Profili/33
Franco Basaglia
Per molti Franco Basaglia (1924-1980) è "quello che
liberò i matti”: il "padre padrone" della famigerata legge 180, che
chiuse i manicomi e mise in discussione il trattamento obbligatorio dei “malati
di mente”. In realtà lo psichiatra veneziano scomparso ventisei anni fa,
nell’agosto del 1980, è soprattutto una figura intellettualmente intrigante. E
dubitiamo che certi suoi critici ne abbiano mai sfogliato gli scritti.
Franco Basaglia nasce a Venezia nel 1924. Nel 1949 si
laurea im medicina e nel 1952 si specializza in neuropsichiatria. Lavora nella
Clinica delle malattie nervose e mentali dell'università di Padova. Si sposa
con Franca Ongaro (scomparsa nel 2005). Gli anni Cinquanta sono anni di studio
intenso e di lavoro universitario. Per il suo approccio molto particolare ai
problemi delle malattie mentali, che mescola fenomenologia e sociologia, già
all'epoca si parla di lui come del "filosofo Basaglia"... Nel 1961
diventa direttore dell'ospedale psichiatrico di Gorizia. A poco a poco, e tra
grandi difficoltà riesce a creare intorno a lui un valido circolo di
collaboratori. E a far così decollare l'esperienza goriziana... Nascono libri
come L'Istituzione negata (con Franca Ongaro Basaglia, Einaudi, Torino
1968), Morire di classe (Einaudi, Torino 1969), Che cos'è la
psichiatria ? (Einaudi, Torino 1973), Crimini di pace (con Franca
Ongaro Basaglia, Torino Einaudi 1975). Testi, filosoficamente molto ricchi (e
politicamente impegnati in senso libertario), che, in particolare, introducono
in Italia, reinventandole, le tesi di Goffman sulle "istituzioni
totali": un'autentica rivoluzione di pensiero e mentalità, in un'Italia,
"psichiatricamente" ancora positivista e lombrosiana. Nel 1968 in un celebre servizio
di "Tv 7" sull'esperienza goriziana, Basaglia, intervistato, fa
un'asserzione, che condensa simbolicamente il suo approccio: "Tra la
malattia e il malato, senza dubbio mi interessa di più il malato". Negli
anni Settanta cresce la sua fama. Viaggia molto. Prende contatto con studiosi
che si muovono sulle sue stelle linee di ricerca. Si reca anche in Brasile e
negli Stati Uniti. Tra il 1969 e il 1971 dirige a Parma il manicomio di
Colorno. Si impegna nel movimento di Psichiatria Democratica. E si batte a
fondo per la legge 18o (che porta il suo nome), finalmente approvata il 13
maggio del 1978. Nel maggio del 1980,
a Berlino, si affacciano i primi sintomi della malattia,
che ne causerà la morte nell'agosto dello stesso anno.
Va subito sottolineato un fatto importantissimo. Basaglia fu il primo in Italia a considerare il cosiddetto paziente psichiatrico una persona e non un malato. Detto così può apparire retorico o semplicistico, ma tutti sicuramente ricordano la crudezza di Qualcuno volò sul nido del cuculo, interpretato da un magistrale Jack Nicholson. In quel film la condizione di non persona del “malato mentale”, è delineata con grande bravura e nettezza: dopo pochi istanti si capisce subito che i “pazienti” sono trattati come bambini, o come mine vaganti. E attenzione, in una realtà, l’America degli anni Cinquanta e Sessanta, dove i manicomi, tutto sommato garantivano dei requisiti minimi di “vivibilità”, molto al di sopra di quelli italiani all’epoca. Nicholson vi interpreta la figura di un pregiudicato ribelle, rinchiuso in una clinica psichiatrica, dove viene prima sottoposto a elettroshock, poi lobotomizzato e ridotto a un vegetale: in una parola “normalizzato”.
E questo accadeva nel paese-simbolo della modernità, gli Stati Uniti… Il punto è che la modernità, in particolare quella capitalistica, con le sue rigide istituzioni (a cominciare da stato e mercato), ha praticamente reinventato la figura del folle, come essere da emarginare, se non far sparire del tutto. E questo perché il “matto” così amato e rispettato da Basaglia, fino al punto di restituirgli le ali della libertà, costituiva e costituisce per le istituzioni economiche e politiche moderne, basate sul calcolo e la previsione razionale, un elemento di disturbo. Come definire altrimenti un individuo che non si adegua esteriormente, e che in fin dei conti, non “consuma” come tutti gli altri?
Pertanto considerare i “matti” persone significa andare controcorrente: vuol dire tornare all’antico. Dal momento che nel mondo premoderno, o comunque in altre civiltà, “l’invasato dalla passione per dio o per gli dei”, visto che non poteva esserci altra spiegazione per i suoi “strani” comportamenti, era rispettato, aiutato, talvolta temuto per i suoi “poteri”, e mai considerato un essere inferiore, da tenere ai margini.
Si dirà: ecco il solito buonismo (per giunta venato di tradizionalismo)… Infatti secondo i sostenitori della riapertura dei manicomi, i malati “liberati”, rischiano sempre di essere abbandonati a se stessi da famiglie che non vogliono o non possono seguirli. Certo, spesso è accaduto e accade, ma il vero problema è l’assenza di strutture comunitarie di vario livello capaci di accogliere senza umiliare, e soprattutto di sostenere le famiglie. Un problema che ha le sue radici in una società frammentata, competitiva ma dall’economia fragile e segnata da tempi di vita sempre più convulsi: se c’è tensione e disaccordo nelle famiglie economicamente autosufficienti, figurarsi in quelle che non lo sono, e che devono per giunta seguire da sole un parente in difficoltà.
C’è una bella espressione di Basaglia, che riprendiamo da una recente scelta dei suoi scritti (L’utopia della realtà, Einaudi, Torino2006, a cura di Franca
Ongaro Basaglia, introduzione di Maria Grazia Giannichedda; un volume che
costituisce una buonissima base di partenza, anche biobibliografica per
chiunque voglia approfondirne il pensiero - www.einaudi.it
-) : “ Il re dorme se anche la guardia dorme”. Che significa? Che il re può
riposare veramente, solo se il suo reame è in pace. E il miglior simbolo di una
condizione di quiete è proprio nelle guardie che riposano tranquille, visto che
non hanno più nulla da fare. Ma per giungere a questo serve che il re governi
bene e soprattutto riesca a edificare una comunità segnata da scopi condivisi e
non dalla lotta spietata di tutti contro tutti… In caso contrario, il re potrà
dormire, poco e male, solo grazie alla sorveglianza delle guardie,
particolarmente attente a tenere la guerra fuori dal palazzo.
Un guerra di cui i poveri “matti” sono invece le prime vittime.
E Basaglia lo aveva capito.
Va subito sottolineato un fatto importantissimo. Basaglia fu il primo in Italia a considerare il cosiddetto paziente psichiatrico una persona e non un malato. Detto così può apparire retorico o semplicistico, ma tutti sicuramente ricordano la crudezza di Qualcuno volò sul nido del cuculo, interpretato da un magistrale Jack Nicholson. In quel film la condizione di non persona del “malato mentale”, è delineata con grande bravura e nettezza: dopo pochi istanti si capisce subito che i “pazienti” sono trattati come bambini, o come mine vaganti. E attenzione, in una realtà, l’America degli anni Cinquanta e Sessanta, dove i manicomi, tutto sommato garantivano dei requisiti minimi di “vivibilità”, molto al di sopra di quelli italiani all’epoca. Nicholson vi interpreta la figura di un pregiudicato ribelle, rinchiuso in una clinica psichiatrica, dove viene prima sottoposto a elettroshock, poi lobotomizzato e ridotto a un vegetale: in una parola “normalizzato”.
E questo accadeva nel paese-simbolo della modernità, gli Stati Uniti… Il punto è che la modernità, in particolare quella capitalistica, con le sue rigide istituzioni (a cominciare da stato e mercato), ha praticamente reinventato la figura del folle, come essere da emarginare, se non far sparire del tutto. E questo perché il “matto” così amato e rispettato da Basaglia, fino al punto di restituirgli le ali della libertà, costituiva e costituisce per le istituzioni economiche e politiche moderne, basate sul calcolo e la previsione razionale, un elemento di disturbo. Come definire altrimenti un individuo che non si adegua esteriormente, e che in fin dei conti, non “consuma” come tutti gli altri?
Pertanto considerare i “matti” persone significa andare controcorrente: vuol dire tornare all’antico. Dal momento che nel mondo premoderno, o comunque in altre civiltà, “l’invasato dalla passione per dio o per gli dei”, visto che non poteva esserci altra spiegazione per i suoi “strani” comportamenti, era rispettato, aiutato, talvolta temuto per i suoi “poteri”, e mai considerato un essere inferiore, da tenere ai margini.
Si dirà: ecco il solito buonismo (per giunta venato di tradizionalismo)… Infatti secondo i sostenitori della riapertura dei manicomi, i malati “liberati”, rischiano sempre di essere abbandonati a se stessi da famiglie che non vogliono o non possono seguirli. Certo, spesso è accaduto e accade, ma il vero problema è l’assenza di strutture comunitarie di vario livello capaci di accogliere senza umiliare, e soprattutto di sostenere le famiglie. Un problema che ha le sue radici in una società frammentata, competitiva ma dall’economia fragile e segnata da tempi di vita sempre più convulsi: se c’è tensione e disaccordo nelle famiglie economicamente autosufficienti, figurarsi in quelle che non lo sono, e che devono per giunta seguire da sole un parente in difficoltà.
C’è una bella espressione di Basaglia, che riprendiamo da una recente scelta dei suoi scritti (L’utopia della realtà, Einaudi, Torino
Un guerra di cui i poveri “matti” sono invece le prime vittime.
E Basaglia lo aveva capito.
Carlo Gambescia
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