venerdì 23 settembre 2011

Oggi pubblichiamo, e ne siamo onorati, il post dell’amico Romano Vulpitta. Cosa aggiungere? Beh, che il “pentimento” dell’Omero pontino, cui accenna dispiaciuto Vulpitta, era prevedibile. Purtroppo, per dirla con Hippolyte Taine, “niente è più pericoloso d’un grande pensiero in un piccolo cervello”.

Buona lettura. (C.G.)

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Da Canale Mussolini a Viale Togliatti?

di Romano Vulpitta




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Sono stato sempre un ammiratore di Pennacchi, sin dal primo libro che ho letto, Palude. Lo considero un po’ il Céline italiano. A differenza di quelli che, con risultati poco convincenti, scimmiottano il grande scrittore francese, Pennacchi non lo imita, ma è céliniano nel modo di essere e di scrivere, con quel tono colloquiale, come se stesse a fare un racconto in osteria, e con quello stile iroso. In più ha quell’umorismo freddo che è tutto italiano. A quello che ci racconta, è nato in una società in cui tutti erano più o meno “fasci” e nella prima gioventù sarebbe stato missino. A sentir lui questa era la vita a Latina, o meglio Littoria come lui continua a chiamarla. Da bambini tutti in Chiesa, da ragazzi nelle sezioni del MSI. Dopo i venti anni, poi, si operavano le scelte politiche. E lui ha fatto la sua scelta. Non c’è da rimproverarlo. Ma, anche per l’ambiente in cui è stato formato, se con la testa ha fatto le sue scelte, con il cuore è rimasto “fascio”. Non è difficile capirlo leggendo le sue opere. E se non fosse così, perché mai avrebbe scritto sulle città di Mussolini e non quelle, per esempio, di Stalin?
Sono perciò rimasto sorpreso – oggi sembra che si dica basito, parola che non conosco perché non c’è nel mio vocabolario – quando ho scoperto che, in un’intervista rilasciata recentemente a “la Repubblica” il Pennacchi deplora che quelli di Forza Nuova vanno a fare “i presenti” al cippo eretto in memoria di Aldo Bormida perché avrebbero letto in un suo libro che è stato il primo caduto della Repubblica Sociale sul fronte di Nettuno. La cosa non piace al Pennacchi perché a suo avviso quello di Bormida è uno spirito che cerca la pace. Se lo dice lui sarà così, ma per quanto ne so io, chi andava in Repubblica non lo faceva certo per cercare la pace. E poi, a giudicare dai sopravvissuti, i “presenti” (in effetti si dovrebbe scrivere “i Presente!”) che Pennacchi depreca, dovrebbero risultare graditi a quegli spiriti. Comunque passi. Quello che mi ha dato fastidio è stata la conclusione del nostro: “Certe cose non avrei dovuto scriverle”. Questa non me la aspettavo proprio. Tu quoque Pennacchi!.. Anche tu ti sei pentito? Va bene che il premio Strega val bene un repubblichino, ma il pentimento ahimé, è un piano inclinato Non andrà a finire che per farsi perdonare Canale Mussolini, Pennacchi scriverà Viale Togliatti?
Nota grammaticale. Ho scritto “Tu quoque Pennacchi” perché ho tradotto maccheronicamnete in latino Pennacchius il nome dello scrittore ed i nomi in –ius fanno –i al vocativo.
Nota filosofica. Non ho contestato l’affermazione di Pennacchi sulle preferenze dello spirito di Aldo Bormida, perché mi sono ricordato di un apologo Zen che tradotto in termini moderni diventa così:
Gran Maestro Pennacchi: "Aldo Bormida è uno spirito che cerca la pace."
Discepolo: "Tu non sei lo spirito di Aldo Bormida. Come fai a sapere che cerca la pace?"
Gran Maestro: "Tu non sei me. Come fai a sapere che non so quello che cerca Aldo Bormida?”
Naturalmente questo funziona finché i discepoli sono rispettosi. Quando invece si fanno furbi, l’apologo continua così:
Discepolo maleducato: "Maestro, questa volta l’hai sparata grossa."
Gran Maestro Pennacchi: "Tu non sei me, come fai a sapere che l’ho sparata grossa?"
Discepolo maleducato: "Tu non sei me. Come fai a sapere che non so che l’hai sparata grossa?"
Questa è una delle ragioni per cui lo Zen non ha attecchito in Italia: i maestri avrebbero avuto una vita troppo difficile.
Nota letteraria. Come molti, mi chiedevo cosa avrebbe fatto Pennacchi dopo aver scritto Canale Mussolini, che, essendo una ricicciatura delle sue opere precedenti, ha esaurito tutto quello che aveva da dire. La risposta viene dall’intervista di cui sopra. Adesso riscrive le sue opere, cominciando da Palude.

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Romano Vulpitta
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Romano Vulpitta è  nato a Roma nel 1939; dopo un periodo di servizio nella carriera diplomatica, ha insegnato per oltre trent'anni cultura comparata e altro all'Universita Sangyo di Kyoto. Adesso, da pensionato, vagabondeggia tra Italia e Giappone. Probabilmente, è l’unico studioso italiano ad aver scritto in giapponese una biografia di Mussolini.

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