Oggi voliamo alto, ma solo apparentemente, perché il lettore attento capirà subito il senso del nostro scritto.
La politica ha una logica propria. Se si esce da questa logica non si comprende il perché di scelte e decisioni spesso sbagliate e controproducenti.
Innanzitutto va però spiegato in base a quale logica generale si muove la politica. Sul punto ci aiuta la metapolitica, che ha individuato alcune regolarità, cioè fenomeni che si ripetono nel tempo. Una di queste regolarità metapolitiche è rappresentata dalla persistenza in politica della dinamica amico-nemico (*). Che implica ovviamente il riconoscimento dell’amico come del nemico. Però nel nostro articolo ci concentreremo sul concetto di nemico.
Tutto prestabilito allora? No, perché i contenuti storici della più generale dinamica metapolitica amico-nemico mutano. Ad esempio nel particolare quadro istituzionale della democrazia liberale non esiste la figura nel nemico verso la quale riversare l’idea di inimicizia assoluta che conduce alla distruzione del nemico.
In effetti la politica liberale dei moderni ha civilizzato il nemico: lo ha trasformato in avversario cioè in qualcuno da battere ma non sul piano militare.
Il che significa, per rovesciare un famoso detto, che nelle democrazie liberali, la persistenza della regolarità amico-nemico, assume la forma di una sospensione della guerra puntando sull’uso di mezzi meno cruenti.
Il liberalismo civilizza la politica: al nemico, pur permanendo l’ antagonismo, si sostituisce l’avversario; alla guerra alla discussione, e possibilmente la sintesi; alla distruttiva eliminazione del dissenso, la costruzione, nel civile confronto, del consenso.
Se proprio si deve usare un termine militare, se battaglia c’è, è battaglia delle idee. E cosa più importante alla guerra si sostituisce la coesistenza. Da questa forma mentis non bellicista dipende sul piano interno l’ordinato sviluppo delle istituzioni parlamentari, come pure su quello esterno il ragionato cammino delle istituzioni internazionali.
Di conseguenza, se nelle democrazie liberali la logica della politica rinvia alla figura dell’avversario come un competitore con il quale, come detto, confrontarsi civilmente, e non un nemico da distruggere, chiunque evochi la figura del nemico, con il relativo e truculento armamentario retorico-propagandistico, si pone fuori della democrazia liberale, cioè della versione civilizzata della persistenza della dinamica metapolitica amico-nemico.
Esiste però una controindicazione. Rappresentata dal liberal-democratico che non riesce a capire quando ha davanti a sé non un avversario ma un nemico, che tra l’altro fa di tutto per presentarsi come tale. Questo mancato riconoscimento del nemico mette a rischio la democrazia liberale. In pratica il liberale, così facendo, sega il ramo su cui è seduto.
Dove si annida l’errore? Nel dimenticare o trascurare che esiste la regolarità amico-nemico che nonostante la civilizzazione liberale tende a riaffacciarsi regolarmente.
Pertanto ragionare da liberale con i nemici della civiltà liberale è rischiosissimo. Perché facilita la vittoria non di un avversario ma di un nemico.
E purtroppo il non saper riconoscere il nemico, cioè l’essere incapaci di apprezzare il valore cognitivo di una fondamentale regolarità metapolitica, è il principale segno di decadenza della civiltà.
Dobbiamo aggiungere altro?
Carlo Gambescia
(*) Su questi aspetti rinviamo al nostro Trattato di metapolitica, Edizioni Il Foglio, 2023, 2 voll.
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