giovedì 29 dicembre 2011


I libri della settimana: Roger Scruton, Del buon uso del pessimismo (e il pericolo della false speranze), Lindau, 2011 pp. 232, euro 23,00; Robert Spaemann, Tre lezioni sulla dignità della vita umana , Lindau, 2011, pref. di David L. Schindler, pp. 112, euro 12,00 - 


http://www.lindau.it/

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I libri di Roger Scruton si leggono sempre con interesse. Certo, non è necessario essere ogni volta d’accordo con il poliedrico filosofo britannico, capofila di un conservatorismo intelligente, colto e combattivo… Però è d’obbligo meditarli, come ad esempio la sua ultima fatica: Del buon uso del pessimismo (e il pericolo della false speranze), appena uscito per i tipi di Lindau (pp. 232, euro 23,00 ).
Per quale ragione è un testo importante ? Perché ruota intorno a una “bussola”, che purtroppo il nostro tempo sembra avere smarrito. Parliamo del “senso del limite”, ossia di quella capacità, oggi perduta, di capire che esiste un punto di non ritorno morale, superato il quale, individuo e società rischiano l’autodistruzione.
Quali sono i profeti, vecchi e nuovi, di un mondo privo di limiti morali? Gli «ottimisti senza scrupoli », definizione che Scruton riprende da Schopenhauer, senza però sposare la cupa visione del pensatore tedesco. «Gli ottimisti senza scrupoli credono che le difficoltà e i disordini dell’umanità possono essere superati con una correzione su vasta scala: è sufficiente concepire un nuovo modo di organizzarsi, un nuovo sistema, e le persone si ritroveranno liberate dalla loro temporanea prigione in un mondo fatto di successi (…). La speranza, nella loro disposizione mentale, cessa di essere la virtù personale che mitiga dolori e problemi, insegna la pazienza e lo spirito di sacrificio, e prepara l’anima all’agape. Piuttosto, diviene un meccanismo per trasformare i problemi in soluzioni e il dolore in esultanza, senza fermarsi a studiare tutte le prove accumulate nel tempo sulla natura umana, le quali testimoniano come l’unico miglioramento che rientri nel nostro controllo sia il miglioramento di se stessi» . Scruton, insomma, si riferisce agli utopisti: dal comunista rivoluzionario al riformatore radicale di origine borghese, nonché, da ultimi, i cosiddetti trans-umanisti. Tutti insieme convinti di poter costruire un uomo nuovo (magari proprio un cyborg…), capace di superare se stesso e i limiti imposti da un’antropologia e da una sociologia, che da secoli, descrivono giustamente l’uomo-come-è: un impasto di bene e male, di razionale e irrazionale. L’esatto contrario dell’uomo-come-deve-essere, immaginato dall’ « ottimista senza scrupoli» .
Semplificando, diciamo che Scruton è invece un pessimista pieno di scrupoli… Perciò nel libro si sezionano, e attentamente, le fallacie o errori in cui incorrono utopisti, radicali borghesi, maniaci del progresso, ma, paradossalmente, in qualche caso, anche i nemici del progresso, come i fondamentalisti islamici. Veri e propri “tic” che sintetizziamo così: la fallacia della migliore ipotesi (“La sconfitta non è nella nostra agenda”); la fallacia del nascere liberi (“La società è il male, perciò va cambiata se non abolita”); la fallacia utopica (“I fatti ci danno torto, tanto peggio per i fatti”), la fallacia della somma zero (“I ricchi si arricchiscono sempre alle spalle dei poveri”); la fallacia della pianificazione (“Non ci sono limiti all’uso applicato dell’intelligenza umana); la fallacia dello spirito del tempo (“È il progresso bellezza!”), la fallacia dell’aggregazione (“L’uomo deve essere educato alla libertà, anche in modo dispotico”).
Insomma, Scruton ci ricorda che siamo davanti a un mix ideologico, altamente tossico. E per una semplice ragione: perché, in fondo, ogni fondamentalismo (progressista e antiprogressista), ha un comune denominatore: quello di calpestare le condizioni che rendono possibile la libertà morale dell’uomo. In certa misura, assenza e sovrabbondanza di limiti finiscono, allo stesso modo, per annullare il senso di responsabilità dell’uomo. Fermo restando che non possono essere azzerati. Pertanto, l’equilibrio è a metà strada: forse verso la parte in salita, quella dei doveri, piuttosto che in discesa, inseguendo a perdifiato i soli diritti… Infatti, come nota giustamente Scruton, «una società libera è una comunità di esseri responsabili, vincolati da “leggi di simpatia” e dagli obblighi dell’amore famigliare. Non è una società liberata da qualsiasi limite morale, poiché ciò sarebbe esattamente l’opposto di una società. Senza limiti morali non ci possono essere cooperazione, devozione famigliare, prospettive a lungo termine, speranza di avere un ordine economico, tanto meno sociale».
Sotto quest’ultimo aspetto il libro di Scruton si “sposa” bene con quello di Robert Spaemann, il grande filosofo cattolico tedesco: Tre lezioni sulla dignità della vita umana , anch’esso edito da Lindau nella stessa bella collana “Biblioteca” ( pref. di David L. Schindler, pp. 112, euro 12,00).
Anche Spaemann “batte” sulla questione del limite, toccando un aspetto, oggi tabù per certa intelligenza progressista, come quello della morte cerebrale. Il filosofo contesta che la morte del cervello sia in effetti anche la morte dell’essere umano. Spaemann ci mette in guardia contro le ipocrisie scientiste. Che, in un mondo ritenuto preventivamnete privo di limiti morali, invece ne impongono altre, mascherandole da oggettive verità scientifiche. Mentre in realtà, scrive, citando due giuristi tedeschi (Ralph Weber e Wolfram Höfing), « il criterio della “morte cerebrale” è adatto soltanto a dimostrare l’irreversibilità del processo di morte e quindi a fissare un termine al dovere del medico di curare per tentare di ritardare l’evento». Dal momento che siamo davanti a « un essere umano morente, ma ancora in vita, ai sensi della Costituzione [ della Repubblica tedesca, art. 2, II, 1 99]». Perciò «i pazienti cerebralmente morti, vanno considerati correttamente moribondi, quindi persone vive in uno stato di insufficienza cerebrale irreversibile».
Tutto ciò significa, conclude Spaemann, che «dopotutto quello che è stato detto, per chiunque sia ancora dubbioso si applica, secondo Hans Jonas, il principio In dubio pro vita. Lo stesso Pio XII dichiarava che, in caso di dubbio insolubile, si può ricorrere alle presunzioni di diritto e di fatto. In generale sarà necessario presumere che la vita permane» .
E stare dalla parte della vita, significa, anche per Scruton, essere dalla parte delle cose come sono, senza utopismi o furbi nominalismi: «Invece che perderci in speranze irreali, nota, dovremmo quindi riflettere ancora sulla nostra natura di creature stanziali e negoziatrici, e tornare al compito che abbiamo a portata di mano, che è quello di guardare alla nostra attuale condizione con ironia e distacco, e capire come vivere in pace con ciò che abbiamo».
Detto altrimenti, ritrovando il senso del limite.


Carlo Gambescia

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