giovedì 30 agosto 2018

Un’indagine dell’Istituto Cattaneo
Immigrati, dove ce ne sono 7  gli italiani ne vedono 25


Diciamo pure che è passato inosservato. Cosa?  Il fatto, accertato, da un’ indagine dell’Istituto Cattaneo,  pubblicata tre giorni fa,  che la percezione degli italiani  della percentuale di immigrati  presenti nel nostro paese è totalmente distorta (1).  Ma leggiamo.

«I cittadini europei sovrastimano nettamente la percentuale di immigrati presenti nei loro paesi: di fronte al 7,2% di immigrati non-UE presenti “realmente” negli Stati europei, gli intervistati ne stimano il 16,7%. Ma in questo caso il dato che riguarda l’Italia è quello più significativo: gli intervistati italiani sono quelli che mostrano un maggior distacco (in punti percentuali) tra la percentuale di immigrati non-UE realmente presenti in Italia (7%) e quella stimata, o percepita, pari al 25%.»  (p. 1)

Sicché,

«l’errore di percezione commesso dagli italiani è quello più alto tra tutti i paesi dell’Unione Europea (+17,4 punti percentuali) e si manterrebbe ugualmente elevato anche se considerassimo la percentuale di tutti gli immigrati presenti in Italia – che, secondo i dati delle Nazioni Unite, corrispondono attualmente al 10% della popolazione (cresciuti di oltre 6 punti percentuali rispetto al 2007).»  (p. 2)

Insomma,  proporzionalmente,  dove  ce ne sono sette, di immigrati, l’italiano ne vede venticinque.  Il tasso distorsivo decresce in base  all’istruzione, al reddito, alla professione, alla scelta politica. Semplificando: più si è ignoranti, improduttivi, dequalificati, di destra, più si moltiplica l’immaginario, mentalmente e sociologicamente  devastante,  dell’immigrato con la bava alla bocca che vuole violentare le nostre donne, che ci ruba  lavoro e  welfare.    
Un’ossessione, quest’ultima,  che  è inversamente proporzionale al numero reale degli immigrati. Ad esempio, come si legge

« la distanza tra il dato reale e quello stimato è maggiore dove la presenza di immigrati è minore (al sud, inferiore al 5% della popolazione). Al contrario, lo scarto tra realtà e percezione è più contenuto nelle regioni del nord, dove la percentuale di immigrati – corrispondente a circa il 10% della popolazione – è  tendenzialmente più elevata.»  (p.6)

Infine, ultimo aspetto interessante,

«come emerge chiaramente, la percezione sulla diffusione dell’immigrazione è maggiore nelle grandi città rispetto ai piccoli comuni o alle aree rurali: nelle prima la stima raggiunge quasi il 31%, mentre nei secondi si ferma al 21,9%. Questo dato, tra l’altro, sembra essere in linea con la realtà dell’immigrazione italiana, maggiormente concentrata nelle grandi metropoli e tendenzialmente più diluita nei piccoli paesi lontani dai centri urbani. » (p.7)

Questi i fatti.  Gli italiani vantano, tra gli europei, un triste primato:  quello  del  razzismo. Come correggere questa  percezione distorta ?  Come fermare il razzismo dilagante? 
Diciamo che il Politicamente Corretto di Destra (PCD), oggi in auge, addirittura al governo,  che scorge in ogni immigrato un invasore,   non aiuta  il cambiamento di mentalità. Anzi, se ne serve, giocando sulle politiche delle paura e della caccia al capro espiatorio. Di colore.
Il fatto stesso che  questa ricerca sia passata pressoché inosservata  è un bruttissimo sintomo. Del resto i tempi del cambiamento culturale, legati agli effetti  di ricaduta   della qualità degli studi, del  reddito, della  mobilità sociale e politica, sono generazionali e sempre  mutevoli, soprattutto nelle società aperte,  mentre il risentimento sociale e razziale, soprattutto se politicamente  coltivato, riarma inevitabilmente, senza  soluzione di continuità,  pregiudizi secolari, tipici delle società chiuse, che nella storia umana, sono regola non eccezione: pregiudizi pronti a riaffiorare e sommergere, con la forza  improvvisa di uno tsunami,  le piccole isole di civiltà e tolleranza, faticosamente costruite da uomini e donne di buona volontà.
Resta poi il fatto, che gli attori sociali,  di regola, al comprendere preferiscono il credere: alla ragione le emozioni.   Di qui,  la difficoltà (per alcuni impossibilità)  insita  nell' insegnare la virtù del comprendere.  Sotto questo aspetto le  nostre società liberali, dal punto di vista storico e sociologico, sono una specie di miracolo. Per la prima volta nella storia umana, non solo  si è insegnato ad apprezzare   la tolleranza,  ma non pochi ne hanno appreso il valore: non semplice mezzo ma fine.
Il che  però non esclude, come sta accadendo,  la durissima  reazione di ciò  che può essere definito il basso profondo della storia umana, sempre in agguato:  il razzismo e l’intolleranza dei più, a cominciare, anche questa volta, purtroppo,  proprio dall’Italia.    
Perciò bisogna  resistere, anche se  pochi e derisi.  Si chiama battaglia di civiltà. 

Carlo Gambescia