un  tempo indefinito o comunque a lungo.  L’economia di mercato si è sempre  fondata  su  processi ciclici legati, per l’ appunto,  al ciclo dell’innovazione: dalla scoperta dell’energia a vapore alle microchip.  Bisogna solo avere pazienza e perciò credere nella forza del mercato.
Il che, ovviamente, impone alle imprese  di investire e reinvestire sistematicamente  nell’ambito della ricerca  e di rifuggire dalla burocratizzazione e dalla routine come dal diavolo.  Scelte che però  impongono lo sviluppo  di  imprese di  grandi  dimensioni. Un processo di crescita  che può a sua volta  influire sull’organizzazione delle imprese stesse,  che rischiano di burocratizzarsi, tramutandosi in tanti piccoli regni e stati. Sul punto, cogliendone i pericoli,  Schumpeter  ha scritto pagine definitive.
Oltre al rischio  della burocratizzazione dall’interno esiste quello della burocratizzazione dall’esterno. Infatti,  qualunque abbraccio pubblico, falsando la struttura dei costi e dei prezzi,  rischia di uccidere lo spirito innovativo e di  favorire il quietismo economico:  il placido  accontentarsi del burocrate, un atteggiamento ben lontano dallo spirito inquieto che agita l’innovatore.
Insomma, il pericolo non è nella struttura oligopolistica dell’economia di mercato, che è nella logica incrementale della competizione sociale,  ma  nella successiva e pericolosa separazione tra oligopolio e innovazione,  scelta che discende,  se ci si passa l’espressione, da una specie di sociologico  "dolce dormire" tra gli allori: una forma di pigrizia imprenditoriale, una sorta di  pur  comprensibile "riposo del guerriero",  che però,  se da fisiologico si fa patologico, rischia di  impedire la ripartenza  del ciclo innovativo. 

Sociologicamente parlando,  l'esistenza di imprese incapaci di innovare fa inevitabilmente assumere all’oligopolio pericolosi tratti conservatori e burocratici.   
Insomma, l’innovazione  non riguarda le  Corti di Giustizia né può essere decisa per legge. Rinvia invece alla mentalità dell’imprenditore, se si vuole alla  sociologia dell’impresa: alla  volontà  di  non voler vivere tra gli allori, un atteggiamento vincente che porta all’innovazione e per ricaduta a una struttura di costi e prezzi favorevoli al consumatore. 
Concludendo,  se il dito (tribunali  e corti)  indica la Luna  (le imprese)  non si guardi  il dito ma la Luna…  

Carlo Gambescia