sabato 21 dicembre 2024

La “difesa dei confini della patria” secondo Salvini (e la destra)

 


Come al solito ci si perde in chiacchiere. Salvini esce da Open Arms, incredibilmente assolto, e sul piano del discorso pubblico il nullismo politico della sinistra si associa, subendo, alla prepotenza della destra.

Perché nullismo politico? Per la semplice ragione, che è vero, come si legge, che le sentenze della magistratura vanno sempre rispettate, ma è altrettanto vero che le ragioni esposte da Salvini, per difendere il suo abietto operato politico (quindi si va al di là delle questioni giudiziarie), meritavano e meritano una attenta riflessione e discussione. Cosa che la sinistra non sembra ancora aver compreso .

Qual è la tesi di fondo di Salvini e della destra dei “patrioti”, termine ormai inflazionato? Che i confini della patria di difendono vietando ai migranti, alla deriva e in pericolo di vita, di sbarcare sul suolo italiano.

Che la “difesa della Patria” sia “sacro dovere del cittadino” è previsto dall’articolo 52 della Costituzione. Però il punto politico discriminante – qui il nullismo politico della sinistra – è rappresentato da una semplicissima domanda. Da chi vuole difendersi il patriota Salvini? Da Putin , esperto in aggressioni militari, mondialmente riconosciuto? No, dai “pericolosi” migranti.

Si parla di uomini, donne, bambini indifesi che cercano solo una vita migliore, impedita loro dalle inique leggi italiane. Cioè Salvini, provando l’assoluta veridicità di un celebre detto ( “Il patriottismo è l’estremo rifugio delle canaglie”), si accanisce contro i deboli. Una cosa ripugnante.

Ecco ciò che intendono Salvini e i suoi sodali politici (a cominciare dal Giorgia Meloni) per difesa dei confini della patria. Prendere a calci i migranti.

Di questo si dovrebbe discutere. Della canagliata di tramutare i migranti in nemici invasori, per avere mani  libere e  trattarli in modo inumano e illiberale.

Sì, illiberale, dal momento che una sinistra liberale, cosa che la sinistra italiana non è, dovrebbe battersi per il principio dell’ ubi bene, ibi patria.

Principio, al fondo liberoscambista, che vale per i migranti come per le multinazionali, per chi viene dai campi come per l’imprenditore con studi alla LSE. Si chiama libertà di circolazione di uomini e beni. I filosofi la chiamano anche libertà…

E il “pericolo islamico”, gli scafisti “mafiosi”? I due famigerati argomenti usati dalle destre per spaventare gli elettori e – ripetiamo – per poter sbattere la porta in faccia ai migranti?

Il primo, sussiste, ma non è legato ai fenomeni migratori in quanto tali, dal momento che a colpire, come ieri in Germania, sono sempre individui “radicalizzatisi” in un secondo momento. Si tratta di questioni legate al processo di secolarizzazione del migrante, che può riuscire o meno.

Una sfida culturale che però l’Europa deve accettare, per favorire, in futuro, una più ricca e interessante selezione dell’élite dirigenti, aperta ad apporti e  intelligenze che solo l’apertura al migrante può favorire.

Fermo restando, che quanto accaduto in Germania, trattandosi di un saudita, probabilmente di credo sunnita, rappresenta il primo “regalino” indiretto jihadista, dopo la consegna russa della Siria allo stato islamico,  rapidissima tipo Amazon.it.

Probabilmente non vi sarà, come detto, un nesso diretto, però era ed è nelle intenzioni di Mosca, che non ha confini con la Siria, aprire un altro pericoloso fronte nemico per l’Occidente. Altro che debolezza. Mosca si è ritirata, solo per alzare per la posta.

Quanto agli “scafisti mafiosi”, come abbiamo già scritto, vanno invece considerati come il barcaiolo dell’Adda, immortalato da Manzoni, che aiutò Renzo a rifugiarsi nella Serenissima. Si pensi a Renzo felice, che grida, perchè in salvo, "Viva San Marco!". E perché, oggi, non udire,  dalle labbra del migrante  un "Viva l'Italia!". Tra l'altro antico grido di battaglia risorgimentale. Retorica, la nostra? Ci siamo lasciati prendere la mano?  Valuti il lettore.

Salvini, Meloni e sodali usano il termine mafia, che evoca nell’immaginario le bombe contro Falcone e Borsellino, per screditare le Ong, che invece svolgono un encomiabile lavoro. Insomma, un’ennesima canagliata della destra dei “patrioti”.

A questo proposito, il “patriota” Salvini, si rifiuta di difendere i confini della patria, una patria europea, estesa all’Italia, dove invece oggi andrebbero difesi, e sul serio: in Ucraina.

Un bel patriota. Guardaspalle politico di Putin. Pronto a vendere Ucraina, Europa, Italia a Mosca.

Carlo Gambescia

venerdì 20 dicembre 2024

Il fascismo come forma mentis

 


Un sondaggio dell’aprile scorso asserisce che solo un italiano su quattro teme il ritorno del fascismo. In genere, si tratta di elettori di sinistra (*).

Il che significa che “il popolo sovrano” può dormire sonni tranquilli? Bah… In realtà il problema, che non riguarda solo i cosiddetti concetti operativi (da usare nei sondaggi), rinvia a cosa si intende per fascismo. L’equivoco è qui.

Se con il termine si intende il regime fascista, è ovvio che quel fascismo legato al combattentismo e alla visione imperialista non può ripetersi.

Ma neppure, se con lo stesso termine,  si intende la ricostituzione del partito fascista vietata dalla legge, cioè di un  movimento legato allo squadrismo e al culto pubblico di un’ideologia nazional-totalitaria e antiegualitaria.

Il fascismo, se proprio si vuole usare questo vocabolo, è una forma mentis. Cioè un modo di considerare la realtà, ben indagato da Tarmo Kunnas, storico finlandese (**). Si pensi a un atteggiamento di rivolta contro la modernità. Una specie di luddismo politico-concettuale, con effetti dirompenti una volta agguantato il potere. Il fascista è antiliberale, anticapitalista, nazionalista e razzista. Ma soprattutto – qui il punto fondamentale – si nutre di una visione anti-individualistica, per la quale lo stato è tutto l’individuo nulla.

Privilegiare lo stato, significa privilegiarne l’autorità a ogni costo, fino al punto di sopprimere la libertà dei cittadini nel nome di una dottrina etica preventiva, sposata dallo stato, nella quale però (il mondo è bello perché vario) non tutti i cittadini si riconoscono. Pertanto una caratteristica di fondo della forma mentis fascista è l’autoritarismo, cioè la tendenza a imporre con intransigente fermezza la propria volontà-autorità nei rapporti umani, quale portatrice di una visione etica monoteistica.

Il fascista non tollera il pluralismo etico, odia il politeismo (per restare in metafora), cioè il sale della libertà individuale. La libertà etica è liquidata come nichilismo relativistico. E qui emerge come un brutto sottomarino atomico tutto l’antiliberalismo fascista, dalle tristi conseguenze per tutte le sfere di libertà, dalle politiche alle economiche.

Qui, come esempio fondamentale, vorremmo richiamare l’attenzione su una misura del governo Meloni, passata inosservata o quasi: quella di perseguire come reato “universale” la maternità surrogata. Il cosiddetto “utero in affitto” (secondo i detrattori). Nel senso di concepire questa pratica come reato non solo in Italia ma anche all’estero.

Il testo, entrato in vigore all’inizio di dicembre, è distinto da un solo articolo, che corregge l’articolo 12 della legge 40, del 2004, opera del governo Berlusconi, che, al comma 6, prevedeva: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro” . A questa disposizione si è aggiunto che “se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana” (***).

Ecco, la differenza tra una destra normale (o quasi), conservatrice, ovviamente detestabile e criticabile, e una destra autoritaria, anormale, dalla forma mentis fascista, è tutta nel paragrafo aggiuntivo. Che vieta al singolo cittadino, quindi all’individuo, perfino la libertà, per così dire, di votare con i piedi, andando all’estero, eccetera, eccetera. Gabbia Italia e per tutta la vita…

Come dicevamo, lo stato pseudoetico è tutto,  il cittadino nulla.

Un governo di destra, come poteva essere quello di Berlusconi, è potente, un governo di destra, con potenzialità fasciste, è prepotente: precorre, perseguita e distrugge la libertà individuale.

E non si tratta di una differenza di poco conto. Il che non significa assolvere il Cavaliere, ma soltanto evidenziare la differenza tra un governo conservatore e un governo tentato dal fascismo. E di riflesso  la brutta china presa dalla politica in Italia.

Che poi i nostri concittadini, questi bamboccioni, non credano in larga parte nel ritorno del fascismo come forma mentis è un’altra storia. Di analfabetismo politico. Quindi, per inciso, inutile al momento ripetere il sondaggio.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://sondaggibidimedia.com/sondaggio-noto-25-aprile/#google_vignette .

(**) T. Kunnas, La tentazione fascista, Akropolis, Napoli 1981. Libro lodato da Renzo De Felice. E a dire il vero, anche dagli stessi neofascisti, che si sono riconosciuti, e con impensabile entusiasmo, nella “modellistica” di Kunnas.

(***) Qui: https://www.giurisprudenzapenale.com/2024/11/19/maternita-surrogata-pubblicata-in-gazzetta-ufficiale-e-in-vigore-dal-3-dicembre-la-legge-4-novembre-2024-n-169/ .

giovedì 19 dicembre 2024

Se Zelensky cedesse, altro che pace…

 


Eppure l’Italia c’è passata. Una certa Italia, ovviamente. Ancora oggi i neofascisti rimpiangono "Fiume e Dalmazia". Nessuna idea di riconquistare questi territori con le armi. Ma nella pubblicistica dell’estrema destra, a ogni anniversario delle Foibe, si approfitta, per ricordare i “torti” subiti nel 1919 e nel 1947. Con Fratelli d’Italia in prima fila a piangere calde lacrime sugli italiani maltrattati da Tito. Senza ovviamente, recitare alcun mea culpa per i crimini fascisti nei Balcani.

E parliamo, dell’Italia, purtroppo una nazione di conigli o comunque di pagliacci. E qui, di nuovo, è d’obbligo il richiamo agli sbruffoni fascisti che volevano spezzare le reni alle Grecia.

Per contro nell’Est Europeo, come prova la dissoluzione della Jugoslavia, un frammento di territorio e di popolazione resta un frammento di territorio e di popolazione. Sono “all’antica” diciamo.

Solo per dirne una, Orbán fa regolarmente campagna elettorale, lanciando proclami nazionalisti, in Transilviania, dove si parla rumeno, ungherese e tedesco. Altro esempio: Bulgaria e Romania non hanno mai del tutto accettato la divisione della Dobrugia. Ma contenziosi sono aperti oltre che in Kosovo con la Serbia (il più famoso, diciamo), tra Russia e Romania per la Bessarabia. In realtà sono vivi un poco ovunque. Si pensi anche ai complicati rapporti tra Polonia, Repubbliche baltiche e Russia: basterebbe un nonnulla per far riesplodere antiche controversie territoriali. Per non parlare delle rivendicazioni reciproche sul piano territoriale tra Macedonia, Albania, Grecia e Turchia.

Lungo incipit. Il lettore si chiederà dove andiamo a parare. Presto detto. Oggi i giornali cinguettano la parola pace a proposito della dichiarazione di Zelensky: non ha forze sufficienti, così asserisce, per riconquistare Crimea e Donbass, ormai nelle mani dei russi. Di qui, la possibilità, si legge nei festosi commenti, di sedersi al tavolo della pace, cedendo così alla prepotenza russa.

Ora, ammesso e non concesso, che Zelensky abbia intenzione di cedere, non possiamo non porre una domanda: alla luce di almeno un secolo di conflitti, mai del tutto sopiti, a cominciare dalle guerre balcaniche del 1912-1913 (che furono l’antipasto della “grande guerra”), basterà un trattato strappato con la prepotenza delle armi, dopo una guerra russa di aggressione, a risolvere il contenzioso storico tra Ucraina e Russia?

Lo chiediamo ai neofascisti di Fratelli d’Italia che ancora rimpiangono “Fiume e Dalmazia”. No, non basterà. Tra l’altro si parla anche di forze di interposizione, in particolare europee, ai confini contestati. Anche l’Italia non potrà non partecipare.

In ogni caso pace armata. Una ferita aperta. Brace sotto la cenere.

Se le cose stanno così, perché, umiliare l’Ucraina? E rafforzare la Russia? Perché “tifare” per una pace che coprirebbe di vergogna l’Europa?  Una pace che  sarebbe controproducente perché, come detto, potrebbe accrescere soltanto la credibilità russa. E ovviamente l’appetito.

Quanto a Trump e Musk, il duo diabolico è sicuramente dietro l’arretramento di Zelensky, conseguito, probabilmente, puntando alla gola il coltello della sospensione degli aiuti. Una vigliaccata da bottegai, incapaci  di  vedere più in là del proprio naso. Una cecità, sia detto per inciso, che rischia addirittura – notizia di ieri – di compromettere i rapporti con il Canada… Il capitalismo, il vero capitalismo, pensa in grande. Trump e Musk sono due puffi. Cattivi però.

E qui si apre una questione generale, che va oltre l’Ucraina. Anche negli anni Venti e Trenta del Novecento gli Stati Uniti si chiusero in se stessi. Lasciando che Hitler e Mussolini divorassero l’Europa. Fino Pearl Harbour. Allora fu il Giappone ad attaccare. Al bombardamento seguì l’11 dicembre 1941 la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti di Germania e Italia. Oggi potrebbe essere la Cina a sparare il primo colpo, frutto di un semplicissimo ragionamento: se la Russia si è presa mezza Ucraina, perché noi, eredi del Celeste Impero, non possiamo riprenderci Taiwan?

La Russia resterebbe a guardare? Potendo, a sua volta,  derubare  un’Europa indifesa delle sue ricchezze?

Cosa vogliano dire? Che in questo contesto, da noi delineato, che al lettore potrà apparire catastrofico, ma che in realtà  è frutto  di  realistica  “immaginazione del disastro”, un trattato di pace a senso unico tra Russia e Ucraina potrebbe costituire solo un altro passo verso la guerra mondiale.

Carlo Gambescia

mercoledì 18 dicembre 2024

Luigi Mascheroni e la Resistenza

 


Sul “Giornale” Luigi Mascheroni ironizza sui 700mila euro in finanziaria, stanziati per la celebrazione dell’ Anniversario della Resistenza. Ma come non era un governo fascista?

In primo luogo, cominciamo col dire che il prossimo anno non si celebra un anniversario qualsiasi ma gli ottant’anni: 25 aprile 1945- 25 aprile 2025. Una data storica, mai digerita dalla destra missina, e di riflesso dai suoi cloni pseudodemocratici, Alleanza Nazionale e Fratelli d’Italia. Reflusso gastro-politico

In secondo luogo, rispetto al milione e cinquecento euro annui per il biennio 2014-2015, stanziati nel 2013 dal governo Letta appoggiato anche dal PdL, per celebrare i settant’anni, l’assegnazione si è ridotta a meno di un terzo (*). Elemosina.

In terzo luogo, in un paese normale, liberal-democratico, il 25 aprile dovrebbe essere una specie di pre-assunto ideale che unisce tutti. Una festa della libertà, da celebrare senza badare a spese. E invece in Italia non è così. Perché c’ è chi la libertà non l’ha mai amata. E se proprio deve celebrarla, lo fa di malavoglia, a dispetto. Citofonare Giorgia Meloni.

Detto altrimenti: i fascisti sono rimasti fascisti, quantomeno come forma mentis. Perciò, altro che celebrare una Liberazione vissuta tuttora come una sconfitta. Per dirla con Annalisa: “Eravamo bellissimi” (in camicia nera).

Esageriamo? Si pensi al disegno di legge “sicurezza”, attualmente in esame al Senato (**), che introduce una trentina di nuovi reati (***). Roba che non si vedeva dai tempi della “Legge Reale” (1975), alla quale però i missini si opposero. Per la cronaca, all’epoca erano loro a menare nelle piazze. Ergo…

Concludendo, perché Luigi Mascheroni, classe 1967, un intellettuale, in fondo non banale, che come si legge su Wikipedia, possiede una biblioteca di ventimila volumi, deve arrampicarsi sugli specchi per difendere chi non ha mai letto Cesare Beccaria? Per capirsi quelli del “Buca”, “sasso”, “buca con acqua”, “buca con fango”…

Delle due l’una. O non li ha  neppure annusati, o, come diceva Totò, “che s’adda fa’ pe’ campa’ “.

Che malinconia.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://presidenza.governo.it/AmministrazioneTrasparente/Sovvenzioni/CriteriModalita/70ann_resistenza_liberazione/Avviso_selezione_iniziative_70Anniversario_resistenza_guerra_liberazione.pdf .

(*) Qui: https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/Ddliter/58519.htm .

(***) Qui: https://pagellapolitica.it/articoli/tutti-reati-disegno-legge-sicurezza . Qui per una critica circostanziata, tra le tante: https://www.questionegiustizia.it/articolo/note-ddl-sicurezza .

martedì 17 dicembre 2024

Georgia e Romania, la lezione di Raymond Aron

 


Questa mattina segnaliamo due articoli interessanti, all’insegna dell’autolesionismo democratico: il primo sull’ “Unità” di Michele Prospero, il secondo sul “Fatto Quotidiano” di Salvatore Cannavò.

Prospero, filosofo, solleva forti dubbi sull’intervento della Corte costituzionale rumena, che ha annullato elezioni che avrebbero potuto portare alla vittoria di un candidato filorusso. Insomma non crede nelle maniere forti contro i nemici della democrazia.

Cannavò, giornalista, critica l’Unione europea che vuole sanzionare la Georgia, dove il partito filorusso, che ha vinto le elezioni, perseguita gli oppositori. Insomma, anche in questo caso, guai alle maniere forti.

In sintesi, la tesi di Prospero e Cannavò è che il voto del popolo è sacro. E che né la magistratura né l’Europa devono permettersi di andare contro il volere del popolo.

Il dilemma esiste. Se in ultima istanza la sovranità risiede nel voto popolare, ogni intervento in senso contrario è illegittimo. Pertanto in linea di principio, diciamo pure in teoria, Prospero e Cannavò hanno ragione. E in pratica? No. Perché la Russia, nemica dell’Occidente e della liberal-democrazia, usa il voto per ricondurre sotto la propria ala i paesi dell’Europa orientale.

Si può accettare che vinca con il libero voto, chi intende usare il libero voto per sopprimere il libero voto? La liberal-democrazia deve difendersi o no dall’antidemocrazia? Usando tutti i mezzi, anche antidemocratici?

Il problema è tutto qui.

Quel che stupisce è che Prospero e Cannavò non capiscano che una volta implementata l’etica dei principi (Fiat iustitia et pereat mundus), il moralismo che ne discende può causare solo distruzione e rovine. Mentre l’etica della responsabilità (Est modus in rebus) può evitare l’autodistruzione.

Possibile che si sia dimenticato come il libero voto fu strumentalizzato da fascisti, nazionalsocialisti e comunisti?

Di regola la risposta dei moralisti politici della sovranità è che il rischio di favorire i nemici della liberal-democrazia va accettato, perché una volta abbandonata la strada maestra della sovranità popolare si rischia di subire la stessa mutazione autoritaria che caratterizza il nemico che si vuole combattere.

Resta gli “atti”, per così dire, la celebre discussione tra Raymond Aron e Jacques Maritain, ben ricostruita da Jerónimo Molina, in un recente studio sul grande sociologo liberale (*). Sull'accecante sfondo della Seconda guerra mondiale, Aron, in linea  con quel che era accaduto nella Germania degli anni Trenta, vicende alle quali aveva assistito personalmente, riteneva più che giustificato l’uso delle maniere forti. Anche preventive. Maritain, uno dei maestri della filosofia cattolica novecentesca, sosteneva invece la tesi contraria, cioè, che nonostante la guerra in corso, il bene avrebbe comunque vinto. In che modo però non era dato sapere…

Come detto, etica della responsabilità (Aron) contro etica dei principi (Maritain).

La storia, fortunatamente, si schierò con Aron. Senza una guerra mondiale, combattuta spesso in modo spietato, soprattutto per le popolazioni civili, Hitler e alleati avrebbero vinto. Imponendo, in primis in Europa, una delirante dittatura.

Oggi, purtroppo, si ripropone lo stesso dilemma.

Carlo Gambescia

(*) Si veda J. Molina, L’immaginazione del disastro. Raymond Aron realista politico, postfazione di C. Gambescia, Edizioni Il Foglio, 2024.

lunedì 16 dicembre 2024

Atreju. Colle Oppio è tornato

 


Ieri Giorgia Meloni nel suo discorso di chiusura ha parlato di un milione di posti di lavoro creati in due anni (*). Ora, un economista, Melvin Arthur Okun, individuò una regolarità tra crescita del Pil e aumento dell’occupazione, stabilendo che ogni punto di Pil in più equivale allo 0.6 per cento di occupati (**).

Però il problema è che il Pil italiano nel 2023 e nel 2024, non ha superato il singolo punto percentuale, quindi non c’è rispondenza tra il milione di posti di lavoro vantato da Giorgia Meloni e la crescita ridotta del Pil. Di conseguenza, l’aumento vantato si aggira  intorno al mezzo milione o probabilmente anche di meno.

Pertanto delle due l’una: o Giorgia Meloni mente o i dati Istat non rispondono alla realtà.

Ma non è il solo aspetto ambiguo del suo discorso ai militanti di Atreju. Si legga qui:

Grazie di essere qui anche quest’anno come da 26 anni a questa parte, è un tempo che per noi è lungo ma è praticamente un’era geologica per la politica italiana: era il 1998, era il parco del Colle Oppio e Atreju era la sfida di una generazione che spendeva tutta se stessa nel tentativo di superare pregiudizi e steccati ideologici (…) È un altro mondo visto da qui, da oggi, però è il nostro mondo, ce lo dobbiamo ricordare perché nessuno che non sappia guardarsi alle spalle, guardare indietro, può avere la pretesa di andare avanti“.

A parte la facile battuta sul “c’è un grande futuro nel nostro passato” cavallo di battaglia del generale mezzo rimbambito di “Vogliamo i colonnelli”, la sezione del Movimento Sociale del Colle Oppio non era un collegio gestito dalle Orsoline (nella foto, la sezione nel marzo del 2020). 

Purtroppo questa sezione poteva vantare (si fa per dire) un passato di violenza non comune, ovviamente vissuta dai militanti missini come forma di autodifesa dal mondo brutto e cattivo (***). Ora, celebrare il “simbolo” Colle Oppio nel 1998 come nel 2024,  resta un preciso atto identitario: significa rivendicare ancora una volta – certo come sottotesto per i militanti – l’identità missina, cioè la  matrice neofascista di Fratelli d’Italia (****). Sotto questo aspetto l’evocazione a “superare pregiudizi e steccati ideologici” indica la volontà di perseverare nel non voler fare i conti con il fascismo.



Ma esiste un terzo aspetto riprovevole  del discorso di Giorgia Meloni. Si legga qui:

‘I centri per migranti’ in Albania funzioneranno, dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano. Perché io voglio combattere la mafia e chiedo a tutto lo Stato italiano, alle persone perbene, di aiutarmi a combattere la mafia. Non sono io il nemico, io sono una persona perbene “.

Si noti la truffa ideologica che si cela dietro il termine mafia, usato per equiparare in modo fraudolento le bombe omicide contro Falcone e Borsellino all’attività degli scafisti. Un ruolo, certo non meritorio in assoluto, che però, per chi abbia letto Manzoni, ricorda l’attività del traghettatore dell’Adda che aiuta Renzo a rifugiarsi in terra veneta, 

Del resto come per il contrabbando, che è indice primario  del cattivo funzionamento di un mercato, prigioniero del protezionismo, lo scafista, nel bene o nel male, è funzionale alle politiche autarchiche in fatto di immigrazione delle destre, giunte al punto di proibire, violando le leggi internazionali persino il soccorso in mare dei migranti.

Infine  l’aspetto realmente  ripugnante del discorso meloniano  è quello  della rivendicazione perentoria della costruzione dei “centri” all’estero.  Che indica una sola cosa: il razzismo addirittura visuale della destra, che riduce la questione dei migranti al fattore invisibilità. Non si vedono? Non esistono. Il principio è quello nazista dell' "incenerimento", come rifiuti,  dei corpi. Per ora, in Italia, si sparisce dallo sguardo. Poi si vedrà.

Gente pericolosa.  Colle Oppio è tornato.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/12/15/meloni-ad-atreju-maggioranza-compatta-e-stabile-grande-discontinuita_56ea25f4-499d-4bcc-be95-89c715ec4284.html .

(**) Qui, per una rapida sintesi della “legge”: https://www.aeeeitalia.it/wp/wp-content/uploads/2019/07/La-legge-di-Okun.pdf . .

(***) Sul punto si legga G. Salierno, Autobiografia di un picchiatore fascista, Minimum Fax, 2024, con una prefazione di Sergio Luzzatto e una nota di Simona Salierno. Il testo, opera di un neofascista, proprio del Colle Oppio, finito in carcere, poi pentitosi e divenuto ricercatore di sociologia, rinvia agli Cinquanta del Novecento, ma descrive bene, la forma mentis del neofascista “tipo”, emarginato, rancoroso, violento, quel risentimento che ritroviamo tuttora nei discorsi di Giorgia Meloni e nelle "folle" adoranti e plaudenti di Atreju.

(****) Non mollano, si legga qui ("La voce del Patriota", pubblicazione digitale vicina a Fratelli d’Italia): https://www.lavocedelpatriota.it/riapre-la-storica-sede-politica-di-colle-oppio-dal-ricovero-degli-esuli-istriani-passando-per-lesproprio-e-la-restituzione/ .

domenica 15 dicembre 2024

Giorgia Meloni liberale? Aritanga …

 


Il punto non è secondario, come dicevamo ieri. Di che parliamo? Di un deficit di liberalismo che riguarda la destra, ma anche la sinistra. Partiamo proprio da quest’ultima.

Si dia un’occhiata alla prima pagina de “ La Stampa”, giornale importante, dalle tradizioni liberali, che Mussolini, appena arraffato il potere , azzerò. Oggi fa parte del gruppo Repubblica-Espresso (semplifichiamo). E si vede: si parla addirittura di sanità repubblicana.

Cioè, pubblico è bello a prescindere. Altro che libero mercato e iniziativa privata. In Italia, a parte forse quattro professori che però litigano tra loro, il liberalismo è ormai ridotto a una specie di liberal-socialismo, non quello pluralista dei fratelli Rosselli, ma quello di matrice repubblicana alla Ugo La Malfa, in affidamento permanente allo stato. Una tragedia semicollettivista. Che si riduce alla celebrazione della “sanità repubblicana”:  sì, quella dei ticket salati e delle liste di attesa a babbo morto.

Ma si veda anche il titolo riservato a Milei, ospite di Giorgia Meloni: “Tango liberista”. Ora che il Premier argentino sia liberale con forti inflessioni anarco-libertarie è un dato di fatto. Ma che lo sia anche Giorgia Meloni è un’invenzione della sinistra, la stessa sinistra della sanità repubblicana. Di qui l’accusa di liberismo. Che, a sinistra, è una parolaccia. Salvo poi sintonizzare il liberalismo tout court sulle onde corte dello statalismo.

Ci dicono, che ieri sera, come altre, volte la Meloni, non ha mai pronunciato la parola liberalismo. Figurarsi il termine liberismo. Che però, se si va a pescare nei suoi discorsi degli anni Dieci, precedenti alla presa del potere, qualche volta si trova, accompagnato dall’aggettivo “selvaggio”, in perfetta osmosi semantica con la sinistra comunista.

Ma si legga questo passaggio saliente, riportato dall’Ansa:

Javier Milei ‘sta portando una vera e propria rivoluzione culturale in una nazione che è sorella dell’Italia, e che come noi condivide l’idea che la politica fatta solo di sussidi porta i Paesi verso il baratro’. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato il presidente argentino Javier Milei sul palco di Atreju, la kermesse del suo partito, FdI. ‘Come noi, Milei sa che il lavoro è l’unico antidoto vero per la povertà’, ha aggiunto Meloni, chiedendo alla platea ‘un grande applauso per il presidente dell’Argentina’ “ (*).

Il lavorismo non è sinonimo di liberalismo. L’etica protestante del lavoro, celebrata da Weber, può essere una componente della concezione liberale, che ne include molte altre: la libertà di impresa , di pensiero e parola, di voto e rappresentanza, di divisione dei poteri, di tolleranza, di uguaglianza dinanzi alla legge, di mitezza penale, diritti civili, eccetera, eccetera. Valori ignoti a Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.

Il che spiega la reinvenzione meloniana, riduttiva e ridicola, del liberalismo come lotta contro i  sussidi.

Riduttiva, abbiamo già detto. Ridicola, perché non può non far sorridere la guerra ai sussidi di una Giorgia Meloni che fino pochi giorni fa continuava a insultare Elsa Fornero per la sua riforma pensionistica, rivolta invece a contrastare l’idea stessa di pensione-sussidio, non basata sui reali contributi versati (**).

Di liberale e liberista Giorgia Meloni non ha nulla. Resta inchiodata alla cultura statalista che ha sempre caratterizzato le posizioni dei fascisti dopo Mussolini, a cominciare dal Movimento Sociale. Partito nel quale la Meloni ha militato, da lei  oggi celebrato come esempio di purissima democrazia.

Come ci si può fidare di chi non osa neppure pronunciare la parola liberalismo? Insomma di affermare alla luce del sole: “ Sì, io sono liberale”. Certo poi devono sempre seguire i fatti… Ma questa è un’altra storia.

Invece la Meloni glissa, regolarmente, come ieri sera, evocando il lavoro, che tra l’altro è un cavallo di battaglia dei socialisti, dei comunisti, dei cattolici dei sinistra. Che, all’articolo 1 della Costituzione, pretesero la dicitura “Repubblica democratica fondata sul lavoro” e non sulla libertà come invece imponeva e impone la tradizione liberale.

Nonostante ciò per la sinistra Giorgia Meloni balla con Javier Milei il “tango liberista”…

Che dire? Continuiamo a farci del male.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/12/14/meloni-presenta-mikati-a-atreju-iinsieme-lavoriamo-molto_f4f685b5-6af2-4652-88fe-e97897a4acbf.html .

(**) Qui: https://www.youtube.com/watch?v=1z1e9V63Zzc .