Nuove forme di paternalismo (statale)
Il tabacco e suoi nemici
Come hanno riferito (e commentato) i giornali, tra i
quali in particolare il Corriere della Sera, il Commissario Ue
all’Occupazione e alle Pari opportunità, Vladimir Spidla, rispondendo a
un’interrogazione, ha escluso che il rifiuto da parte delle aziende di assumere
fumatori possa costituire una discriminazione sociale. Infatti molte imprese,
in Europa come negli Stati Uniti, tendono ormai a non assumere
lavoratori-fumatori. Di qui la presa di posizione “politicamente corretta” di
Spidla.
Si dirà con quel che sta accadendo in Libano, queste sono sciocchezze… Tuttavia
molti ricorderanno il clima infuocato, quasi da caccia alle streghe
(fumatrici), che favorì, nel gennaio del 2005, il varo del decreto Sirchia che
imponeva nei luoghi di lavoro gli stessi divieti di bar e ristoranti. Inoltre,
dal momento che si tratta di una "battaglia" molto americana (e
puritana) , ormai condivisa anche in Europa, prima o poi, anche in Italia si
inizierà a non assumere più il lavoratore-fumatore. E’ dunque il caso di
parlarne, magari partendo da lontano…
Una prima osservazione generale. Quel che, ogni volta, stupisce è l’inconsistenza delle tesi dibattute: i “puritani”, ormai la maggioranza, sostengono le necessità di una specie di via pubblica alla salute, i libertari, una minoranza, difendono invece il diritto a una via privata. In ultima istanza sarebbe addirittura in gioco la libertà individuale
Ora, la scarsa consistenza della due posizioni, deriva dal fatto che parlare oggi di libere scelte individuali è fuorviante. Rousseau, alcuni secoli fa, vedeva ovunque l’uomo in catene, prigioniero di padri tirannici, re capricciosi, preti e aristocratici dissoluti, grandi proprietari terrieri sfruttatori. Ma se per ipotesi oggi tornasse tra noi, troverebbe l’uomo ancora in catene. Certo, non sono più le catene del paternalismo tradizionalista, ma quelle, altrettanto pesanti, di un capitalismo che con la complicità dello stato interventista ha burocratizzato il mondo.
Non diciamo assolutamente nulla di nuovo. Questo processo di sostituzione dell’antico con un nuovo paternalismo, privo però della tradizionale figura del padre, è stato intuito e analizzato da filosofi della politica come Tocqueville, sociologi come Max Weber, storici come Christopher Lasch. Ma cerchiamo di spiegarci meglio e soprattutto di diluire nel modo più semplice possibile, almeno un paio di secoli di storia.
Dopo aver demolito il sistema feudale e accantonato il liberalismo aristocratico ottocentesco, il capitalismo liberale ha valorizzato nel Novecento una nuova ideologia politica, il liberalismo assistito. Una formula politica che consente di assolvere gli individui da ogni responsabilità morale e al contempo di considerarli vittime delle loro biografie sociali. Su queste basi le strutture del mercato e dello stato hanno elaborato nuovi sistemi di controllo sociale che trattano i devianti (dal criminale al fumatore accanito) come malati. Di qui però anche la necessità di sostituire la “pena” con la riabilitazione medica, o comunque con un nuovo paternalismo: l’individuo è libero e sovrano, ma a discrezione di uno stato e di un mercato così ossessionati dalla crescita produttiva, al punto di pretendere solo individui sani ed efficienti, in grado di ubbidire, produrre e consumare. Insomma liberalismo sì, ma assistito.
Dietro la formula politica, ovviamente si muove una classe dirigente, che pur rifiutando con orrore ogni forma di paternalismo, di fatto lo pratica. Parliamo di amministratori, burocrati, tecnici e specialisti, tutto un personale con doppi, tripli incarichi che serve indifferentemente sia nel pubblico che nel privato. Molti alti funzionari possono servire due padroni: essere al tempo stesso consulenti di una multinazionale e di una commissione ministeriale, oppure diventare ministri dopo avere gestito una grande impresa privata. Ma quel che è più grave è l’ideologia che permea questa classe di funzionari: per un verso si celebra la libertà dell’individuo consumista e narciso, perché utile al mercato, dall’altro si ritiene di sapere perfettamente cosa è bene per lui. Pertanto col consumismo lo si gratifica, e coi divieti lo si ammonisce o “cura”. Tuttavia in entrambi i casi non è l’individuo a decidere, ma il paternalismo liberale che gli impone quel che deve indossare, mangiare, bere, fumare, eccetera, affinché la macchina produttiva non si fermi mai. E, attenzione, è lo stesso liberalismo che un paio di secoli fa, tagliando la testa ai re, si illudeva di uccidere simbolicamente, e per sempre, anche la figura del padre.
Può apparire paradossale, e piuttosto irritante, ma probabilmente l’individuo era più libero due o tre secoli fa. Dal momento che oggi è costretto a mendicare perfino la libertà di accendersi una sigaretta. Oppure a scambiare una ridicola polemica per una battaglia di libertà. Le vere libertà sono altra cosa, richiedono secoli e padri, quelli veri, e purtroppo non si misurano con le teste tagliate né con le sigarette fumate.
Una prima osservazione generale. Quel che, ogni volta, stupisce è l’inconsistenza delle tesi dibattute: i “puritani”, ormai la maggioranza, sostengono le necessità di una specie di via pubblica alla salute, i libertari, una minoranza, difendono invece il diritto a una via privata. In ultima istanza sarebbe addirittura in gioco la libertà individuale
Ora, la scarsa consistenza della due posizioni, deriva dal fatto che parlare oggi di libere scelte individuali è fuorviante. Rousseau, alcuni secoli fa, vedeva ovunque l’uomo in catene, prigioniero di padri tirannici, re capricciosi, preti e aristocratici dissoluti, grandi proprietari terrieri sfruttatori. Ma se per ipotesi oggi tornasse tra noi, troverebbe l’uomo ancora in catene. Certo, non sono più le catene del paternalismo tradizionalista, ma quelle, altrettanto pesanti, di un capitalismo che con la complicità dello stato interventista ha burocratizzato il mondo.
Non diciamo assolutamente nulla di nuovo. Questo processo di sostituzione dell’antico con un nuovo paternalismo, privo però della tradizionale figura del padre, è stato intuito e analizzato da filosofi della politica come Tocqueville, sociologi come Max Weber, storici come Christopher Lasch. Ma cerchiamo di spiegarci meglio e soprattutto di diluire nel modo più semplice possibile, almeno un paio di secoli di storia.
Dopo aver demolito il sistema feudale e accantonato il liberalismo aristocratico ottocentesco, il capitalismo liberale ha valorizzato nel Novecento una nuova ideologia politica, il liberalismo assistito. Una formula politica che consente di assolvere gli individui da ogni responsabilità morale e al contempo di considerarli vittime delle loro biografie sociali. Su queste basi le strutture del mercato e dello stato hanno elaborato nuovi sistemi di controllo sociale che trattano i devianti (dal criminale al fumatore accanito) come malati. Di qui però anche la necessità di sostituire la “pena” con la riabilitazione medica, o comunque con un nuovo paternalismo: l’individuo è libero e sovrano, ma a discrezione di uno stato e di un mercato così ossessionati dalla crescita produttiva, al punto di pretendere solo individui sani ed efficienti, in grado di ubbidire, produrre e consumare. Insomma liberalismo sì, ma assistito.
Dietro la formula politica, ovviamente si muove una classe dirigente, che pur rifiutando con orrore ogni forma di paternalismo, di fatto lo pratica. Parliamo di amministratori, burocrati, tecnici e specialisti, tutto un personale con doppi, tripli incarichi che serve indifferentemente sia nel pubblico che nel privato. Molti alti funzionari possono servire due padroni: essere al tempo stesso consulenti di una multinazionale e di una commissione ministeriale, oppure diventare ministri dopo avere gestito una grande impresa privata. Ma quel che è più grave è l’ideologia che permea questa classe di funzionari: per un verso si celebra la libertà dell’individuo consumista e narciso, perché utile al mercato, dall’altro si ritiene di sapere perfettamente cosa è bene per lui. Pertanto col consumismo lo si gratifica, e coi divieti lo si ammonisce o “cura”. Tuttavia in entrambi i casi non è l’individuo a decidere, ma il paternalismo liberale che gli impone quel che deve indossare, mangiare, bere, fumare, eccetera, affinché la macchina produttiva non si fermi mai. E, attenzione, è lo stesso liberalismo che un paio di secoli fa, tagliando la testa ai re, si illudeva di uccidere simbolicamente, e per sempre, anche la figura del padre.
Può apparire paradossale, e piuttosto irritante, ma probabilmente l’individuo era più libero due o tre secoli fa. Dal momento che oggi è costretto a mendicare perfino la libertà di accendersi una sigaretta. Oppure a scambiare una ridicola polemica per una battaglia di libertà. Le vere libertà sono altra cosa, richiedono secoli e padri, quelli veri, e purtroppo non si misurano con le teste tagliate né con le sigarette fumate.
Carlo Gambescia
P.S.
L'autore del post non ha mai fumato.
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