martedì 15 aprile 2025

Vargas Llosa liberale? Mannò…

 


I giornali italiani, da destra a sinistra, passando per il centro, non riservano lo spazio che merita a Mario Vargas Llosa, già premio Nobel per la letteratura, di origini peruviane, poi con cittadinanza spagnola, scomparso l'altro  ieri, quasi all’età di novant’anni.

Per quale ragione? Era un liberale dichiarato. Inoltre, a parte il breve appoggio al Castro pre-sovietico, fu un fiero avversario del populismo di destra e sinistra: il veleno del Sudamerica.

Una pozione venefica che tuttora contamina il pensiero di un presunto liberale come Milei.

Di qui però il gusto sadico, soprattutto a sinistra, di presentare Vargas Llosa come un traditore “dell’Idea”: un transfuga. E di opporgli  invece Gabriel García Márquez, di certo un grande scrittore, colombiano, poi naturalizzato messicano, devoto però all’ideologia marxista. A dire il vero  i due non si amavano: una volta ci scappò pure una scazzottata. Gratta, gratta, il sangue caliente dei latinos non perdona mai.

Per riconnettere Vargas Llosa all’amara realtà di questi giorni, va ricordato che nel 2016, profeticamente, definì Trump un pericoloso pagliaccio dalle pulsioni populiste, autoritarie e fasciste. Centro pieno.

Inoltre va ricordato che per evitare al Perù una pericolosa deriva autoritario-populista, Vargas Llosa nel 1990 si candidò alla presidenza contro Fujimori. Ma perse.

Fujimori, uno dei più corrotti presidenti peruviani ma populista di ferro, fu eletto con i voti della sinistra antiliberale. Due anni dopo segui il colpo di stato.

Però Vargas Llosa aveva già lasciato il Perù. Divenne cittadino spagnolo. Paese in cui viveva e lavorava già da tempo.


Si legga con attenzione la nota di presentazione a lui dedicata su IBS.it Un testo, se ricordiamo bene, di derivazione einaudiana. Perché “politicamente” significativa (poi diremo perché).

Mario Vargas Llosa è uno scrittore, critico e giornalista peruviano, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 2010. Figura centrale della rinascita della narrativa ispanoamericana, fine polemista, è vissuto a lungo in Europa. Attivo nelle battaglie civili e politiche, si è candidato alle elezioni presidenziali del Perù nel 1990 (resoconto di quell’esperienza è Il pesce nell’acqua, El pez en el agua, 1993). Collaboratore di diversi giornali europei, conferenziere in molte università del mondo, nel 1994 ha assunto la cittadinanza spagnola; ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti tra cui i premi Principe di Asturias, Cervantes, Grinzane-Cavour alla carriera e la presidenza del Pen Club International. Autore molto prolifico, ha pubblicato articoli, saggi (su García Marquez e Flaubert), pièces teatrali e narrativa di vario genere. La città e i cani (1963) è il dissacrante romanzo d’esordio: bruciato in piazza in Perù, ottiene larghi consensi in Europa. Gli fanno seguito La casa verde (1966) e il romanzo politico Conversazione nella cattedrale (1969). Pantaleón e le visitatrici (1973) inaugura un registro di sottile, a volte comico, ironico, cui appartiene anche La zia Julia e lo scribacchino (1977). Ha sperimentato il genere giallo dal risvolto sociale (Chi ha ucciso Palomino Molero?, 1986). Tra le ultime opere: La festa del caprone (2000), Il paradiso è altrove (2003), Avventure della ragazza cattiva (2006), struggente storia d’amore e di fuga, Il sogno del celta (Einaudi 2011) la biografia romanzata di Roger Casement, La civiltà dello spettacolo (Einaudi, 2013), Crocevia (Einaudi, 2016), Il richiamo della tribù (Einaudi, 2019), Tempi duri (Einaudi, 2020), Le dedico il mio silenzio (Einaudi, 2024). Ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 2010 con la seguente motivazione, ‘per la sua cartografia delle strutture del potere e la sua acuta immagine della resistenza, ribellione e sconfitta dell’individuo’“.


 

Si noti subito una cosa. Manca la sua produzione politica, copiosa. In Italia – quando si dice il caso – pubblicata da piccoli editori. Non semiclandestini, però… Per tutti si veda, anche per apprezzarne la concezione liberale: Sciabole e utopie. Visioni dell’America Latina (Liberilibri).

Ecco, la parola che manca nel profilo è “liberale”. Si accenna nella chiusa alla “resistenza, ribellione e sconfitta dell’individuo”, parole che spiccano nella motivazione del Nobel. Per inciso, resta da scoprire il regime alcolico scelto in quell’occasione dai membri dell’Accademia, noti per le simpatie antiliberali.

Evidentemente, Vargas Llosa, meritava giustamente a prescindere. Guai però a chiamare le cose con il loro nome,  meglio un giro di parole: l’individuo bla bla bla…

In Italia gli unici a celebrarlo, pur nella sobrietà dell’ impaginazione di rito, sono quelli del “Foglio”. Lo ricordano per ciò che era: un grande scrittore che si dichiarava liberale già ai tempi tumultuosi del Sessantotto, sfidando il vento contrario. Allora a dettare la linea era la sinistra, oggi sono i populisti di destra e sinistra. Il che spiega i titoletti di spalla, le manchette sopra la testata, qualche “taglietto” di centro pagina o basso, quasi invisibile (*).

Triste dirlo ma l’Italia si è “latinoamericanizzata”. Complimenti vivissimi. Oggi comanda il populismo. Mezzo fascista o tutto fascista come nel caso dei meloniani della "Giorno del Made in Italy". Quelli dell' Orgoglio Italiano" (con le maiuscole) ai quali non piace però l’orgoglio gay.

La scomparsa di Vargas Llosa è invece roba da due pagine centrali, con richiamo in prima, ben evidenziato. E invece addirittura il quasi silenzio, da regime normalizzante fascio-comunista (se ci si perdona il termine giornalistico ma efficace). Regime simbolicamente contrassegnato dalle faccette della Meloni  vero guanto di velluto in pugno di ferro, che, se proprio deve, privilegia lo scrittore per non fare parola delle sue idee politiche liberali.

 


Due esempi di estremi si toccano? I populisti di “Libero”, trumpiani sfegatati, ignorano. Però lanciano il nuovo libro capolavoro di Sallusti. Idem “Il Fatto quotidiano”, giornale populista di sinistra e filoputiniano. Travaglio, ovviamente non tira neppure la volata a Sallusti… Però apre con un violento attacco, per inciso meritato, alla Santanchè, per la cronaca, in passato sentimentalmente legata a Sallusti

Gallinaio italiano. Tutto fuorché ricordare come dio comanda il Vargas Llosa liberale.

Desolante.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.giornalone.it/

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