giovedì 12 gennaio 2012

Il libro della settimana: Giovanni Ciccotti, Marcello Cini, Michelangelo de Maria, Giovanni Jona-Lasinio L’Ape e l’Architetto. Paradigmi scientifici e materialismo storico, con saggi a commento oltre che degli autori di Arianna Borrelli, Marco Lippi, Dario Narducci, Giorgio  Parisi,  Franco Angeli,  2011,  pp.  300, euro 33,00 - http://www.francoangeli.it/   

http://www.ibs.it/code/9788856835434/ape-architetto-paradigmi.html


Ottima l’idea della casa editrice Franco Angeli di ripubblicare L’Ape e l’Architetto. Paradigmi scientifici e materialismo storico (pp.  300, euro 33,00). Un’opera, come si evince fin dal  titolo, di saldo impianto marxiano, uscita nel 1976 per i tipi di  Feltrinelli.  Editore, all’epoca,  non ancora trasformatosi in venditore di gadget e felpe.  La cui lettura ha un fascino particolare,  simile  a quello offerto dalla possibilità di poter ammirare un tramonto sull’Oceano.   Ovviamente,   il tramonto  di cui parliamo è quello  dell’ideologia “marxiano-marxista”.  Che, per dirla con Dante,  come ogni «ora che volge al desìo»,  «intenerisce il core ». Anche se noi non siamo «naviganti»…      
Il suo  titolo  prende  spunto dal  famoso  raffronto marxiano,  tra  l’ape e l’architetto: « Il nostro presupposto, scriveva Marx, è il lavoro in una forma nella quale esso appartiene esclusivamente all’uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggior architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell’idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell’elemento naturale; egli realizza nell’elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà».
Giusto. La scienza  è  un «subordinare» a leggi.  Quali leggi però?  Nel caso di Marx ed epigoni,  quelle  del materialismo storico. Leggi che  tuttavia  relativizzano gli stadi del sapere, ancorandoli alle forme di produzione. Cosa vogliamo dire? Che  il germe di tanto relativismo dissolvitore, post-marxiano e marxista,  era  già  racchiuso  nel  materialismo storico.  Perciò, definire tuttora  L’Ape e l’architetto  come una semplice  opera  di filosofia della scienza resta fuorviante. Perché i quattro autori, Giovanni Ciccotti, Marcello Cini, Michelangelo de Maria, Giovanni Jona-Lasinio, pensosi studiosi di scienze esatte, pur ribadendo la fede nel materialismo storico, preannunciarono la “tempesta perfetta”.  O se si preferisce l’avvicinarsi della fine delle certezze in campo politico, filosofico e scientifico: di tutte,  fuorché la propria.  Ecco la contraddizione…  In realtà la caduta avrebbe travolto un già traballante, e di suo,  approccio materialistico. Detto altrimenti: L’Ape e l’Architetto  “previde”  la  crisi prossima ventura  del pensiero  borghese; crisi che però  avrebbe  contagiato anche   un  materialismo  storico “relativizzante” e  indeciso tra  uso socialista delle scienza, ascetico neutralismo storico-scientifico e critica rivoluzionaria dello scientismo. 
In realtà il compito che si ponevano gli autori de L’Ape e l’Architetto era  di lottare solo  su due fronti: quello della critica agli irrazionalisti e quello della lotta agli scientisti di sinistra.  Come si leggeva nell’Avvertenza: « In questo volume sono raccolti alcuni scritti che  hanno un argomento e un fine comune: il tentativo di comprendere nel suo stadio più evoluto, e perciò anche nel suo sviluppo storico, la funzione del sistema delle ricerca in termini di quell’attività sociale e umana che è l’appropriazione teorico-pratica della natura, ed entro ciò di comprendere il valore della scienza. Questo tentativo si avvale degli strumenti della concezione materialistico-storico marxiana, ma non pretende di essere, né ambisce a esserlo, una interpretazione autentica ortodossa di ciò che Marx intende per scienza ».               
Però le  vicende storiche  andranno diversamente. Il punto è ben colto da  Marco Lippi,  autore di uno dei saggi a commento della riedizione: « Con il ’68  la situazione subisce un rovesciamento completo. La posizione maggioritaria della nuova sinistra, nella sinistra accademica in particolare, respinge  il riformismo come rinuncia ad una modificazione radicale dei rapporti sociali. E con esso la fiducia nel ruolo progressivo delle scienze. La denuncia dell’uso capitalistico dei risultati della ricerca si trasforma nella denuncia della ricerca scientifica come tale. I temi francofortesi esercitano un grande fascino, come tante altre posizioni di critica radicale a quel tempo. Per molti anni a venire, nella sinistra si parlerà di crisi del capitalismo, di crisi delle scienze, di crisi della  ragione. In modo impetuoso la  critica  del riformismo, del progressismo e delle scienze, investirà la scuola, l’Università, la ricerca, la vita quotidiana. La diga ormai crollata, più nulla fu risparmiato in quegli anni a chi tentasse di restare  sobrio nella sinistra in rotta: il pensiero debole, l’ermeneutica, il ritorno di Heidegger, giù fino  al trionfo antinuclearista e poi, ancora, la saggezza orientale, l’oroscopo, i tarocchi». 

Una  deriva -  ipotizziamo -  lontana dal concludersi.   Si pensi alle  involuzioni  “no stop”,  dagli anni Settanta ad oggi,  di  Massimo Cacciari e Toni Negri, veri maghi dei tarocchi.  Certo, restano tuttora figure interessanti come Costanzo Preve e  Gianfranco La Grassa. Ma si muovono ancora nell’alveo di  Marx e del materialismo storico?   

Carlo Gambescia

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