Ieri, nel mezzo del minaccioso silenzio dei fascisti chiamati in causa (*), ho letto con piacere questo commento privato, che l’amico Aldo La Fata, eccellente studioso, mi ha fatto pervenire. Commento che con il suo permesso propongo agli amici lettori. Al quale seguono la mia risposta, la replica di Aldo, la mia controreplica, e le sue conclusioni (C.G.)
Caro Carlo,
Ho letto con grande attenzione il tuo intervento sul caso Passaggio al Bosco e, come sempre, ho apprezzato la lucidità con cui riesci a mettere a fuoco il nodo della destra italiana e la sua evidente deriva regressiva. Tuttavia, da amico e da lettore partecipe, permettimi qualche osservazione.
La prima domanda che mi viene spontanea è come sia stato possibile che quella apertura liberale di cui tu stesso, insieme a pochi altri, fosti tra i protagonisti, si sia dissolta nel nulla. Tu parli di “regressione”, ma sarebbe interessante chiarire di che tipo di regressione si tratti. Culturale, etica o addirittura antropologica?
Sul piano dell’analisi, la parte più solida e documentata del tuo testo è certamente quella dedicata al catalogo della casa editrice incriminata e tuttavia varrebbe forse la pena ampliare lo sguardo e far notare che non c’è solo Passaggio al Bosco, ma che esistono, in altri ambiti e anche a sinistra, fenomeni analoghi di costruzione ideologica non meno perniciosi e mi permetto di dire persino più pericolosi (potrei farti degli esempi, ma tu li conosci senz’altro).
Quanto al richiamo e alla distinzione tra legalità e legittimità, l’appello a Carl Schmitt rischia di rovesciarsi contro la tua stessa tesi. Come sai, per Schmitt la legittimità ha un significato decisionista e anti-liberale; citarlo in questo contesto potrebbe generare un effetto paradossale. Io direi che la legalità formale non basta a fondare la legittimità morale e culturale di un atto pubblico.
Anche il passaggio sulla libertà d’espressione, per quanto cruciale mi sembra scivoloso. Tu affermi che “non è in gioco la libertà di espressione”, ma proponi implicitamente di escludere un editore dalla fiera. Il rischio, lo sai, è che qualcuno interpreti questa posizione come una forma di censura morale.
Infine, denunci con forza e chiarezza la “normalizzazione legale del fascismo”, ma il discorso resta aperto sulla via d’uscita. Quale risposta proporresti? L’educazione storica? La responsabilità culturale? Una rinnovata memoria critica condivisa?
Un abbraccio fraterno,
Aldo
Caro Aldo,
Perché l’apertura liberale si dissolse nel nulla? Per la semplice ragione che certi habitus politici, radicali, non cambiano mai: il lupo può nascondersi sotto la pelle di agnello, ma lupo resta. Fui io a illudermi. Ovviamente, e in particolare Giorgia Meloni, politicamente molto più intelligente di Fini, oggi si muove bene e in una situazione favorevole in cui gli italiani – come prova l’altissimo tasso di astensionismo – sono tornati, come accaduto per secoli, a non occuparsi di politica, se vuoi, a vivere nel limbo del familismo.
Sotto questo aspetto la “regressione” politica è un recupero pieno del progetto antimoderno (nel senso del patriarcalismo politico di Filmer, a suo tempo ben contrastato da Locke), che va a coincidere con l’indifferenza della gente comune per coloro che la governano. Come ho appena detto: “Franza o Spagna, purché se magni”? Un dato sociologico, non un giudizio morale. Per l’uomo della strada, come del resto mostrano i sondaggi, Mussolini e De Gasperi pari sono.
Per contro, da Meloni all’ultimo estremista si sa bene ciò che si vuole: magari ci si differenzia su tempi e modi, ma il disprezzo verso la liberal-democrazia accomuna. Come unisce la volontà di approfittare di tutti i mezzi legali che offre la democrazia per sovvertirla.
Di qui l’importanza della distinzione tra legalità e legittimità avanzata da Carl Schmitt. Per capirsi: iscriversi a una fiera del libro è perfettamente legale, ma illegittimo dal punto di vista dei valori liberali, perché si propagandano idee e libri antiliberali e antidemocratici.
E ciò accade nel preciso momento in cui al governo ci sono politici che, sebbene tacciano, condividono gli stessi valori nemici della libertà. E del resto Passaggio al Bosco non ha ottenuto il suo bravo stand in fiera? Secondo l' ordine di iscrizione... Ma di quale censura si blatera? Caro Aldo ti chiedo scusa per la volgarità: ma a Napoli si dice "Chiagni e fotti".
Il liberalismo deve farsi decisionista, ma un decisionismo diverso da quello illiberale: orientato alla difesa dell’ordine aperto, non alla sua sospensione arbitraria. Decisionismo e liberalismo possono convivere. Come prova il grande sforzo militare, accompagnato da modi spicci, per così dire, che portò alla sconfitta del nazifascismo.
Serve un liberalismo schmittiano. Aron, Freund, e altri realisti liberali – liberali tristi – se non tutti lettori di Schmitt, erano consapevoli del fatto che “a brigante si risponde con brigante e mezzo”. Ai nemici della liberal-democrazia non deve essere concesso spazio. Morte per consunzione o per spada. Non è questione morale ma di sopravvivenza.
Quindi vi sarebbe una base teorica e storica, diciamo pure metapolitica. Mancano però gli uomini politici capaci di rivendicare il decisionismo, a cominciare da quei liberali che persistono nel non distinguere tra legalità e legittimità. Un disastro.
Del resto, quanto al “popolo”, altra nota a sfavore della libertà, a chi vuoi importi, come dicevo, nell’Italia del “Franza o Spagna”, che al governo ci siano i nemici della libertà? Ripeto: basta che “se magni”.
Mi chiedi infine di una via d’uscita? Credo di aver risposto. Purtroppo il ciclo politico liberale, durato ottant’anni, sembra essere al termine. Quindi non scorgo al momento alcun lieto fine. Probabilmente ci rialzeremo solo dopo aver toccato il fondo. È anche vero che la storia ogni tanto conosce risvegli improvvisi. Però resto pessimista.
Un’ultima cosa. Non nego, come tu dici, “che esistono a sinistra fenomeni analoghi di costruzione ideologica non meno perniciosi e persino più pericolosi”, però il problema è che l’Italia ha il privilegio, per così dire, di aver inventato il fascismo, e che questo, a differenza degli utopisti comunisti e anarchici, è rimasto al potere per venti anni. Il che fa la differenza.
Ricambio l’abbraccio fraterno.
Carlo
Caro Carlo,
Ti ringrazio per la tua risposta puntuale, lucida, appassionata e come sempre coerente nella prospettiva liberale che rappresenti. La crisi italiana e più in generale occidentale purtroppo non è solo politica ma antropologica ed è segnata da una perdita importante di tensione etica e civile. Siamo, come scriveva Vico, nel punto basso del ricorso. Ma anche dal fondo possono rinascere i corsi. Io me lo auguro sinceramente, pur condividendo, in ultima analisi, il tuo pessimismo. Capisco poi molto bene il tono della tua risposta all’amico Carlo Pompei, e, credimi, comprendo anche la stanchezza che traspare tra le righe. Il tuo “decisionismo liberale” nasce da un’esperienza diretta di battaglie culturali che pochi hanno combattuto con altrettanta continuità, lucidità e coerenza. Continuità, lucidità e coerenza che, puoi credermi, ammiro molto e che considero un esempio di vita, un magistero autentico. Il punto, per me, resta solo la misura dell’azione. Fin dove può spingersi un liberalismo militante senza smettere d’essere se stesso? Un grandissimo abbraccio!
Aldo
Caro Aldo,
Grazie per la lucida e altrettanto appassionata risposta (che con questo mio commento, trasporrò sul blog, sempre se sarai d’accordo). E ovviamente delle belle parole, che non merito. Hai colto il punto essenziale della mia analisi, e con l’umiltà cognitiva, che ti distingue: “Fin dove può spingersi un liberalismo militante senza smettere d’essere se stesso?” Ti rispondo subito – in fondo non ti rispondo però… Dove può spingersi? Lo deciderà la storia. La risposta rinvia alla logica del successo: se il liberalismo riuscirà a sconfiggere i nemici e conservare la libertà: sarà sempre se stesso, ma vittorioso. Se invece – come sosteneva Maritain – all’epoca la sfida era quella nazista – in polemica con Aron (che difendeva la logica del brigante e mezzo, vedi il IIII capitolo dell’Aron di Molina), finirà per assomigliare al suo avversario, allora la sfida della libertà, pur nella vittoria, sarà persa. Caro Aldo non ci sono risposte definitive. Come ti ho detto, la mia è una risposta non risposta. Grazie ancora del prezioso scambio di opinioni.
Carlo
Caro Carlo,
Grazie a te per la consueta chiarezza e per la generosità intellettuale con cui sai sempre trasformare un confronto in dialogo autentico. Hai perfettamente ragione, sarà la storia con la sua dura logica del successo e della sconfitta a decidere fin dove potrà spingersi il liberalismo senza tradire se stesso. E’ in fondo proprio questo il rischio della libertà. Con piacere per la pubblicazione sul blog, e ancora grazie per lo scambio.
Aldo







































