mercoledì 15 giugno 2016

Ostia, la sentenza:  criminali non mafiosi
Ancora sulla forza delle cose (sociali)




Chi informerà  “El País” e l’opinione pubblica spagnola, in ginocchio davanti alla  Raggi (1),  che a Ostia,  secondo i giudici della Corte d’Appello, la sentenza è di ieri l’altro,  non operava  alcuna organizzazione mafiosa ma  puri e semplici (certo, si fa per dire) criminali in combutta tra loro? (2)
Probabilmente nessuno,  già oggi i giornali italiani non ne parlano più. Pertanto il danno sociologico, ormai è fatto. Per quale ragione sociologico? Perché rinvia al  fenomeno sociale della mafia-romanzo (3), che per un verso è  forza di complemento psico-socio-culturale nella lotta alla mafia e per l’altro   puro veicolo di propaganda politica,  gonfiato, dai vari populismi nostrani, contro gli  avversari di turno,  come prova l’intervista della Raggi a “El País”.   Dove si legge , in perfetto stile  " Piovra  11",  che la presunta "Mafia di Roma Capitale", sui cui legami con quella di Ostia sì è molto fantasticato,   potrebbe addirittura minacciare la sua persona... E che comunque la candidata pentastellata non ha paura eccetera, eccetera.  Insomma, manca solo il commissario Cattani.., anzi,  "el Jefe" Cattani…     
Ovviamente, Ostia (e Roma) non sono isole felici.  Ci mancherebbe altro.  Però tutto questo è   ridicolo e malinconico. Ridicolo, perché il linguaggio è quello di una fiction, cui tutti sembrano credere con gli occhioni spalancati, imbambolati davanti allo schermo; malinconico, perché evocando lo spettro della mafia, anche dove poi risulta, giudizialmente risulta, che non c'era, si fa naufragare  del tutto, la  periclitante  immagine dell’Italia, dando un calcio definitivo  allo stile, già cattivo, della nostra lotta politica, dove l'importante sembra essere arraffare voti e distruggere l'avversario costi quel che costi,  puntando sul folclore comunicativo.  
Inoltre, abbiamo notato che molti  lettori non comprendono il nostro approccio realistico, sociologicamente realistico alle cose (sociali). Purtroppo, la sociologia deve sempre restare a guardia dei fatti. E i “fatti sociali” - prescindendo, sia detto per inciso, dalle  mitologie sulla liquidità cognitiva messe in circolazione da un sociologo post-comunista, riciclatosi nel libero Occidente, il cui odio biblico per la società libera è  da  sempre immenso  -  sono quanto di più duro possa  esistere in natura sociale.  Esistono infatti,  come abbiamo scritto ieri a proposito del referendum, idee, contraddittorie dal punto di chi osserva (il sociologo), nelle quali però l' osservato (gli attori sociali) crede inflessibilmente, senza percepire alcuna contraddizione. E in quelle credenze,  le  "rappresentazioni sociali" (le idee collettivamente propugnate, a prescindere dal contenuto di verità) acquistano forza propria, diventando verità sociali assolute e intoccabili: duri "fatti sociali" dalla irresistibile forza inerziale, anche se incongruenti sotto il profilo logico e dell'argomentazione razionale. Tradotto: il referendum fa bene alla democrazia; a Ostia ( e Roma) comanda la mafia siciliana, e così via.  Di qui, la nostra  parafrasi verdiana  sulla forza (quasi un destino...) delle cose (sociali).  
Queste  analisi "antipatiche", non in linea con il mainstream cognitivo, qualcuno  deve  pur farle. Certo, si rischia l'impopolarità,  perché purtroppo il prezzo (da pagare)  della spiegazione razionale è l'essere additati come nemici del popolo. Come è già capitato (e capiterà). Del resto, chi ragiona senza fare sconti,  rischia di asserire cose che spiacciono a dio e ai suoi nemici. Secondo Ortega (e Montanelli),  il miglior conferenziere e scrittore è  chiunque dica  cose in cui  i lettori si  riconoscono. Non è il nostro caso.  
Qualcuno penserà: ma allora l’educazione, l’istruzione, la cultura, la "civiltà della conversazione" e  i dibattiti non servono proprio a nulla?  La virtù non è conoscenza? E la conoscenza, virtù?  Insomma, il vero non è anche buono?  Non esiste il progresso morale? Non siamo diventati tutti più buoni e  amanti della verità?  
In realtà,  esiste una vernice sociale, ben studiata da Norbert  Elias, sviluppatasi soprattutto nei secoli "moderni",  sempre però pronta a scomparire sotto i colpi di ciò che rappresenta la principale proprietà sociale dell'uomo. Quale?  La volontà di credere piuttosto che di capire, razionalmente capire. E di "attaccarsi" (dividendosi)  a ciò che ritiene vero, pur in contrasto con qualsiasi spiegazione o dimostrazione razionale, reiterata o meno.
E per scoprirlo,  basta  iscriversi a Facebook… 

Carlo Gambescia



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