venerdì 22 febbraio 2008

 Successione e carisma

Addio Fidel, e dopo?



L’addio di Fidel Castro alla politica attiva, soprattutto per evidenti ragioni di salute, apre anche un notevole problema sociologico dai rilevanti risvolti politici. Quale? Quello della sostituzione di un leader carismatico. Ovvero: è possibile passare in modo indolore e senza conseguenze per il regime stesso, da un sistema politico a base carismatica a un sistema politico razionale a base burocratica?
Ovviamente, come i lettori sanno, la nostra analisi esulerà da qualsiasi giudizio politico sul regime cubano. Anche se principalmente basata, in termini di valori, sul rifiuto di quella formuletta politologica, oggi molto in voga tra i "mercatisti", che dà per necessario, immediato e indolore il passaggio dalle diverse forme di dittatura alla democrazia liberale basata sul mercato.
Il carisma di Fidel Castro va perciò visto come dato analitico di fatto. Per capirne l'importanza, basta dare uno sguardo a qualsiasi sua biografia, anche indipendente: avvocato dei poveri, leader rivoluzionario indiscusso e ispiratosi a un socialismo di tipo nazionalista, nonché fiero, fervido e visionario politico. Il potere carismatico di un leader politico, di regola, deriva dall’essere considerato come dotato di forze e proprietà eccezionali non accessibili agli altri, soprattutto in virtù di una biografia, come quella appena accennata. E attenzione: si tratta di un elemento trasversale a tutti i regimi politici, democratici e socialisti. Insomma siamo davanti a una costante sociologica. Ma questa è un'altra storia...
Ora, la figura di Castro ha sempre svolto un ruolo politicamente determinante. Si potrebbe parlare di una specie di plusvalore politico. Come risulta evidente dal fatto che, nonostante la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Cuba, pur trovandosi in precarie condizione economiche, dopo diciassette anni, come dire, sia ancora lì. Indubbiamente, un ruolo certamente deprecabile, è stato giocato dall’apparato di polizia. Ma ridurre la questione della “longevità” politica ed economica cubana alla componente burocratico-poliziesca è ingenuo e riduttivo.
In realtà, come in una specie di esperimento sociale “in provetta” solo ora, e ancora di più dopo la sua morte, si potrà misurare il peso specifico del carisma di Fidel Castro riguardo al passato: per differenza con quello che accadrà a Cuba in futuro.
Di regola dopo la scomparsa del fondatore carismatico, prima un regime entra in una fase di intensa lotta per la successione. Poi, se non emergono altri leader capaci di raccogliere il carisma, in genere la "residua" macchina burocratica viene a patti con il mondo: si inizia così a passare da una struttura politica, economica e sociale incentrata sui fini (l’ideologia, nella fattispecie il comunismo, rivissuta attraverso la presenza quotidiana, fisica e carismatica, del suo fondatore), a una struttura basata solo sui mezzi organizzativi (priva perciò di carisma, e ridotta a puro organismo burocratico). Di riflesso il sistema finisce, di regola, per accettare alcune riforme, soprattutto economiche (e dunque organizzative). Ma sempre entro certo limiti: perché le riforme rischiano comunque di mettere in discussione la leadership della macchina burocratica, in genere gestita dal partito unico, privandolo così silenziosamente del suo potere.
Ad esempio nella Cina post-maoista la transizione è ancora in atto. E sta avvenendo, appunto perché non è ancora emerso alcun nuovo capo carismatico, solo su basi organizzative (mezzi) e non valoriali (fini). La partita, probabilmente, è ancora aperta. Nella Russia comunista invece la transizione dal potere carismatico al potere razionale, apertasi dopo la morte di Stalin, si è prolungata per quasi quarant’anni. E si può dire che, nonostante il passaggio dal comunismo alla democrazia, il potere sia ancora in bilico tra carisma e razionalità: tra fini e mezzi. Probabilmente si tratta di una "regolarità" legata alle tradizioni messianiche ed autoritarie russe. La storia non sempre si può cancellare con un colpo di spugna.
Ovviamente, nelle fasi di transizione sono in gioco anche altri fattori: la presenza di istituzioni politiche e religiose, oltre a quelle del partito unico (ad esempio le forze armate, le chiese, le tecnocrazie, ecc.). Ma contano anche le pressioni esogene (delle potenze nemiche, dell’economia mondiale, ecc.) ed endogene ( le dimensioni demografiche, geografiche, economiche, il peso delle tradizioni culturali, ecc.). Tutti fattori che mescolati insieme possono giocare un ruolo determinante.
E Cuba, di fatto, come ogni regime monopartitico si è retta e si regge, sostanzialmente, sulla coesione della dirigenza del partito, nella fattispecie quello comunista. E sul consenso sincero o meno, che esso riuscirà a conservare intorno a se stesso, dopo la scomparsa del plusvalore carismatico "emanato" da Castro. E fin quando questo consenso durerà, soprattutto di fronte alle avversità esterne ( e qui si pensi solo alle possibili "pressioni" statunitensi), l’ ”eredità” politica di Fidel Castro continuerà a vivere. Anche senza il suo carisma.
Ma un comunismo cubano (alcuni preferiscono il termine "socialismo") basato sui “mezzi” (solo organizzazione, e purtroppo coercizione) e privo di fini (carismatici), potrà ancora essere considerato tale?

Carlo Gambescia 

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