mercoledì 11 febbraio 2009

Polemiche

Bioetica, paghi uno compri tre




Che cos’è la bioetica? Semplificando, per i contrari è un inutile carrozzone con dentro scienziati e moralisti, prontissimi a discutere di vita e di morte senza mai approdare a una risposta certa. Per i favorevoli è un utile tentativo di mettere d’accordo “laici” e “clerici” sui giusti confini tra l’ Al di là e l’ Al di qua…
E per la gente comune? Difficile dire, perché non esistono studi affidabili in argomento. L’unico dato certo, molto rozzo, è quello della secolarizzazione, i cui indicatori provano che la pratica religiosa è in calo: la funzione domenicale è frequentata da tre persone su dieci. Negli anni Sessanta si recavano a messa regolarmente sei persone su dieci.
Si dirà: ma chi se la sente di giurare sulla fede dei praticanti? Giusto. Diciamo, allora, che nei riguardi dell’Al di là oggi prevale l’indifferenza. Si vive “attaccati” all’Al di qua, nutrendo fiducia nella scienza e nella tecnica. O tutt’al più praticando una religiosità naturale new age (ancora meno misurabile e sicura di quella “artificiale”, cristiana e cattolica). Ma quel che più è importante è che si crede in particolare nella capacità della medicina di prolungare la vita umana: nella medicina come sostitutivo della religione, grazie alla sua presunta (collettivamente) capacità, non tanto di dare risposta, quanto di rimuovere quelle domande che secondo Julien Freund danno sociologicamente e storicamente corpo, istituzionalizzandolo, al fenomeno religioso ( sia di tipo artificiale o naturale, sia di natura monoteista o politeista, sia in termini di trascendente e/o di sacro): perché il dolore, perché la morte? dove andremo dopo la morte?
Certo, si tratta di una fiducia spesso scossa dai ricorrenti episodi di malasanità, soprattutto in Italia… Si vive perciò in una condizione di incertezza, anche perché, a causa degli alti e bassi economici, si teme di perdere quel poco di benessere così faticosamente conquistato. E come ci si difende? Puntando sull’ individualismo assistito: uno schizofrenico mix di libertà individuale e assistenza sociale (sempre meno per la verità...). Milioni di anonimi individui, come formiche terrorizzate, cercano di privatizzare i profitti e socializzare le perdite, inseguendo quel miraggio, criticato dai nostri nonni, del “solo diritti, nessun dovere”…
E’ quindi ovvio che in una società anarchica a metà, dove si crede di poter regolare l’individualismo sociale per legge, dalla culla alla tomba (suicidio “assistito” incluso), la bioetica sia assurta a scienza delle scienze: a disciplina capace dire l’ultima parola sui confini della vita. Grazie anche alla forza sostitutiva, nel senso sopra indicato, attribuita preventivamente alle discipline mediche.
Ma in questo modo senso la bioetica, grazie alla determinante alleanza con le scienze mediche, rischia di apparire un “surrogato” scientifico ( e per alcuni ancora più oppiaceo) della religione. E così l’uomo comune, credendovi, si illude, come al supermercato, di pagare uno (“Credi nella scienza!”) e portare via tre ( “Salute, Sicurezza, Lunga Vita”).
Ma facciamo un esempio. Al professor Veronesi, noto difensore dell’approccio bioetico, dobbiamo un libro dal titolo programmatico: Il diritto di morire. La libertà del laico di fronte alla sofferenza, ( Mondatori 2005).
Per Veronesi il “diritto di morire” fa “parte del corpus fondamentale dei diritti individuali”, come il diritto di formarsi o meno una famiglia, il diritto alle cure mediche, il diritto a una giustizia uguale per tutti, il diritto all'istruzione, eccetera.
A metterla sul difficile, quel che dice Veronesi può essere esatto sul piano “logico-ideologico”: dal momento che una volta stabilita una preminenza logica (il singolo uomo come “premessa logico-argomentativa”) e ideologica (il singolo uomo come punto di “partenza” e di “arrivo” di qualsiasi processo storico), dell’individuo, le libertà di scelta e azione dell'uomo, nella sua singolarità, non possono non essere totali.
Resta però problema pratico. Sul quale riflettere, proprio in questi giorni in cui si parla della necessità improrogabile, sulla quale siamo d'accordo, di una legge sul testamento biologico. Come verrà articolato socialmente il "diritto di morire" in una società che pratica l' individualismo assistito? Verranno istituite commissioni mediche, di “specialisti”, che decideranno quando e come “soddisfare” le “richieste” dei singoli? E su quali parametri? E in quali strutture? Non sussiste forse il rischio di commettere ingiustizie e abusi?
Crediamo di sì, dal momento che una volta stilato, da parte del singolo, "il testamento biologico perfetto" (auspicando che ci si arrivi legislativamente), a occuparsi degli aspetti esecutivi e pratici saranno le stesse burocrazie mediche, amministrative e politiche che non riescono a gestire in modo efficiente i nostri ospedali. Quel che può “filare” sul piano logico-ideologico, purtroppo può non “filare” sul piano sociologico.

Pertanto sono questioni che vanno tenute presenti: non esiste l' "uomo astratto", ma esiste l'uomo "in società". Insomma, per tornare all’illusione del “paghi uno e porti via tre”, l’uomo comune crede di essere libero di decidere, mentre in realtà rischia di finire prigioniero di occhiute burocrazie che decidono per lui.
Certo, in maniera “bioeticamente” giusta … Ma per chi? 
Carlo Gambescia

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