venerdì 24 agosto 2018

Nazionalismo,
strada senza ritorno



In queste ore molti italiani gonfiano il petto:  Salvini  si erge a crociato e  difensore contro un’invasione che non c’è,  Di Maio, minaccia di  non pagare i contributi all’Unione all’Europea se i gli immigrati, “stoccati” sulla Diciotti, non verranno  “redistribuiti”. Conte, prende diligentemente  nota. 
Gli italiani immaginano  di essere allo stadio.  Credono sia tutto  un gioco.  Hanno la memoria corta, purtroppo: non ricordano più i mondiali del 1939-1945.  In realtà, per  restare in metafora, quel che sta accadendo sul campo  non è bello: è come se  i giocatori tentassero di aggredire  l’arbitro per imporre l'annullamento di un rigore.  Ma non, come capita, invocando l'inesistenza di un fallo di mano. E allora, come?  Azzerando  le regole del gioco:  da questo momento,  gridano,  facendo capannello intorno all’arbitro,  la palla  in area  può essere  toccata con le mani da ogni giocatore.  
Fuor di metafora:  esiste Dublino, esiste una Commissione europea, esistono  regole che abbiamo liberamente accettato, esiste la buona diplomazia  dai toni  felpati ed eleganti,  dei piccoli o grandi  passi,  rapportati  a quello che è il peso  di una nazione. E soprattutto  la sua credibilità.   Che nasce proprio dal rispetto delle regole, dei bilanci, della buona economia, dello sviluppo e della crescita nel maestoso quadro di una società aperta. 
E tutto ciò che oggi manca  l’Italia.  Però Salvini e Di Maio (Conte non conta),  pretendono di essere ascoltati.  Anzi di imporre, come quei calciatori, le proprie regole,  minacciando la Commissione Europea.   Si chiama nazionalismo. Ed è una strada senza ritorno. Per quale ragione?
I nazionalismi, tra di  loro non collaborano. Si uniscono  per la parte destruens, ma subito si dividono su quella construens.  Basta qui ricordare  cosa accade dopo la Prima Guerra Mondiale. Tra l’altro, anche allora, gli Stati Uniti fecero un passo indietro…  Oggi c’è Trump, che pur in nome di ideali non  wilsoniani,  immagina   un' Europa  a pezzettini, debole e divisa.  Per non parlare di Putin.
Dicevamo i nazionalismi non collaborano. Orbán e il gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e ovviamente l’Ungheria)  sono  d’accordo  con Italia e Austria, semplificando, sul "Padroni a casa nostra". Però lì si fermano. Guai  proporre  al “liberale Orban”, come curiosamente  si autodefinisce,  di prendersi i nostri immigrati oppure di lavorare a una maggiore integrazione politica  europea.  Sono nazionalisti, per loro l’Europa,  è nella migliore delle ipotesi un’occasione da sfruttare, non un’idea e un destino, frutto  di un deciso e ragionato  "mai più  guerra civile europea". Loro,  i nazionalisti, gonfiano il torace e si battono i pugni sul petto come i gorilla, oppure soffiano e scalciano come i tori.  In questo sono bravissimi. 
La storia purtroppo ha sempre un suo peso. Certo,  non pari a quello della forza di gravità: altrimenti una Merkel e un Macron dovrebbero comportarsi come Hitler e Pétain.  Invece hanno perfettamente imparato dagli errori del passato.  Però c'è anche chi non riesce a liberarsi dei propri errori.   Anzi orrori: gli sgherri fascisti  delle Croci Frecciate,  spingevano nel Danubio, legati con il filo spinato, ebrei ed oppositori, con  un colpo di pistola si uccideva il primo della fila, che trascinava tutti gli altri nelle  scure acque del fiume. In questo modo si  risparmiava  sulle munizioni...
Ecco che cosa è stato il nazionalismo.  Però, non tutti sembrano aver compreso.  Altro che le questioni di bilancio e i rimproveri, tutti  meritati, della  Commissione Europea.   Tra i professori  come Monti e i fascisti ungheresi e italiani, quelli delle leggi razziali,  c’è una differenza di specie,  non di grado.   
Eppure, sembra che gli italiani abbiano dimenticato tutto.  Il  nazionalismo è una strada senza ritorno. Poveri noi, il risveglio, anche questa volta,  rischia di essere brusco.   

Carlo Gambescia