giovedì 5 maggio 2016

In uscita  gli scritti giornalistici di Renzo De Felice
  Storico anti-Giacobino?




Grande notizia per i cultori, come si diceva un volta,  di storia patria. E non solo. Escono, finalmente, gli scritti giornalistici di Renzo De Felice, scomparso  venti anni fa, il 25 maggio del 1996: 

"Gli 'Scritti giornalistici' di Renzo De Felice vengono pubblicati in tre volumi da Luni Editrice nel ventesimo anniversario della scomparsa dello storico, considerato il maggior studioso del fascismo, morto il 25 maggio 1996 a Roma. L'imponente progetto comprende la pubblicazione di circa 300 tra articoli e saggi, ormai introvabili, che rappresentano dunque per la maggior parte degli inediti. Il primo volume, 'Dagli Ebrei a Mussolini 1960-1977', in due tomi con introduzione a cura del giornalista Stefano Folli, esperto di politica e di storia dei partiti, sarà presentato il 13 maggio al Salone del Libro di Torino e il 19 maggio alla Biblioteca Sormani di Milano. L'iniziativa è costata tre anni di ricerche e studi che hanno coinvolto lo storico Giuseppe Parlato, allievo di De Felice e la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, di cui il professore è presidente." (1)

  

Che dire? Innanzitutto, speriamo quanto prima di poter sfogliare il primo tomo. Fatto epidermico,  di tatto, di pelle, prima che intellettuale. Altro che i frigidi e-book...  Cosa aggiungere?  Si tratta di un’impresa meritoria, come si legge,  curata da Stefano Folli e Giuseppe Parlato.
Di  Folli, nulla togliendo all’acuto editorialista politico, si può dire, che non è sicuramente  un  Riccardo Cuor di Leone. Se negli anni Settanta si fosse trovato nei panni di De Felice, investito dal tiro alzo zero di una sinistra storiografica, ancorata alla lectio del Comintern,  egli avrebbe sicuramente capitolato, reindirizzando gli studi sui repubblicani dell’Ottocento. Tema forse più consono e soprattutto meno pericoloso per  un ex portavoce di Spadolini.  Perciò siamo curiosi di leggerlo.  Probabilmente,  visto che la sinistra marxista  è morta e non lotta più insieme a noi, qualche  calcetto al suo  cadavere, ora  Folli  lo darà.
Di  Parlato,  si può dire, che dopo Francesco Perfetti,  rimane  il migliore allievo di un  De Felice, come dire,  vu de droite. Parlato è  autore di libri importanti, storico rigoroso, conversatore piacevole, uomo coraggioso. Di calci al corpaccione della sinistra marxista, ne ha dati, e tanti, quando ancora era viva e vegeta.  Il che ha implicato un prezzo accademico.  Sarà molto  interessante leggere le sue note, soprattutto alla luce del successivo  sbandamento storiografico degli avversari marxisti di De Felice, oggi addirittura dediti alla rivalutazione dell’Anti-Risorgimento reazionario.
Sul De Felice  “giornalista”, al di là dei contenuti sempre interessanti,  nutriamo però dubbi. Lo stile, infatti,  lasciava molo a desiderare. La lettura dei suoi pezzi era ed è faticosa, talvolta devastante.Al riguardo si legga  l’interessante testimonianza di  Enzo Bettiza:

“Montanelli , storico non professionale, apprezzava tuttavia l’incessante lavorio di talpa scavatrice e ricercatrice che De Felice svolgeva tra le fonti smarrite e i cunicoli occulti del fascismo. Capiva altresì l’importanza di avere un De Felice fra i collaboratori più illustri del  ‘Giornale’. Ma inorridiva ogni volta  che i tortuosi e infiniti dattiloscritti dello storico  planavano sulla sua scrivania, costringendolo a tagliarne  le frasi  più prolisse, a raccorciarle, a disseminarle di punti e virgole, sempre attento però a non tramutare l’indispensabile lima stilistica dell’editore nella forbice del censore.” (2)


Insomma, per dirla fuori dai denti,  De Felice scriveva maluccio.  Come si evince anche da certi lunghissimi periodi - talvolta intere pagine -  della biografia dedicata a Mussolini. Che, comunque sia, resta un  monumento storiografico (non al duce si intende, come  invece scrisse  un malevolo recensore).   
Solo  tre punti conclusivi.
Uno, non dubitiamo, che i curatori, ovviamente  a conoscenza della  pagina di Bettiza, abbiano  tenuto conto nel lavoro di collazione,  sulla base degli originali di certo in possesso della Fondazione,  dei tagli  imposti da Montanelli.  Anche perché si trattava (e si tratta)  di approfondire un curioso capitolo di storia dei rapporti, non sempre idilliaci,  tra giornalismo  e storiografia, occasionalmente prestatasi, come dire,  alle  cronache  culturali.
Due, come si legge, la raccolta sembra escludere il De Felice cantimoriano, acuto  studioso del Giacobinismo sul versante italiano.  Ora, non sappiamo se lo storico reatino  si sia speso sul piano pubblicistico anche in argomento.  Forse no,  perché all’epoca ancora giovane,  poco noto e appetibile. Però, sarebbe interessante, qualora esistessero contributi giornalistici, raccoglierli.
E per un ragione storiografica,  punto tre:  il legame - certo tutto da indagare, o comunque approfondire -   tra il De  Felice, storico del Giacobinismo  e il De Felice,  storico della Dittatura fascista.  Un legame cognitivo, crediamo, fondato su una sua consapevolezza, come dire, talmoniana: che il fascismo pur riprovando (talvolta però con scivolamenti nella civetteria rivoluzionaria) lo "slittamento" dittatoriale e terroristico, in una parola Giacobino, della Rivoluzione francese, ne inverava  alcune caratteristiche di fondo, come ad esempio il costruttivismo rivoluzionario (più in linea teorica, verbale e verbosa, che di fatto, ma questa è un'altra storia) (3). Insomma, sotto la dissezione defeliciana del  Giacobinismo, nelle sue incarnazioni storiche (da Robespierre a Mussolini, passando per le astratte mitologie emulative dei patetici giacobini italiani), si celerebbe  un  anti-Giacobinismo di stampo liberale,  via Vincenzo Cuoco e Benedetto Croce, quale filo conduttore dell' opera di De Felice.  Ipotesi, forse azzardata, ma comunque, riteniamo,  senz'altro suggestiva.   
Va aggiunto, infine,  che quel  gusto metodologico per le classificazioni fulminanti che ritroviamo nel De Felice storico del fascismo, già si intravedeva nei suoi studi sui Giacobini italiani, condotti con il maestro Cantimori.  Scelta metodologica che allora suscitò l’ira di  Armando Saitta, storico acuto, politicamente a sinistra,   fin troppo arrendevole  verso le semplificazioni del marxista Soboul, ma non verso le  ardite concettualizzazioni del giovane De Felice,  liquidate da Saitta come “ paradigma di scarso valore storico”  (4)
Probabilmente,  l’ antipatia, per così dire, verso De Felice,  di una sinistra storiografica marxista ma di stampo giacobino, aveva ed ha radici  antiche. Forse proprio nell'anti-Giacobinismo defeliciano. Pertanto,  anche questo sarebbe un tema da approfondire o quantomeno una pista da seguire. 

Carlo Gambescia

2)  E. Bettiza, Mostri sacri, Mondadori, Milano 1999, p. 140.
3) Abbiamo approfondito la questione  dell’eredità giacobina, come  costruttivismo  politico-sociale,  a proposito dei rapporti tra Roberto Michels e il fascismo, nell' Introduzione, scritta con Jerónimo Molina, a R. Michels, Studi sulla democrazia e sull’autorità, Edizioni Il Foglio, Piombino (Li), 2015, pp. 3-14.
4) A. Saitta,  Problemi storiografici e orientamenti sulla Rivoluzione dell’89 in Francia e in Italia, Editrice Elia, Roma 1974, p. 327.                              

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