Oggi ci sostituisce Giacomo Gabellini. E
bene.
Il libro di Raffaele D'Agata, certamente
interessante, ha però un difetto fondamentale. Quello di confondere il
liberalismo ( nella sua generalità o politico ) con il liberismo (economico)...
Il liberalismo tout court, a
differenza dell'utopico e pericoloso democraticismo giacobino, spiccò il volo
proprio negli anni della Restaurazione, conquistando prima la società civile e
in seguito quella politica, grazie alla rivoluzione "moderata" del
Luglio 1830. La stessa cosa non si può dire - a vent'anni dalla caduta
dell'Unione Sovietica - dell'ideologia comunista. Finita invece nel
dimenticatoio e attualmente patrimonio di lunatic
fringes che la interpretano in senso assolutamente anarcoide: il
grado zero o preistorico (non in senso marxiano) della politica.
E poi diciamola tutta: a prescindere dalle
diverse ideologie, tra padri del liberalismo politico come Constant, Guizot,
Tocqueville e nipotini di Marx e Lenin come Negri, Žižek Badiou resta una
colossale differenza. Qualitativa.
Buona lettura. (C.G.)
Il libro della settimana: Raffaele
D'Agata, La
restaurazione imperfetta (1990 – 2010), Manifestolibri 2011, pp. 200, euro 24,00.
http://www.manifestolibri.it/novita.php |
.
Il professor Raffaele D’Agata, ordinario di
storia contemporanea all’università di Sassari, è uno storico attento, ed
estremamente portato a cogliere i minimi comun denominatori che molto spesso
collegano i fatti del presente con quelli del passato. D’altra parte, se non a
comprendere il presente, a che cosa dovrebbe servire lo studio della Storia?
D’Agata prova allora a dare un personalissima interpretazione in chiave metastorica
degli eventi che hanno avuto luogo in Russia subito dopo la caduta dell’Unione
Sovietica, proponendo di colpo una strabiliante analogia con ciò che avvenne in
Francia durante la
Restaurazione. Lasciamo a lui la parola:
.
“Si può osservare una certa somiglianza tra
il discredito che cominciò a colpire la rivoluzione russa d’ottobre a partire
dagli anni novanta del Novecento e quello che toccò largamente la rivoluzione
francese dopo la caduta di Napoleone. In entrambi i casi, gran parte delle idee
critiche e delle azioni contestative nei confronti dei fondamenti stabiliti
dall’ordine sociale globalmente predominante si trovarono ad essere associate
in modo più o meno appropriato con le fortune e poi con la caduta di una
potenza mondiale di tipo imperiale”.
.
Tuttavia, malgrado le analogie tra i due
colossali eventi storici non manchino, D’Agata ritiene che la Restaurazione
ottocentesca abbia comunque lasciato volontariamente ampi spazi di manovra alle
idee illuministe che si erano affermate nel passato recente, mentre la
"restaurazione" avviata ovunque dopo il fallimento del “socialismo
reale” ha propugnato una capillare e onnicomprensiva demonizzazione di tutti i
protagonisti e di tutte le dinamiche su cui era strutturata l’ideologia sovietica,
sepolte sotto la valanga di lodi sperticate spese senza ritegno dai ministri
del pensiero unico nei confronti del dogma liberista, presentato come un vero e
proprio elisir di lunga vita per tutti coloro che “scelgano” di aderirvi.
L’autore dimostra, naturalmente, che gli
orizzonti di gloria promessi da economisti e analisti politici, autentici
profeti e indovini del nostro tempo, non sono altro che colossali illusioni. Il
fallimento escatologico del credo liberista ha iniziato a delinearsi in
corrispondenza di numerosi passaggi, come le crisi jugoslave e le due
spedizioni punitive contro l’Iraq, che secondo D’Agata vanno iscritti a pieno
titolo nel novero delle operazioni finalizzate ad affermare il predominio
statunitense a discapito di un Vecchio Continente imbelle e incapace di andare
oltre un' Unione Europea formata da una congrega di burocrati ed affaristi più
realisti del re. Il non edificante quadro dipinto nel libro finisce però per
tingersi di tinte leggermente più rosee, ovvero quando D’Agata tira in ballo
una sorta opposizione al potere costituito di tipo camusiano per concludere
che, in definitiva, non tutto è perduto:
.
“In profondità, tra l’una e l’altra
manifestazione, qualcosa continuava ad accadere, in modo sparso, locale,
determinato, e anche e soprattutto in quelle forme non militanti e
apparentemente perfino non politiche in cui si manifesta il nucleo più profondo
e vitale di ogni resistenza alla hybris del
potere: l’adesione alla sublime necessità del quotidiano”.
.
Effettivamente, esiste la possibilità che
questa hybris di esiodea
memoria finisca per autodistruggersi, come insegnano gli antichi sapienti
greci. A noi, non rimane che osservare con freddo distacco la realtà, con
l’auspicio che D’Agata non sia incappato nel peggiore degli abbagli: l’innata
fede nell’uomo.
.
Giacomo Gabellini
Giacomo Gabellini si interessa di filosofia, storia,
politica e geopolitica. Autore di numerosi articoli che toccano i temi indicati
per il blog Conflitti & Strategie (www.conlittiestrategie.splinder.com), con il quale
collabora attualmente.
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