giovedì 25 aprile 2019

“Onore a Mussolini”, lo  striscione vicino  piazzale Loreto
Fascismo e derivati



I tifosi  che ieri hanno inneggiato a Mussolini  nei pressi  di  piazzale Loreto, di sicuro, in cuor loro, si sentivano purissimi eroi romantici: gli ultimi orgogliosi depositari di una grande idea.  Il che prova, ancora un volta,  che il fascismo è una forma di romanticismo politico. 
Chiediamo  al  lettore di allacciarsi le cinture,  perché  stiamo per prenderla da lontano, confidando nel fatto  che alla fine  della nostra  “dimostrazione  porta a porta” l’aspirapolvere  (sociologico)   “folletto”   sarà acquistato…     

Romanticismo politico
Che cos’è il romanticismo politico?   Un atteggiamento  istintivo e fantastico nei riguardi della vita.  Si dirà  che  anche Manzoni era romantico. Eppure al tempo stesso era liberale.  Come lo era quel pugno di uomini politici  che  scrisse la storia dell’Unità italiana. Senza  istinto e fantasia,  l’idea risorgimentale  non avrebbe mai  vinto.

Istinto e fantasia. Il primo serve per cogliere l’attimo, la seconda per immaginare nuovi e apparentemente impossibili scenari. In qualche misura Cavour, simboleggia lo statista romantico per eccellenza.  Seppe cogliere l’attimo giusto, scegliendo i giusti alleati e intuendo, contro tutti e tutto, gli improvvisi sviluppi della situazione storica. Dinamiche storiche da tanti, forse troppi, ritenute irrealizzabili. Il Risorgimento ha in sé qualcosa di miracoloso.

Liberalismo, fascismo e romanticismo politico
Abbiamo però detto del fascismo che è “una forma” di romanticismo politico.  Cosa vogliamo dire? Che Cavour, da buon romantico politico,   colse un’ occasione, che seppe però anche creare. E come? Collegando il Risorgimento alle istituzioni liberali: unì l’istinto e la fantasia alla ragione delle istituzioni rappresentative, rafforzate dal discorso pubblico liberale, innervato sulla libertà di parola, pensiero, stampa, nonché sulla libertà economica e di impresa.
Anche Mussolini fu un romantico politico, ma si fece dominare  esclusivamente dall’istinto e dalla fantasia.  Fu abilissimo nel conquistare il  potere, ma non seppe intuire l’importanza di  riportarlo nell'alveo ragionevole e ragionato della tradizione liberale.   Anzi, fece del suo meglio per affossarla, costruendo uno stato prima autoritario, poi dittatoriale,  infine totalitario. 

Paletti e chimere
Il romanticismo politico ha perciò  necessità di paletti. Quali? Ad esempio,  quelli  rappresentati dallo stato di diritto e dalla  libertà di mercato. Il fascismo invece fu nemico dell’uno e dell’altra.  Inoltre, stravolse lo spirito risorgimentale di nazione,  piegandolo alla peggiore vulgata nazionalista e imperialista.

Il romantico politico, se privato  della parte razionale, si tramuta in puro e semplice occasionalista:  si volge di qua e di là, pur di ottenere risultati momentanei.  Di conseguenza,  il romantico politico allo stato puro subisce gli eventi credendo di dominarli: la brutale alleanza tra Mussolini e Hitler resta  il classico  esempio di un occasionalismo politico, in particolare da parte del Duce,  che portò l'Italia alla rovina.  
Il romanticismo politico fascista, proprio perché frutto esclusivo di istinto e immaginazione, esercita un certo  fascino  su giovani e disadattati sociali, i più ricettivi verso una visione chimerica della vita: i primi non hanno nulla da  perdere, i secondi tutto da guadagnare.

Coazione a ripetere
Come contrastare questo fenomeno? Difficile dire. Come spiegare ai tifosi che hanno inneggiato al Duce che  il fascismo, nelle stesse circostanze, avrebbe aperto il fuoco contro  di loro?  Mentre, lo stato liberale di diritto si è limitato a identificarli, lasciandoli liberi di andare a godersi la partita in curva  o da qualche altra parte?
Vivono  in una società libera, eppure inneggiano, all’uomo che trasformò l’Italia in una caserma.  O si è stupidi o, per l'appunto, si è romantici politici,  prigionieri della propria immaginazione e dell’istinto della coazione a ripetere  contro ogni buona ragione.  E dunque c’è poco da spiegare.  Non c’è peggior sordo, eccetera, eccetera.

Carlo Gambescia