mercoledì 8 giugno 2016

Presidenziali statunitensi 2016 
 Hillary,  il fatto nuovo? 
No. E spiego perché




Se questa mattina dovessi tenere  una lezione, magari a  una classe del primo anno di Scienze della Comunicazione,  prenderei in esame l’atteggiamento della stampa italiana  e più in generale dei media verso  Hillary Clinton,  la cui candidatura, in teoria agguantata,  viene presentata come il  fatto nuovo delle presidenziali: il titolo predominante è  "Una donna  verso la Casa Bianca" o addirittura "alla" Casa Bianca.   E lo farei  senza usare paroloni  in lingua inglese o  ricorrere alle vaghezze teoriche di improbabili discipline visuali a sfondo foucaultiano e decostruzionista: soltanto sociologia di vecchia scuola, pre-Dams e pre-Scienze Comunicazione,  terra terra, ma, credo, efficace. 
Per quale ragione? Perché,  in realtà, il fatto nuovo è rappresentato dal successo, invece innegabile, delle due candidature anti-Hillary:   Trump e  Sanders.  Un exploit  che indica  due cose: la prima, che il sistema americano funziona, nel senso che non sono sempre i soliti a essere scelti; la seconda, che negli Stati Uniti i famosi  Wasp contano meno: il Melting Pot fusionale avanza e nella democrazia. Certo, si possono discutere i programmi (confuso quello di Trump, statalista quello di Sanders), ma resta un fatto che l’America va al voto e  in nome della Repubblica Stellata:  i due candidati ( anzi tre con la Clinton), dichiarano, pur nella diversità,  di volere un’America più grande.
In Europa, se un politico si azzardasse a dire una cosa del genere, verrebbe insultato, dai soliti piagnoni catto-comunisti.  Infatti,  il nostro Renzi, giovane e dinamico,   appena ci prova, viene regolarmente preso a pernacchi.  Quindi l’approccio femminista  (per così dire, in veste pro-minoranze: "Il primo nero, il primo cattolico, il primo ebreo, il primo ispanico  nella storia degli Stati Uniti, eccetera")  non spiega un bel nulla.
Ma veniamo al perché dell’accettazione mediatica a scatola chiusa  dell’approccio pro-minoranze.
In primo luogo, perché la visione italiana ed europea degli Stati Uniti è ferma, praticamente, alla Guerra di Secessione, o comunque, battute a parte, agli Anni Sessanta del Novecento: l' età aurea dei diritti civili  (e della minoranza nera).  Da allora però  molta acqua passata sotto i ponti. I rapporti tra minoranze  non sono idilliaci, ma l’America di oggi - e  il 2001 è lì a dimostrarlo - è molto più unita degli anni  della guerra  in  Vietnam.  Il che spiega il consenso socialmente  trasversale a candidati come Sanders e Trump.
In secondo luogo, l’Italia e l’Europa sono  culturalmente dominate - e quindi anche le redazioni -   dalla cultura del fritto misto: una dolciastra pappetta post-comunista,  post-sessantotina, post-cristiana; un misto di  ribellismo, femminismo, socialismo, cristianesimo primitivo,  che gli Usa si sono lasciati alle spalle da un pezzo.  Va anche aggiunto, per onestà, che negli Stati Uniti  la parità è un fatto, mentre da noi latita. Quindi ciò che per gli americani è scontato in Italia è un fatto eclatante. Di qui, eccetera, eccetera.
In terzo luogo, la pigrizia (che è la madre di  tutti i conformismi). Soltanto coloro che conoscono la vita di redazione e la scarsa qualità degli  inviati e dei corrispondenti italiani, di regola attivi solo all’inizio della carriera, per poi addormentarsi in attesa della pensione,  possono capire come sia molto più facile, seguire la corrente, che proporre idee e analisi originali.  Sociologicamente si chiama routine, che insieme all’impreparazione culturale e all’amore per la vita tranquilla, produce quell'ignavia professionale che non ha ancora trovato il suo Dante Alighieri in grado di fustigarla a dovere. Purtroppo, come accennato, non siamo soli.  Il problema  è europeo: anche i giornali spagnoli, francesi, tedeschi e britannici,  hanno titolato come sopra. 
E per oggi è tutto.  A mercoledì prossimo,  ragazzi. 

Carlo Gambescia               

    

2 commenti:

  1. E' opportuno precisare che il "femminismo" di cui lei parla è il femminismo della parità, delle minoranze (!), ecc, un cosidetto femminismo, un femminismo... maschile a dirla tutta, di una politica dei diritti e della uguaglianza... da cloni.
    Per fortuna, e da 50 anni, c'è anche il femminismo femminile. E' altra cosa.

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  2. Capisco. Da umile sociologo riconduco la sua precisazione all'interno della "costante" movimento-istituzione, nel senso della inevitabile opposizione nei processi sociali, anche sul piano retorico (termine da intendere in chiave neutralmente affettiva), tra fenomeno realizzato e idea della realizzazione, semplificando: tra istituzioni e intenzionalità. Comunque sia, prendo atto, grazie.

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