lunedì 21 agosto 2006




Le parole e le cose
Islamo-fascismo



Il tema dell’islamo-fascismo richiede alcune riflessioni sul rapporto tra parole e cose: tra ideologia e realtà. Semplificando al massimo: accusare di islamo-fascismo i movimenti islamici di resistenza non ha alcun riscontro con la realtà. Ed è quindi inutile discutere le tesi di studiosi come Berman o peggio di giornalisti come Allam. Che non hanno alcun fondamento storico, sociologico, empirico. Parlare di un rapporto di identità tra il presunto estremismo islamico e i fascismi storici, solo sulla base di un supposto culto per l’irrazionalità è semplicemente ridicolo. E non merita alcun commento. Anche perché allora sarebbero fascisti tutti i movimenti di rinnovamento religioso, e in particolare quelli di derivazione monoteistica. Dimenticando così che i fascismi storici furono invece violentemente antireligiosi, in quanto vere e proprie controreligioni secolari. Ma lasciamo stare.
Quel che invece merita di essere analizzato è il carattere ideologico, se non proprio mitico (di vero e proprio mito politico, e dunque di rappresentazione della realtà) racchiuso nel concetto di fascismo. E nel conseguente uso che ne fanno Bush e in genere alcuni settori intellettuali e politici filoamericani delle democrazie occidentali.
In primo luogo, dopo il secondo conflitto mondiale, e le sue tragedie accusare un avversario di essere fascista (o peggio nazista) significa metterlo subito fuori gioco.
In secondo luogo, l’accusa di fascismo in genere, e ora in particolare (nel riguardi dei movimenti di resistenza islamica), serve a ricompattare il fronte occidentalista, in chiave, ovviamente anti-islamica). Si notino i frequenti riferimenti, non solo in Berman, agli anni Trenta, e alla politica di conciliazione (e dunque “storicamente” sbagliata) nei riguardi di Hitler e Mussolini. Parlare di islamo-fascismo significa perciò appellarsi all’immaginario politico e propagandisco atlantista degli anni delle seconda guerra mondiale. Una miscela ideologica a dir poco esplosiva: da guerra totale. Capace perfino di favorire l’uso di armi atomiche
In terzo luogo, e questo ha un valenza in particolare americana, diremmo liberal (ma recepita molto bene in Europa anche dalla sinistra “libertaria e radicale” (per intendersi, qui in Italia, da Veltroni alla Bonino), come un battaglia contro qualsiasi forma di “morale repressiva”… Sarebbero insomma, fascisti, per fare un esempio banale, sia il padre “all’antica” che intima alla famiglia di non uscire la sera, oppure un datore di lavoro spregiudicato che licenzia senza una ragione precisa, o perfino il professore che il lunedì mattina interroga a scuola studenti assonnati. Invece nel primo caso, quello del padre, si deve parlare di “patriarcalismo”, nel secondo di “liberismo selvaggio”, nel terzo di pura e semplice severità, frutto di frustrazioni personali. Ma non, in tutti e tre i casi, di fascismo. Soprattutto storico.
E’ inutile, ripetiamo, nascondere la pericolosità di questo “immaginario di guerra” (le parole), che oltre a non rappresentare la realtà (le cose) punta alla formazione di un fronte comune antifascista-islamico, delle stessa compattezza di quello contro Hitler, Mussolini e i loro alleati nel 1939-1945.
Un “immaginario di guerra” che non può non provocare reazioni sempre più gravi, e a tutti livelli, nel mondo islamico.
Il punto, purtroppo, è che non è più sufficiente criticare sotto il profilo della razionalità le tesi di Bush sul fascismo islamico. Riteniamo che l’idea, o meglio, il mito del fascismo islamico, stia assumendo forza propria. E che dunque le parole di Bush si stiano trasformando in cose. Soprattutto perché il presidente americano, e i suoi alleati, dispongono della necessaria forza politica, militare, mediatica per trasformarle…
Il che significa che, la situazione è così politicamente e militarmente pregiudicata, che difficilmente potrà essere ribaltata dalla pura e semplice costruzione di un contro-mito.
Ma è moralmente giusto rispondere alle “cose” con altre “cose”? Il vero dilemma, per chi crede nella pace, è tutto qui.


Carlo Gambescia

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