Vivendi, Tim, Mediaset e la sentenza della Corte di Giustizia europea
Il dito e la Luna
In
qualche misura, semplificando, la sentenza permetterebbe
a Vivendi di comprare Mediaset e Tim e a Mediaset di comprare Vivendi e Tim. E così via...
Si
tratta di un male? Si tratta di un bene?
Non risponderemo alla domanda in sé, insomma
se Tim, Mediaset, Vivendi,
eccetera, eccetera. Ci limiteremo a fornire al lettore alcuni strumenti
esplicativi, più di natura sociologica
che economica. Poi saranno i lettori a
cavarsela da soli.
Intanto,
va subito osservato che i monopoli vanno valutati dal punto di vista dei
consumatori: se un monopolio, senza diminuire la qualità del prodotto, riduce
costi e prezzi, allora siamo davanti a un bene. Se invece ottiene l’effetto
contrario, siamo davanti al male.
Ovviamente,
un mercato monopolistico indica l’esistenza di un solo venditore. Il che è un male. In effetti nel monopolio ( privato o pubblico) l’assenza di
competitori favorisce la scarsa
qualità dei prodotti e la crescita di costi
e prezzi.
A
dire il vero l’ipotesi più vicina alla
realtà è quella dell’ oligopolio: della
presenza di un numero ridotto di venditori. Naturalmente la struttura oligopolistica può favorire accordi tra gruppi di imprese per
stabilizzare i prezzi e scaricare parte dei costi sui consumatori vendendo un
prodotto a un prezzo addomesticato. Non
è un’evenienza da escludere. Anzi…
Va
però considerato che l’economia di mercato, regolata dalla ricerca del
profitto, non può non promuovere l’innovazione: l’unico vero strumento, per aumentare costantemente i profitti. Di qui l’ impossibilità che
la stabilizzazione guidata da accordi
oligopolistici sui prezzi possa durare per un tempo indefinito o comunque a lungo. L’economia di mercato si è sempre fondata
su processi ciclici legati, per
l’ appunto, al ciclo dell’innovazione: dalla scoperta dell’energia a vapore alle microchip. Bisogna solo avere pazienza e perciò credere nella forza del mercato.
Il
che, ovviamente, impone alle imprese di
investire e reinvestire sistematicamente
nell’ambito della ricerca e di
rifuggire dalla burocratizzazione e dalla routine come dal diavolo. Scelte che però impongono lo sviluppo di
imprese di grandi dimensioni. Un processo di crescita che può a sua volta influire
sull’organizzazione delle imprese stesse, che rischiano di burocratizzarsi,
tramutandosi in tanti piccoli regni e stati. Sul punto, cogliendone i pericoli, Schumpeter
ha scritto pagine definitive.
Oltre al rischio della burocratizzazione dall’interno esiste quello della burocratizzazione dall’esterno. Infatti, qualunque abbraccio pubblico, falsando la struttura dei costi e dei prezzi, rischia di uccidere lo spirito innovativo e di favorire il quietismo economico: il placido accontentarsi del burocrate, un atteggiamento ben lontano dallo spirito inquieto che agita l’innovatore.
Oltre al rischio della burocratizzazione dall’interno esiste quello della burocratizzazione dall’esterno. Infatti, qualunque abbraccio pubblico, falsando la struttura dei costi e dei prezzi, rischia di uccidere lo spirito innovativo e di favorire il quietismo economico: il placido accontentarsi del burocrate, un atteggiamento ben lontano dallo spirito inquieto che agita l’innovatore.
Insomma, il pericolo non è nella struttura oligopolistica dell’economia di mercato, che è nella logica incrementale della competizione sociale, ma
nella successiva e pericolosa separazione tra oligopolio
e innovazione, scelta che discende, se ci si passa l’espressione, da una specie
di sociologico "dolce dormire" tra gli allori: una forma di pigrizia imprenditoriale, una sorta di pur comprensibile "riposo del guerriero", che però, se da fisiologico si fa patologico, rischia di impedire la ripartenza del ciclo innovativo.
Sociologicamente
parlando, l'esistenza di imprese incapaci di innovare fa inevitabilmente assumere all’oligopolio pericolosi tratti conservatori e burocratici.
Insomma,
l’innovazione non riguarda le Corti di Giustizia né può essere decisa per
legge. Rinvia invece alla mentalità dell’imprenditore, se si vuole alla sociologia dell’impresa: alla volontà
di non voler vivere tra gli
allori, un atteggiamento vincente che porta all’innovazione e per
ricaduta a una struttura di costi e prezzi favorevoli al consumatore.
Concludendo, se il dito (tribunali e corti) indica la Luna (le
imprese) non si guardi il dito ma la Luna…
Carlo Gambescia