Marco Travaglio, nel suo commento al fatto del giorno, deridendo come suo stile Giorgia Meloni, ha scritto una cosa terribile che in due righe ha cancellato almeno un secolo di sapienza giuridica.
A proposito dell’attribuzione meloniana, nei colloqui con Trump, dello status di aggressore alla Russia, Travaglio se n’è uscito così:
“Giorgia (…) ha ribadito la solita tiritera su aggressore e aggredito, come se dopo tre anni il problema fosse chi ha iniziato questa guerra, e non come finirla”.
La questione va ben oltre la buona fede o meno di Marco e Travaglio e di Giorgia Meloni. Perché la definizione di attacco alla sovranità, all’integrità territoriale, all’indipendenza politica di uno stato è il punto di arrivo di un processo di umanizzazione e civilizzazione della vita internazionale che viene da lontano.
Si tratta di un concetto formulato nel Patto della Società delle Nazioni (1919), che fu il primo trattato a qualificare l’aggressione come illecita. Poi recepito nella Carta delle Nazioni Unite (1945), che attribuisce al Consiglio di Sicurezza i poteri di accertamento dell’atto di aggressione. Atto considerato dal diritto internazionale contemporaneo come un crimine contro la pace.
Si potrà ironizzare sul romanticismo pacifista che pretende di ingabbiare la volontà di potenza di stati e imperi, però oggi come oggi sono queste le regole. Frutto dell’amara lezione scaturita dai sanguinosi conflitti mondiali novecenteschi. Regole tese a impedire la guerra di tutti contro tutti, almeno come adesione a un comune punto di vista che discende da un principio regolativo: quello di evitare la guerra sanzionando coloro che la causano.
La crudezza di Travaglio, ammesso che sia in buona fede, è stupefacente. Tuttavia, e valga come inciso, anche le sue rozze e sbrigative conclusioni rinviano a un visione pacifista, la stessa che anima la Carta delle Nazioni Unite.
Con una differenza: l’Onu vuole impedire le guerra ex ante, secondo la logica penalistica della violazione della legge, Travaglio, sempre in nome della stessa logica, propone una specie di amnistia (che cancella reato e pena).
Il vero problema della “penalizzazione” della guerra e della pace è nel fatto che il diritto per essere effettivo non può essere disgiunto dall’uso della forza. Per semplificare: senza il carabiniere nessuna sentenza emessa dal giudice può essere eseguita.
Senza una forza armata internazionale che lo arresti e punisca, per così dire, l’attribuzione dello status di aggressore non serve a nulla.
Anche perché, politicamente parlando, i poteri di accertamento del Consiglio di Sicurezza sono discrezionali e dipendenti dal diritto di veto dei cinque membri permanenti (Cina, Francia, Russia, Regno Uniti, Stati Uniti): le potenze vittoriose nel 1945.
Pertanto la definizione dello status di aggressore dipende non dai rapporti di diritto ma dai rapporti di forza tra le cinque potenze ricordate.
Ciò però non significa che la cornice penalistica, diciamo così, possa essere violata impunemente. Come dicevamo si tratta di impedire la guerra di tutti contro tutti, almeno come principio regolativo, accettato dagli stessi detentori del potere di veto.
Insomma meglio un principio che nessun principio. Pertanto liquidare come “tiritera su aggressore e aggredito” la difesa del principio di non aggressione, significa fare un passo indietro verso la guerra di tutti contro tutti. E cosa paradossale, evocando la pace. Curiosamente, come poi vedremo, il pacifista Travaglio abbraccia Machiavelli.
Di conseguenza, per fare un esempio, respingere la possibilità di individuare un colpevole significa definire inutile il diritto penale, l’apparato giudiziario e le stesse forze dell’ordine.
Perché gettare via il bambino con l’acqua sporca della tinozza in cui lo si è lavato? Detto altrimenti: che diritto penale, giudici e poliziotti non si mostrino sempre all’altezza dei compiti assegnati dalle leggi, non significa che non siano necessari. Perché un rapinatore di banche, potendo contare sull’impunità, reitererà fino a quando avrà fiato in corpo.
Fuor di metafora: far finire una guerra, prescindendo dalle sue cause, suona come una specie di vittoria dello stato che l’ha scatenata, che in futuro si sentirà autorizzato, sapendo di poter contare sull’impunità, ad aggredire altri stati, fino a quando ne avrà la forza.
Sul punto coloro che la pensano come Travaglio risponderanno che
rischiare una guerra, addirittura atomica, per punire la Russia è un
grave errore.
Messa così la cosa, può sembrare che il conflitto sia tra etica della responsabilità basata sul compromesso ed etica della convinzione fondata un imperativo etico.
In realtà l’etica della convinzione ha due accezioni: da un lato Fiat iustitia et pereat mundus, ovvero “Sia fatta giustizia, perisca pure il mondo” (Kant). Quindi guerra atomica. Dall’altro Fiat iustitia ne pereat mundus “Sia fatta giustizia affinché non perisca il mondo” (Hegel). Quindi niente guerra atomica (*).
Per contro l’etica dei mezzi, del compromesso, quella di Travaglio, per capirsi, rimanda al Machiavelli del “Meglio la città guasta che perduta” attribuito a Cosimo de’ Medici (**).
Crediamo, pur non essendo fanatici del pensiero hegeliano, che il suo Fiat iustitia ne pereat mundus (“Sia fatta giustizia affinché non perisca il mondo) sia la via maestra. Cioè quella, per quanto imperfetta, del sanzionare l’illegalità affinché non si ripeta. Facendo sì, però, che al tempo stesso non perisca il mondo.
Ciò significa sanzionare il trasgressore, la Russia, senza usare le armi atomiche. Il che può apparire come la quadratura del cerchio.
Può darsi. Però tra la certezza di una vittoria del colpevole in una “città guasta” (etica della responsabilità machiavelliana) e della distruzione del mondo (etica dei principi kantiana) non vale forse la pena di esplorare la non facile strada di come punire il colpevole senza provocare la distruzione del mondo (etica dei principi hegeliana)?
Carlo Gambescia
(*) Per le due accezioni: Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano 2003, p. 93; G.F.W. Hegel, Lineamenti di Filosofia del diritto, Laterza, Bari 1965, § 130, p. 120.
(**) Si veda N. Machiavelli, Istorie fiorentine, Lib. VII, in Id., Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Sansoni, Firenze 1971, p. 797.
Al netto dei nomignoli e dei giochetti di parole da scuola elementare ad esser generosi, è curioso come il "madamino manettaro", assai permaloso quando viene dileggiato da altri, diventi indulgente e a favore dell'amnistia politica ogni qual volta si parli di Putin. Buona Pasqua
RispondiEliminaGiusto (Veneziani è un altro butto soggetto che apprezza i calembour). Anche a lei! :-)
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