Italiani per caso?
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Domani, 17 marzo, celebreremo ufficialmente
l’Unità d’Italia (nella foto a sinistra, "meringhe tricolore", ideate
per l'occasione...). Tutto bene allora? No, perché la si festeggerà
passeggiando tra le rovine di una crisi politica che per alcuni si trascina da
Tangentopoli, per altri dal 1945, per altri ancora dal 1922… E così via fino al
1861, dando la stura a rancori di ogni tipo.
Certo, dal 1861 l’Italia è mutata: siamo tutti più istruiti e ricchi, i dati statistici sono chiari. Ma è sufficiente per parlare di idem sentire? No. Come del resto provano le polemiche che hanno preceduto l’istituzione della Festa Nazionale del 17 marzo, tra l’altro decisa in poco più di un mese…
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Istituzioni in cerca di affetto
Questo essere italiani quasi per caso, rinvia a tre motivazioni di ordine storico e sociologico. Il lettore è perciò pregato di allacciarsi le cinture.
Certo, dal 1861 l’Italia è mutata: siamo tutti più istruiti e ricchi, i dati statistici sono chiari. Ma è sufficiente per parlare di idem sentire? No. Come del resto provano le polemiche che hanno preceduto l’istituzione della Festa Nazionale del 17 marzo, tra l’altro decisa in poco più di un mese…
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Istituzioni in cerca di affetto
Questo essere italiani quasi per caso, rinvia a tre motivazioni di ordine storico e sociologico. Il lettore è perciò pregato di allacciarsi le cinture.
In primo luogo, l’idea repubblicana è da
sempre poco creduta e praticata: a tutt’oggi non esiste una religione civile
condivisa della patria repubblicana. Cosa del resto già abbondantemente
verificatisi con le tradizioni monarchica e fascista, finite malissimo.
Esiste, per dirla in sociologhese, un deficit storico e collettivo di affezione alle istituzioni. Probabilmente causato dal tardivo conseguimento dell’unità nazionale, privo di adeguata partecipazione popolare. Di riflesso, Stato e Patria non sono mai entrati nel cuore degli italiani. Oppure, forse, sotto sotto c’è una questione di Dna italico? Secondo Prezzolini: « l’Italia non è democratica né aristocratica. È anarchica » (Codice della vita italiana), geneticamente anarchica.
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Lo Stato Esattore
Comunque sia, gli italiani hanno sempre visto nello Stato e nella Patria solo il Poliziotto, il Soldato, l’Esattore delle Imposte ( figure, in effetti, spesso schierate con i ceti socialmente privilegiati…). E non i rappresentanti di istituzioni preposte al buongoverno. Ancora oggi, come emerge da studi e ricerche, il primo valore resta la famiglia, ma in senso particolaristico ( «Prima noi, poi tutti gli altri»): familismo allo stato puro. Dopo di che seguono le reti amicali e professionali, nell’ordine amici, colleghi e clienti. Sono atteggiamenti e comportamenti molto diffusi anche all’interno della classe dirigente politica ed economica. Popolata di capi e capetti sempre a caccia di rendite, spesso immeritate, per se stessi, familiari e sodali. Rendite ovviamente collegate alle posizioni di potere conseguite o ricoperte, magari solo perché servilmente sottomessi al cooptatore di turno. Quanto all’economia italiana, basti ricordare che gli studiosi hanno coniato il termine di capitalismo familiare.
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Esiste, per dirla in sociologhese, un deficit storico e collettivo di affezione alle istituzioni. Probabilmente causato dal tardivo conseguimento dell’unità nazionale, privo di adeguata partecipazione popolare. Di riflesso, Stato e Patria non sono mai entrati nel cuore degli italiani. Oppure, forse, sotto sotto c’è una questione di Dna italico? Secondo Prezzolini: « l’Italia non è democratica né aristocratica. È anarchica » (Codice della vita italiana), geneticamente anarchica.
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Lo Stato Esattore
Comunque sia, gli italiani hanno sempre visto nello Stato e nella Patria solo il Poliziotto, il Soldato, l’Esattore delle Imposte ( figure, in effetti, spesso schierate con i ceti socialmente privilegiati…). E non i rappresentanti di istituzioni preposte al buongoverno. Ancora oggi, come emerge da studi e ricerche, il primo valore resta la famiglia, ma in senso particolaristico ( «Prima noi, poi tutti gli altri»): familismo allo stato puro. Dopo di che seguono le reti amicali e professionali, nell’ordine amici, colleghi e clienti. Sono atteggiamenti e comportamenti molto diffusi anche all’interno della classe dirigente politica ed economica. Popolata di capi e capetti sempre a caccia di rendite, spesso immeritate, per se stessi, familiari e sodali. Rendite ovviamente collegate alle posizioni di potere conseguite o ricoperte, magari solo perché servilmente sottomessi al cooptatore di turno. Quanto all’economia italiana, basti ricordare che gli studiosi hanno coniato il termine di capitalismo familiare.
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Gli amici degli amici…
In secondo luogo, sul piano locale, anche dove è viva la tradizione civica, sono tuttora attive, come veicolo di cooptazione economica e politica, le reti familiari, amicali e professionali. Insomma, per parenti, amici e colleghi, soprattutto se socialmente cospicui, le istituzioni (dai partiti alle banche) continuano ad avere un occhio di riguardo. Il che può essere comprensibile ( ma non giustificabile) nella gestione di realtà locali minori, segnate dal faccia a faccia comunitario. Mentre può essere pericoloso dove le tradizioni civiche sono più deboli, come nel Mezzogiorno: terra fin troppo caratterizzata, secondo alcuni celebri studi, da un’antica tradizione di familismo amorale. E dove l’assenza di un solido tessuto civile continua a facilitare infiltrazioni di tipo criminale, promosse da organizzazioni dalle antiche radici claniche. Ma di peggio accade a livello nazionale dove familismo e clientelismo politico, che per certi aspetti è il prolungamento del primo, impediscono di gestire l’amministrazione pubblica in termini di efficienza, correttezza ed eguaglianza di accesso alle prestazioni. Alimentando negli esclusi uno spirito di rivalsa verso le istituzioni, contrastante con lo sviluppo di qualsiasi senso civico. Dal momento che lo Stato - ripetiamo - continua ad essere visto quale entità estranea o dispensatrice di favori economici e politici: o carabiniere o vacca da mungere…
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In secondo luogo, sul piano locale, anche dove è viva la tradizione civica, sono tuttora attive, come veicolo di cooptazione economica e politica, le reti familiari, amicali e professionali. Insomma, per parenti, amici e colleghi, soprattutto se socialmente cospicui, le istituzioni (dai partiti alle banche) continuano ad avere un occhio di riguardo. Il che può essere comprensibile ( ma non giustificabile) nella gestione di realtà locali minori, segnate dal faccia a faccia comunitario. Mentre può essere pericoloso dove le tradizioni civiche sono più deboli, come nel Mezzogiorno: terra fin troppo caratterizzata, secondo alcuni celebri studi, da un’antica tradizione di familismo amorale. E dove l’assenza di un solido tessuto civile continua a facilitare infiltrazioni di tipo criminale, promosse da organizzazioni dalle antiche radici claniche. Ma di peggio accade a livello nazionale dove familismo e clientelismo politico, che per certi aspetti è il prolungamento del primo, impediscono di gestire l’amministrazione pubblica in termini di efficienza, correttezza ed eguaglianza di accesso alle prestazioni. Alimentando negli esclusi uno spirito di rivalsa verso le istituzioni, contrastante con lo sviluppo di qualsiasi senso civico. Dal momento che lo Stato - ripetiamo - continua ad essere visto quale entità estranea o dispensatrice di favori economici e politici: o carabiniere o vacca da mungere…
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Modernizzazione compromissoria
In terzo e ultimo luogo, il sistema dei partiti privo di salde radici rivoluzionarie (come nell’esperienza francese) o di consolidate tradizioni parlamentari (come nell’esperienza britannica) si è adattato alla logica familistica. In che modo? Trasferendola all’interno di un contesto economico e sociale moderno segnato dalla democrazia rappresentativa, dove però, come accennato, l’arcaica logica clanico-fiduciaria patteggia con la moderna logica partitocratica. Si potrebbe parlare di una modernizzazione compromissoria, ossia basata sul compromesso tra Vecchio e Nuovo dove però vince il Medesimo: il familismo. Il che nel Sud produce pericolose commistioni tra politica e criminalità organizzata. Mentre in quelle più evolute del Nord e del Centro provoca immorali matrimoni di interesse tra partitocrazia e capitalismo familiare. Accoppiamenti poco giudiziosi che finiscono per sconfinare, di ritorno, anche al Sud. E qui, purtroppo, c’è un filo rosso che va dallo scandalo della Banca Romana alle ruberie delle cricche di oggi.Insomma, una situazione, per alcuni, priva di vie d’uscita. Figurarsi, perciò, se potrà bastare l’istituzione di una Festa dell’Unità Nazionale paracadutata in tutta fretta dall’alto.
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“Conosci qualcuno che…”
In Italia, purtroppo, la prima cosa a cui si pensa prima di intraprendere qualsiasi attività (la ricerca di un lavoro, la prenotazione di una visita medica, la richiesta di un passaporto, un prestito bancario, eccetera) è trovare “ la raccomandazione” nel giro dei parenti, amici, conoscenti, eccetera. Parliamo del famigerato “Conosci qualcuno che…” . Ecco il vero problema da risolvere… E comunque non con l’istituzione, in fretta e furia, di una Festa Nazionale.
C’è poi un altro fatto: la
globalizzazione economica tende a dissolvere in misura crescente i legami tra
cittadino e Stato-Nazione, persino dove sono ancora saldi. Di conseguenza per
l’italiano medio, così poco nazionalizzato, in futuro sarà sempre più difficile
socializzare politicamente i valori di patria, rispetto civico e di buon
governo. Ma a che prezzo?Quello di ritrovarsi un bel giorno né cittadino del
mondo né italiano: apolide abitante di un’espressione geografica, esportatrice
di stilisti, attori, cervelli, prodotti di lusso, criminalità. Il che implica
una cosa sola, e molto brutta: lo scivolamento dell’Italia in una
frammentazione politica peggiore di quella pre-unitaria.In terzo e ultimo luogo, il sistema dei partiti privo di salde radici rivoluzionarie (come nell’esperienza francese) o di consolidate tradizioni parlamentari (come nell’esperienza britannica) si è adattato alla logica familistica. In che modo? Trasferendola all’interno di un contesto economico e sociale moderno segnato dalla democrazia rappresentativa, dove però, come accennato, l’arcaica logica clanico-fiduciaria patteggia con la moderna logica partitocratica. Si potrebbe parlare di una modernizzazione compromissoria, ossia basata sul compromesso tra Vecchio e Nuovo dove però vince il Medesimo: il familismo. Il che nel Sud produce pericolose commistioni tra politica e criminalità organizzata. Mentre in quelle più evolute del Nord e del Centro provoca immorali matrimoni di interesse tra partitocrazia e capitalismo familiare. Accoppiamenti poco giudiziosi che finiscono per sconfinare, di ritorno, anche al Sud. E qui, purtroppo, c’è un filo rosso che va dallo scandalo della Banca Romana alle ruberie delle cricche di oggi.Insomma, una situazione, per alcuni, priva di vie d’uscita. Figurarsi, perciò, se potrà bastare l’istituzione di una Festa dell’Unità Nazionale paracadutata in tutta fretta dall’alto.
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“Conosci qualcuno che…”
In Italia, purtroppo, la prima cosa a cui si pensa prima di intraprendere qualsiasi attività (la ricerca di un lavoro, la prenotazione di una visita medica, la richiesta di un passaporto, un prestito bancario, eccetera) è trovare “ la raccomandazione” nel giro dei parenti, amici, conoscenti, eccetera. Parliamo del famigerato “Conosci qualcuno che…” . Ecco il vero problema da risolvere… E comunque non con l’istituzione, in fretta e furia, di una Festa Nazionale.
Un processo di questo tipo potrebbe spianare la strada a coloro che ritengono - in primis banchieri e finanzieri - troppo costoso il mantenimento di una classe politica autoctona. Fino al punto di spingere il capitalismo familiare italiano a puntare per la sicurezza interna ed esterna su partner politici stranieri, magari anglo-americani, perché ritenuti più dinamici, capaci e sicuri sul piano organizzativo. O peggio ancora, di considerare superate e costose le elezioni politiche. Se sono i mercati a votare tutti i giorni - ecco il ragionamento tipo del plutocrate - la democrazia è inutile.
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Una federazione di (grandi) famiglie
Fantapolitica? Forse. Tuttavia, dietro gli attacchi confindustriali alle caste politiche, si scorge il forte desiderio di farla finita con una classe politica giudicata - il più delle volte non a torto - incapace e dedita al vivere a sbafo…Altro che Festa del 17 Marzo… L’Italia rischia di tornare indietro fino a diventare quel che era nell’Alto Medioevo: una federazione di famiglie, di grandi famiglie. E non è una battuta.
Carlo Gambescia
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