venerdì 21 febbraio 2025

L'Europa può fare a meno degli Stati Uniti?

 


Si sospettavano alcuni cambiamenti di postura nella politica estera trumpiana, ma non in tempi così rapidi e dai contenuti così corrosivi

In meno di un mese per gli Stati Uniti, il nemico, la Russia, è divenuto amico, e l’amico, l’Ucraina, nemico. Trump ha dichiarato Kiev stato aggressore, si immagini il tripudio di Mosca, pretendendo che i tradizionali alleati, l’Europa in primis, si allineino, senza battere ciglio. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Soltanto che  per ragioni di orgoglio e  di storia l'Europa  non  può piegarsi dinanzi a un politico paranoide.

Però a  questo punto la vera domanda che ogni serio ricercatore deve porsi è quanto può durare, come idea e come pratica, un Occidente euro-americano privo di un alleato fondamentale come gli Stati Uniti. Insomma l’Europa può fare a meno degli Stati Uniti?

Si dirà, che le nostre preoccupazioni sono assurde, perché gli Stati Uniti sono tuttora una democrazia, un paese in cui si vota liberamente e regolarmente, e che perciò tra quattro anni gli elettori potrebbero mandare a casa Trump. Che tra l’altro, come notava ieri un lettore ha settantotto anni. Non è un ragazzino...

Insomma la “normalità” liberale” risucchierebbe, senza alcun problema digestivo, la svolta illiberale del magnate newyorkese. Di conseguenza con un presidente democratico o repubblicano vecchio stile, gli Stati Uniti tornerebbero ad essere quella certezza liberale, dai particolari contenuti economici e militari. Contenuti ( libertà  di mercato, stato di diritto,  Nato)  che hanno motivato, più che adeguatamente,  il Mondo Libero dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Diciamo che si tratta di un’ipotesi onesta che tuttavia non coglie un fatto fondamentale: che per la prima volta dalla vittoria del 1945 il mondo si trova davanti un autentico eversore dell’ordine liberale. In Trump, come scrivevamo ieri (*), sembra prevalere un approccio alla politica più vicino a quello di Hitler che di Churchill.

Pertanto recuperare Trump alla democrazia liberal-democratica non è cosa facile né sicura. Alla stessa stregua di quel mondo, popolato di estremisti, che interagisce con lui, a livello di collaboratori, finanziatori, elettori.

Ma vediamo meglio: abbandonare Trump al suo destino che signfica? Cosa comporta per l’Europa?

Scorgiamo tre strade.

1) L’Europa può fare finta di nulla. In fondo c’è un importante precedente: quello della repressione sovietica dei moti ungheresi nel 1956. I russi  reprimevano e  massacravano e gli europei fischiettavano” Pippo non lo sa”, girandosi dall'altra parte.

2) L’Europa può rilanciare una specie di politica del tira e molla, alternare dinieghi e atti, mostrandosi ora arrendevole ora intransigente Una politica che però prolunga solo l’agonia di Kiev. E che  in questo modo salva il faccione di Mamma Europa. Che invece meriterebbe di essere presa a schiaffi.

3) L’Europa può impegnarsi, ma in proprio, fornendo all’ Ucrania tutto ciò che può servire per respingere i russi: armi, truppe, intelligence. L’Europa, Nato o meno, si sostituirebbe agli Stati Uniti.

 Che fare? Quale strada scegliere? L’Europa al momento è sfiancata dalla ricerca, che dura almeno da un decennio, di un doppio equilibrio esterno, tra potenze, e interno, tra stati. Far combaciare i lembi di questo duplice contrasto non è cosa facile. Anche perché, culturalmente parlando, l’Europa nel suo insieme sembra essere sempre più vittima dell’ipnosi pacifista. Detto altrimenti: non riesce più a pensare la guerra (**).

Inoltre, le cose rischiano di farsi ancora più complicate a causa del pericolo – incombente – che non pochi stati europei cadano nelle mani di una destra che non ha mai veramente fatto i conti con il fascismo e che in alcuni casi è finanziata addirittura dalla Russia.

Il problema è che questa Europa, divisa e disastrata non può fare a meno degli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti possono fare a meno dell’Europa. Il che spiega la linea dura di Trump. Che ritiene di detenere il coltello dalla parte del manico.

Riassumendo, l’Europa, senza Stati Uniti ha tre possibilità, l’indifferenza, il tira  e molla, lo sforzo militare.

L’indifferenza e il tira e molla sono le due facce della medaglia celebrativa delle fine dell’ Occidente. Mentre l’intensificazione dello sforzo militare guarda in prospettiva al recupero di un’Europa egemone capace però di tornare a dialogare con una America dopo Trump. Bonificata insomma. Per alcuni osservatori, considerate le caratteristiche strutturali del fenomeno Trump (populismo, fascismo, mazionalismo) si tratterebbe però di un’utopia.

Sul punto esiste un altro problema: l’intensificazione dello sforzo militare richiede tempo e scelte strutturali. Per sostituire, al minimo sindacale, il partner americano potrebbe non bastare un lustro. Mentre Kiev ha necessità di aiuti immediati e soprattutto che non si interrompa il flusso.

Come si può intuire sul piano delle scelte concrete non esiste la soluzione miracolosa perché indifferenza e tirare a campare favoriscono l’egemonia russa sull’Europa. Per contro, lo sforzo militare implica un enorme e costoso riorientamento organizzativo e industriale.

Ovviamente, per chiunque condivida i valori liberali, la sfera europea della tradizione occidentale va difesa a ogni costo. Per contro, per le masse, in larga parte prive di sentimenti liberali, è la pace che va difesa a ogni costo. Pertanto il rischio è che la gente comune non comprenda, e che perciò l’ élite liberale resti prima inascoltata, poi isolata, infine condannata alla sconfitta totale.

Per capirsi, affiancare l’Ucraina in questo momento, assume lo stesso valore eroico e rischioso della carica della cavalleria italiana di Isbuchenskij, 23 agosto 1942. Allora, pur riportando notevoli perdite, gli italiani ebbero la meglio sul nemico russo. Ci auguriamo perciò che Macron, Starmer, eccetera, sappiano bene ciò che fanno. Perché 30 mila soldati francesi in Ucraina sono una goccia nel mare. Pertanto o si fanno le cose come vanno fatte  o meglio restare a casa, evitando coinvolgimenti tira e molla. Infine per Giorgia Meloni, appollaiata sulla spalla destra di Trump il problema non sussiste.

Insomma, qualcosa si muove, non tutto è perduto, però ci vuole coraggio e intelligenza degli eventi. Altri, più bravi di noi, come l’amico professor Molina, la chiamano immaginazione del disastro.

 

Carlo Gambescia

 

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/ .

(**) Approfondiamo il concetto qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2022/02/loccidente-e-lincapacita-di-pensare-la.html

giovedì 20 febbraio 2025

Trump straparla

 


Trump ha insultato Zelensky. Straparla. Del resto Trump ha insultato per anni Barack Obama asserendo che non era nato negli Stati Uniti e che perciò poteva essere un pericoloso agente islamista:  una specie di terrorista dormiente infiltratosi alla Casa Bianca.

Perciò che prima o poi se la prendesse anche con Zelensky era cosa scontata. Il grande Jannacci, per citare da “Silvano” , gli consiglierebbe di “sfoderare scuse plausibili e di scacciare il bisogno del passero”…

Battute a parte, la reazione di Zelensky è stata esemplare, elegante, da statista: “Trump vive in un bolla di disinformazione russa”. Dopo di che ha ribadito, distinguendo con sagacia tra proprietà e dipendenti, la sua fiducia verso la macchina della diplomazia statunitense.

Un passo indietro. Obama, pur non essendo obbligato a farlo, esibì il suo certificato di nascita, prima l’ estratto, poi l’integrale. Niente. Probabilmente Trump crede tuttora che Obama sia un infiltrato. Come pure crede che gli abbiano sfilato illegalmente la vittoria nel 2020, e così via.

Ora, che, in occasione dei funerali di Carter, Obama non abbia preso Trump a calci nel sedere è un fatto che rimanda alla sua fortissima capacità di autocontrollo (infatti, nei video della cerimonia gli sorride amabilmente). Una caretteristica più volte mostrata nel corso dei due mandati.  Senza dimenticare  il grande rispetto che Obama nutre per le istituzioni. Cosa che Trump neppure si sogna.

Cosa vogliamo dire? Che Trump, che non solo ha insultato Zelensky ma ha detto le solite bugie ( che Zelensky avrebbe iniziato la guerra, che si è pappato i soldi americani, che non è stato eletto democraticamente), difficilmente sarà messo a tappeto a colpi di fact-checking.

Detto altrimenti, se si crede che per liberarsi di Trump, basterà schierare Karl Popper, il rischio è quello di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Smentirlo, anche in modo rigoroso, non serve a nulla. Andrebbe comunque avanti come un treno. E per una semplice ragione: il consenso politico a Trump, come fu per altri pericolosi agitatori carismatici del secolo scorso, nasce dallo sciamanico appello, in cui Trump è abilissimo, non alla parte razionale degli elettori ma a quella irrazionale. Perciò più si fanno le pulci alle sue asserzioni, e le si scopre false, più i suoi elettori, anche potenziali, non ascoltano e gridano al complotto, rispondendo in modo irrazionale. Guai a toccare loro il pupazzetto a molla con il ciuffone.

Trump perciò è in una botte di ferro. E' il resto del pianeta che non lo è. Un premio che Trump non meritava. Perché consapevolmente o meno, ha rotto il patto liberale, che, semplificando, vieta di calunniare un avversario, di mentire sul suo conto, eccetera.

Ovviamente, la vittoria della comunicazione digitale e il trionfo dei social hanno favorito tutto questo. Diciamo pure che la rivoluzione dei nuovi media ha potenziato il ruolo della menzogna in politica.

Su basi antiche però. Il Mein Kampf, sebbene racchiuda una montagna di bugie, è letto addirittura con rispetto e creduto forse da almeno un paio di miliardi di persone.

Come sosteneva Pareto resta insito nell’essere umano un residuo o istinto delle combinazioni. Cioè vi si ritrova quell’atavico gusto di mettere insieme spiegazioni misteriose con risposte misteriose. Se a fin di bene, siamo nell’ambito delle grandi religioni; se invece per altri scopi, magari illeciti, si ricade nel pericoloso giroconto della menzogna politica, che inevitabilmente rinvia alla terribile caccia al capro espiatorio.

Dicevamo del patto liberale. Parliamo di un appello alla ragione (quindi un fine). Perciò di non comunicabilità con tutto ciò che non è ragione (quindi mezzo). Come, per l’appunto, la politica intesa come trionfo della menzogna. E qui si torna a Trump che ha costruito una brillante carriera politica sull’uso sistematico della menzogna contro avversari e nemici.

Attenzione, anche Machiavelli parla dell’uso politico della menzogna. Però una cosa è considerare la menzogna come uno strumento, un mezzo, tra gli altri, della politica, un’ altra farne un fine per un suo uso sistematico, totalmente sganciato dalla realtà delle cose. Come per la panzana sull’atto di nascita di Obama, che probabilmente Trump continua a ritenere falso…

La perdita di contatto con la realtà, stando ai manuali psichiatrici, rinvia alla paranoia. Cioè a un soggetto che nutre sospetti, sfiducia e timore verso gli altri, irritabile, arrabbiato, depresso, in costante stato di allarme fisico e mentale, assolutamente incapace di porsi il problema dell’altrui prospettiva delle cose.

Si pensi a un soggetto instabile che chiede continua conferma a se stesso che la realtà sia come lui la vede. Di qui l’importanza della menzogna, come strumento di conferma, ma anche dell’automenzogna e degli stereotipi. Cioè, come dicevamo, ci si autoconvince che Obama sia un infiltrato islamista, anche perché il colore della pelle di Obama ci dice che non può non essere così.

Per dirla brutalmente, ciò significa che un politico paranoide ha scalato la Casa Bianca. E per la seconda volta. Qui il problema.

Come liberarsi di Trump? Difficile dire. Come gli si fa sparire quel “bisogno del passero”?  Quel  fare il prepotente  che gli ronza dentro il cervello? Anche per Basaglia potrebbe essere un problema. Di regola, come insegna la metapolitica, l’agitatore carismatico e paranoide si incarta da solo. Come Hitler e Mussolini ad esempio. Però dopo averne combinate di tutti i colori. Probabilmente non lo si doveva assecondare fin dall’inizio. Sul punto però l’Europa si è mostrata divisa. E ora Trump ha già azzannato Zelinsky. Per salvare Kiev potrebbe essere troppo tardi

Però una cosa è certa: basta con il fact-checking alle sue dichiarazioni. Come se Trump fosse una questione di filosofia della scienza. Purtroppo la conoscenza non è virtù. Se per lo scienziato due più due fa quattro, per il demagogo fa cinque, sei, sette e così via.

Gli esseri umani al conoscere preferiscono il credere. Di conseguenza, una volta rotto il patto liberale, scocca l’ora del demagogo, di colui che straparla.

Nel nostro caso le lancette ci dicono che è il momento di Trump. Quindi delle due l’una: o dirle più grosse di lui, cedendo però al populismo, oppure attendere che la “nuttata” passi, cercando di limitare i danni.

Ammesso e non concesso che si possano limitare.

Carlo Gambescia

mercoledì 19 febbraio 2025

Riyad. Gli ucraini devono rassegnarsi… Nessuna pietà per i giusti

 




Le analisi dei principi non portano molto lontano. Però aiutano a capire.

Se, ad esempio, sul suolo ucraino fossero presenti ingenti forze militari europee, Trump non si permetterebbe di estromettere l’Europa e l’Ucraina di Volodymyr Zelensky da quelle che sono definite ipocritamente trattative di Riyad per mettere fine alla guerra in Ucraina.

E qui veniamo ai principi. Gli strumenti per capire a cosa puntano gli attori politici.

Biden difendeva il principio che vieta la violazione della sovranità di uno stato da parte di una altro stato. Di qui la definizione dei russi come aggressori.

Trump invece crede fermamente nel principio della politica delle sfere di influenza. Di qui la tacita (per ora) definizione dell’Ucraina come stato separatista.

Biden era un idealista, Trump un realista. L’Europa, a sua volta, sarebbe idealista, ma non ha la forza per var valere le sue ragioni. Forza che invece aveva Biden.

Trump, infine, è un realista e un “forzista” (non abbiamo trovato termine migliore). Cioè possiede la forza per portare a effetto le sue decisioni, sbagliate o giuste che siano.

Putin è un realista, ma meno “forzista” degli Stati Uniti. Infine Kiev, nonostante l’abnegazione mostrata, non ha forza propria. Cioè dipende dagli alleati. Di qui, quella costitutiva debolezza, che spiega il brutale trattamento che l’Ucraina sta subendo a Riyad da parte di americani e russi.

Cosa può fare l’Europa? Potrebbe mettersi di traverso, cercando di guadagnare tempo, per riarmarsi e così rimettere in equilibrio le forze in campo.

Insomma muoversi in direzione di un rinnovato “forzismo”. È all’altezza di questo compito? No. E per due ragioni: sorpassate divisioni interne e pacifismo debilitante.

Pertanto sembra segnata la sorte dell’Ucraina, e in particolare di Volodymyr Zelensky, che rappresenta l’anima della resistenza ucraina. Che rischia grosso. Infatti potrebbe essere addirittura eliminato fisicamente. Come usa fare Putin – fine costituzionalista, come ora vedremo – con i suoi nemici, interni ed esterni. Quindi altro che le bacchettate sulle mani evocate da Lavrov,  maligna figura che sembra uscita  dalla penna di Charles Dickens.

Un capolavoro di realismo forzista, quasi a livello iconico, è rappresentato, come si fosse a teatro, dalla faccia bronzea di un Putin, autocrate a tutti gli effetti, al potere dal 2000, che però accusa Zelensky, eletto nel 2019, di aver violato la costituzione ucraina per il rinvio delle elezioni del 2024. Altrettanto meritevole di un Oscar all’ipocrisia è il silenzio americano su un’ uscita del genere. Ulteriore riprova dell’accettazione da parte di russi e americani del principio della divisione del mondo, fin dove possibile, in sfere d’influenza.

In qualche misura Washington e Mosca ragionano come i vincitori convenuti a Yalta nel febbraio del 1945 per decidere dei destini del mondo e in particolare dell’Europa. Stalin e Roosevelt, come oggi Trump e Putin, andavano molto d’accordo Churchill era più sospettoso, anche se alla fine dovette cedere. Sicché l’Europa fu divisa in due sfere di influenza. Per la cronaca (storica), gli Ucraini, già ribellatisi a Lenin, rimasero, prigionieri di Stalin, dietro la cortina di ferro.

Con gli esempi storici si può andare ancora più lontano, fino a risalire al discorso, sempre in termini di realismo forzista, riportato da Tucidide, che gli ateniesi fecero agli abitanti di Melo. In sintesi: “ Anche se non avete alcuna intenzione di attaccarci, non possiamo ammettere la vostra indipendenza, perché sarebbe di cattivo esempio per le altre città”.

Insomma, gli ucraini devono rassegnarsi… Nessuna pietà per giusti. Si chiama lezione della forza. O la forza c’è o non c’è. Purtroppo non basta essere dalla parte della ragione. Tutto qui. Che malinconia.

 

Carlo Gambescia

martedì 18 febbraio 2025

Vertice di Parigi. Altro flop europeo

 


A Parigi, come prevedibile, nulla di fatto. Un flop. Ne è prova l’anodina dichiarazione finale, condivisa dai capi dei governi di Francia, Italia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Danimarca, Polonia e Olanda, convenuti a Parigi, su invito di Macron e alla presenza dei vertici Ue e della Nato.

Sembra ci sia accordo su tre punti a dir poco astratti: a) la necessità di condividere le scelte con gli Stati Uniti; b) l’esigenza di garantire una pace giusta e 3) di proteggere l’Ucraina. Di truppe europee sul terreno neppure a parlarne (*).

A quanto pare si sono dichiarati favorevoli solo Gran Bretagna e Francia. Inoltre non si capisce bene l’eventuale collegamento, ammesso che esista, tra truppe Nato e truppe, diciamo, europee. Anche perché un vero e proprio esercito Ue non esiste ancora.

Perché un flop  prevedibile? Per due ragioni: 1) al momento, militarmente parlando, non tanto per le potenzialità dell’industria bellica, quanto per questioni organizzative (esiste la Nato, ma non una Nato, per così dire europea), l’Europa non spaventa nessuno. Anche singolarmente, paesi come la Gran Bretagna e la Francia, non hanno le risorse materiali per intervenire in modo durevole e convincente (e vincente) in Ucraina; 2) sulla questione militare l’Europa è disunita. Inoltre va considerato che a Parigi, Italia a parte, erano presenti paesi dalle posizioni abbastanza vicine sulla necessità che l’Ucraina continui a esistere come paese sovrano. E per fortuna, viene da dire...

Del resto all’interno delle istituzioni Ue, come si denota dall’astuta dichiarazione della regina del doppiogioco, Giorgia Meloni, decidere per una stretta militare sarebbe ancora più complicato. Dal momento che l’unanimità, criterio base nelle decisioni europee, impedirebbe qualsiasi rapida soluzione.

Il che spiega l’improvviso e peloso europeismo istituzionale della Meloni. Come pure spiega il tentativo extra-istituzionale dell’incontro parigino di Macron: per fare più in fretta o comunque inviare a Trump e Putin, un segnale che c’è vita su Marte.

Purtroppo, soprattutto in politica, le buone intenzioni, con riguardo ai fini, non servono a nulla, se l’azione che ci si propone di compiere è priva di mezzi sufficienti per portarla a effetto. Ammesso e non concesso che l’Europa riesca a sedersi intorno allo stesso tavolo con Putin, Trump, Zelensky, la sua pistola sarà comunque scarica. Come dire? Forza deterrente pari a zero.

Il che spiega l’atteggiamento prepotente di Trump e Putin nei riguardi di un’ Europa che ritengono debole e incapace di andare oltre le dichiarazioni di intenti. Come pure la sfrontatezza di un Vance, che a Monaco, presentandosi come campione di libertà, ha però rilanciato le stesse accuse reazionarie di Putin contro l’Europa.

Di conseguenza come non giudicare penosa l’evocazione europea della presunta necessità, già respinta dagli Stati Uniti, di scelte condivise?
 

In politica la minaccia è fondamentale, ma per minacciare si deve essere credibili. E l’Europa non è credibile. Quindi, ripetiamo, non fa paura a nessuno.

Su queste basi oggettive il margine di manovra europeo è quasi pari a zero. Anche perché la Nato, senza un impegno diretto degli Stati Uniti rischia il naufragio politico e militare. Certo, si può sperare che Trump faccia un passo indietro. O che Kiev travolga con un attacco improvviso le forze russe. E così via…

In realtà, come insegna la saggezza, popolare chi di speranza vive, disperato muore.

Il flop di Parigi, e quello, qualche giorno fa, di Monaco, conferiscono alla situazione quell’aria di cupezza che pervade certi momenti tragici della storia quando, rispetto all’evoluzione negativa dei fatti, l’uomo non può che assistere impotente alla propria o altrui rovina.

Che poi il senso di impotenza abbia origine in errori passati che si potevano evitare, eccetera, eccetera, nulla toglie nulla aggiunge alla gravità di una situazione. Anche perché non è certo questo il momento della caccia al colpevole, sebbene l’ incapacità europea di “pensare la guerra” abbia le sue radici in una visione utopica. pacifista e socialista del futuro dell’umanità.

Servono munizioni, armi e soldati. Non chiacchiere umanitarie.  E in tempi brevissimi. Ma come? Se l’Europa manifesta, ancora un volta, tutta la debolezza di un  baloccarsi, volente o nolente, con le dichiarazioni d’intenti?

Carlo Gambescia

 

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/02/17/leuropa-si-spacca-sullinvio-di-truppe-in-ucraina.-telefonata-macron-trump_4b0641d7-ce74-4cf9-b44e-75295ecb79b0.html .

lunedì 17 febbraio 2025

Trump e l’inutilità del male

 


Si pensi alle decisioni prese da Trump. Sembra avviarsi sulla strada del male. Ovviamente non in senso teologico.

Trump rischia di stravolgere la storia di chiunque si trovi sulla strada di Washington, dagli stessi cittadini americani che non la pensano come lui ai migranti che hanno l’unica colpa di cercare come i famosi Pellegrini una vita migliore.

Il male come atto autolesivo e lesivo. Autolesivo per i governanti, lesivo per i governati. Un inutile suicidio collettivo.

Si rifletta sulla scelta trumpiana di isolare gli Stati Uniti o comunque di separare il destino politico di Washington da quello dell’Europa. Insomma di fare in modo che gli Stati Uniti procedano in perfetta solitudine, magari quando necessario con l’aiutino di altri stati, come l’Italia ad esempio, ideologicamente affini. Chiamandoli a sé, si badi, in funzione non di efficaci mediatori ma di semplici esecutori.

Purtroppo, sotto questo aspetto, la scelta di Trump, prova per l’ennesima volta, quanto la storia, come ricostruzione del passato, non sia maestra di vita. Inoltre certifica anche un’altra cosa, importantissima: che gli esseri umani, soprattutto nella sfera della politica, un ambito che dalla lezione della storia avrebbe tanto da imparare, sono dominati più dalle passioni che dagli interessi.

A riprova di questa nostra affermazione si pensi alla natura autolesionistica di certi atti sconsiderati, proprio sotto l’aspetto di quel calcolo degli interessi, che, come spesso si dice, caratterizzerebbe il comportamento umano: dal cameriere che ruba sul resto, rischiando il licenziamento, quindi di finire al verde, al Presidente Trump che ruba ciò che resta dell’Idea atlantica, rischiando di favorire i nemici dell’Occidente, e quindi anche degli Stati Uniti.

Cosa insegna la storia americana? Che è bene per gli Stati Uniti rafforzare i legami con l’Europa, politici, culturali, economici. Soprattutto la storia del Novecento insegna che l’isolazionismo non paga. Il ripiegamento interno americano, tra le due guerre, favorì l’ascesa dei fascismi e il consolidamento del comunismo sovietico.

Per contro, dopo il 1945 e più o meno fino al primo mandato di Trump, i rapporti tra Stati Uniti ed Europa sono stati più che accettabili. Tutti i presidenti che si sono succeduti, con l’interludio del primo mandato di Trump, non hanno mai messo in discussione, al di là di alcune lievi frizioni (ai tempi di Nixon, Reagan, Bush figlio), l’importanza della comunità atlantica. Washington guardava con favore all’alleato europeo. Forse qualche volta a fare i capricci era l’Europa: si pensi all’antiamericanismo di Charles de Gaulle. Oppure alle proteste contro la Nato, che vedevano, non solo in Italia, comunisti e fascisti in perfetta sintonia.

Da ultimo, l’ interludio Biden ha visto Europa, Nato e Stati Uniti magnificamente schierati insieme in difesa dell’Ucraina aggredita da Mosca.

Trump è contro tutto questo. Per capirsi: è come se durante la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti fossero rimasti indifferenti fino all’ultimo all'  aggressione nazifascista in Europa.

E forse le cose sarebbe andate così se il Giappone, terza pedina del Tripartito, non avesse attaccato Pearl Harbour e Hitler e Mussolini dichiarato guerra agli Stati Uniti quattro giorni dopo, l’11 dicembre 1941. E qui va detto che l’allora presidente Franklin Delano Roosevelt, un democratico, pur non essendo della stessa stoffa di Trump, non era in linea di principio un interventista.

Sembra impossibile che Trump non conosca la storia del Novecento americano e nulla sappia del gigantesco errore di impedire l’ascesa di Hitler nella Germania degli anni Trenta. Sia come sia, questa torsione cognitiva lo porta a commettere lo stesso errore verso l’espansionismo di Mosca e l’ascesa dell’estrema destra europea, passata molto in fretta dal culto di Putin a quello di Trump. Anche se in realtà la destra europea apprezza sempre l’uomo forte, a prescindere dal colore politico o dalla nazionalità. Quindi può tranquillamente tenere il piede in due staffe.

Trump si lascia trascinare dal suo odio atavico per la sinistra, e in particolare per l’establishment americano ed europeo, che come da leggenda complottista, egli vede stracolmo di pericolosi intellettuali comunisti e politici “wokisti”. Ammesso non concesso che il wokismo sia pericoloso non lo sarà mai quanto una riedizione del nazifascismo. Pensare - ci si perdoni il parallelo improprio  -  in caso di vittoria totale "wokista"  a sei milioni di " maschi patriarcalisti"  gassati  è  ridicolo. 

Trump non ragiona, non calcola, odia. Si potrebbe fare un parallelo con Roosevelt che a Churchill preferiva Stalin. A un ironico conservatore europeo, preferiva un gretto contadino georgiano. Dal momento che Roosevelt, con ingenuità inconsueta nel politico navigato, riteneva il primo falso, il secondo sincero.

Un uso razionale della storia ( l’ esperienza della tremenda avventura hitleriana) e il calcolo ( a chi conviene la caduta della Gibilterra europea?) avrebbero dovuto spingere Trump verso l’Europa: questa importante appendice del continente eurasiatico. E invece l’odio per i Churchill di sinistra lo spinge a favorire gli Stalin di destra.

Trump ha scelto il male. Però un male inutile. A quale scopo  si rischia di infierire sull’Europa, sugli Stati Uniti, sugli equilibri mondiali? Per favorire Mosca che il male lo pratica in modo sistematico, quindi utile. O peggio ancora per incoraggiare la vittoria di un’estrema destra europea che lo ricambierà, alla prima occasione, con il tradimento, proprio perché nazionalista.

Il nazionalismo come Saturno divora i suoi figli. Trump, che ora divora, rischia di essere divorato.

Un male inutile e suicida.

Carlo Gambescia


domenica 16 febbraio 2025

La destra arsenico e vecchi merletti

 


Esiste una destra, a destra dell’estrema destra. Per capirsi un’estrema destra al quadrato.

Si tratta di una poltiglia culturale. Uno stagno, dai cattivi odori, acqua ferma insomma, che in genere raccoglie i falliti dell’estrema destra: coloro che non sono riusciti a diventare deputati con l’estrema destra parlamentare, quella in doppio petto diciamo, o perché mai candidati o perché non votati. Rifluiti, per la serie la volpe e l’uva, verso l’estrema destra al quadrato.

E che per quest’ultima ragione, che talvolta fa addirittura aggio sull’odio verso la democrazia liberale, appena possono sputano veleno sulle istituzioni liberali. Guai però toccare loro la memoria del Duce (sempre con la maiuscola) e delle “conquiste” del Fascismo (altra maiuscola).

Insomma, una cosa tipo arsenico e vecchi merletti.  Per reinventare il titolo di un vecchio film.

Arsenico, perché si usa la democrazia contro la democrazia, dal momento che un volta al potere la destra al quadrato, come lo scorpione di Esopo, pungerebbe inevitabilmente la rana. Come? Cancellando ogni libertà.

Vecchi merletti perché si abbellisce, si immerletta  la memoria politica del fascismo e del nazionalsocialismo. Regimi dediti all’uncinetto, si dice, che come le buone nonne di una volta, al momento opportuno, allungavano un meritato schiaffetto al nipotino discolo.

In realtà, i cantori dei dittatori si fanno belli del proprio percorso politico. In effetti molti di costoro hanno alle spalle una lunga storia di contestazioni interne all’estrema destra. Oggi sono assai critici verso Giorgia Meloni, liquidata come   sporca moderata, come un tempo erano contro Fini, giudicato peggiore di Badoglio, e prima ancora contro Almirante e Michelini, definiti anch’essi, pur con sfumature differenti,  morbidi.
 

Per questi personaggi grotteschi, perfino la Fiamma di Rauti, che non condivise la svolta politica finiana, era al servizio dell’Oro e non del Sangue, per usare la terminologia cara agli orfani del Duce ( con maiuscola d’ordinanza).

Ovviamente, quando si va a indagare si scopre, come dicevamo,  che alle origini dei contrasti c’è sempre il rifiuto di una candidatura o di una carica da parte dei futuri “badogliani”.

Di conseguenza, come una enorme palata di pellet nella caldaia di casa, l’ aggressione russa all’ Ucraina ha rimesso in circolazione soprattutto sul Web l’estrema destra al quadrato.

La cosa curiosa è la pelle di agnello di cui si ricopre.  Sembra dica cose di buon senso, fino a quando, ovviamente, il discorso non cade sui migranti e  sull’ordine pubblico.

Si predica la pace e ogni tipo di garanzia sociale (eccetto che per i migranti) e si civetta con il pensiero anticapitalista e antiliberale. Si chiama anche rossobrunismo.

Si noti però una cosa (quando si dice il caso…): il pacifismo predicato dall’estrema destra al quadrato porta a fare il tifo per personaggi come Putin e Trump. Ammirati, cosa che non si ammette pubblicamente, perché portatori di una cultura politica gerarchica e autoritaria.

Però Putin e Trump pacifisti non sono. Oppure se lo sono, il loro pacifismo ricorda quello di Hitler e Mussolini, che nel 1938, usarono la Conferenza di Monaco come prosecuzione degli ideali di guerra, nascondendosi però, come Mussolini, dietro l’altarino di una momentanea pace. Un anno dopo Hitler invase la Polonia. E nel 1940, Mussolini, aggredì una Francia prostrata.

Oggi Putin vuole l’Ucraina, e chissà cos’altro; Trump, come dice, la Groenlandia e il Canada. Proprio come Hitler e Mussolini che, pur continuando a evocare la pace ( il primo addirittura dai tempi della rimilitarizzazione della Renania, il secondo dopo l’aggressione all’Etiopia), aspiravano a mettere sotto i piedi Europa e Stati Uniti.

Putin e Trump non sono credibili. Se non agli occhi di grotteschi personaggi, con pretese da influencer neofascista, che purtroppo  popolano la non proprio piccola bottega degli orrori dei social.

Si gioca sulla mancanza di cultura storica nei lettori ( e diciamo pure di senso critico), per riproporre la stantia versione, già apprezzata negli ambienti neofascisti, del Duce Uomo di Pace, del Duce degli Umili, di Hitler costretto a difendersi da Cechi e Polacchi, e così via.

Sono gli stessi svergognati, mai dimenticarlo, che oggi presentano, alla stregua della propaganda fascista e nazista di ieri, Putin e Trump come uomini di pace.

La vulgata sembra essere la stessa: la piccola Russia che deve difendersi dalla gigantesca Ucraina, come la piccola Germania di Hitler doveva parare i colpi dalla gigantesca Cecoslovacchia. Con Trump nella veste pacifista del Mussolini di turno.

Definirle menzogne è poco.

Ecco perché chiunque abbia memoria delle nefandezze fasciste e naziste dovrebbe evitare di concedere spazio a questa gente…

Carlo Gambescia

sabato 15 febbraio 2025

“C’è un nuovo sceriffo a Washington…”

 


Per il riarmo ci vuole tempo. All’Unione Europea, qualora nei prossimi anni ( a cominciare dalle prossime elezioni tedesche) riesca a uscire indenne dalla sfida interna delle destre populiste, autoritarie e in odore di fascismo, servirebbe, cominciando però da ora, almeno un decennio per costituirsi in forza armata unitaria e riorientare la produzione bellica (*) .

Attualmente (dicembre 2024) si è avuta solo la timida nomina a un incarico nuovo di zecca, quello di Commissario europeo per la difesa e lo spazio, del lituano Andrius Kubilius: un professore, di orientamento cristiano conservatore e membro del Ppe. Per dirla in tutta franchezza: un pesce fuor d’acqua.

Ovviamente esiste tuttora la Nato. Però come? Con le pesanti riserve di dover finanziare economicamente un’ alleanza militare, piegata, come mai in passato, agli interessi americani. Dal momento che secondo la dottrina Trump l’alleato europeo o esegue quel che impone Washington o viene emarginato.

L’ estrema debolezza europea spiega l’arroganza di Vance e Trump. I fatti – la inesistente forza militare – giocano contro l’Unione Europea.

Vance, durante la conferenza di Monaco (corsi e ricorsi infausti), cosa che nessun commentatore ha sottolineato, oltre a mostrare un atteggiamento di disprezzo (anche fisico, si pensi alla sua postura da alto ufficiale della Wehrmacht)  verso i leader europei presenti, ha argomentato  dal punto di vista esclusivo della superpotenza americana. Per dirla alla buona: o così o pomì.

Per contro, i suoi continui riferimenti a un presunto tradimento da parte dell’Europa del valore occidentale di libertà lasciano il tempo che trovano. Dal momento che non sono certo i leader europei a “consigliare” Kiev di cedere più di un quinto del suo territorio all’invasore russo. O, peggio ancora, a tessere le lodi di una estrema destra europea in numerosi casi finanziata da quel campione di “liberalismo” che risponde al nome di Putin.

Sembra veramente di vivere in una specie di incubo politico. O per meglio dire, nel mondo alla rovescia.

Tutti ricordano, la battuta di Alberto Sordi, ingenuo tenente di un esercito italiano in procinto di sbandarsi, l’otto settembre del 1943: “Comandante, i tedeschi si sono alleati con gli americani!”. E in sala, tutti a ridere, perché, anche il più ignorante degli spettatori, ricordava che i tedeschi sparavano agli italiani, perché questi ultimi finalmente avevano capito da quale parte stare. Quella dell’Occidente liberal-democratico.

Sordi alla fine del film, giunto in modo avventuroso a Napoli, durante le Quattro Giornate, imbraccia la mitragliatrice e spara contro i soldati di Hitler. La nuova Italia e la nuova Europa non porsero l’altra guancia.

E invece cosa è successo ieri? E non è una battuta… Che gli americani si sono alleati, o quasi, con i russi: i nemici della liberal-democrazia. Qualcosa di incredibile. E per giunta, Vance, l’aiuto del “nuovo sceriffo in città” (così ha definito Trump), ha avuto la temerarietà di tenere una lezioncina sulla libertà all’Europa.

Capito? Trump caccia l’Associated Press dalla Casa Bianca perché continua a scrivere Golfo del Messico, e Vance liquida l’Europa come la nuova Unione Sovietica. E, quando si dice il caso, chiede ai tedeschi di votare domenica prossima per un partito neonazista.

Che fare? Sul piano europeo, va raccolta subito la gloriosa bandiera dell’Occidente insozzata dalle parole di Vance. Anche perché non tutti i cittadini americani sono dalla parte di Trump. E il magnate, che si è circondato di suprematisti bianchi, a cominciare da Vance, potrebbe commettere qualche passo falso. Anche se, per ora, ne dubitiamo.

Va lanciato un coraggioso messaggio all’America che non sta con Trump. Va stabilito un ponte con gli oppositori. L’Europa deve mostrarsi aperta e pronta ad accogliere i possibili rifugiati politici e non. A cominciare proprio dai latinos respinti alla frontiera del Messico o addirittura imprigionati  e  deportati. Inoltre, prima che sia troppo tardi, l’Europa deve investire in armamenti e puntare su una forza armata unica, capace, se necessario, di sostituirsi alla Nato.

Al momento, e al di là della pur gravissima situazione in cui rischia di trovarsi Kiev, una grave sfida all’Europa può essere rappresentata dal non così remoto pericolo dell’ occupazione militare della Groenlandia da parte degli Stati Uniti (**). Del resto, Trump, uomo dalle decisioni improvvise, rappresenta un pericolo anche per la libertà e l’indipendenza del Canada.

Come reagire? Si possono dare prove di fermezza quando manca la forza militare?

Sintetizzando, quanto detto fin qui, andrebbe recuperata, senza perdersi in chiacchiere, la vittoriosa cultura militare e liberale del 1945. Il che però come abbiamo detto richiede tempo e sintonia politica, al momento assente in un’Europa, quasi per più di metà “trumpizzata”. Ma se mai si comincerà, eccetera, eccetera.

Sì, cari lettori, c’è un “nuovo sceriffo a Washington”. Ed è un fascista, o qualcosa che gli somiglia molto. “Comandante, i tedeschi si sono alleati con gli americani!”.

Shock che va superato. Come però? Puntando sulla consapevolezza che ogni euro investito in armi e truppe europee, è un euro di libertà non solo per l’Europa ma anche per gli Stati Uniti e per tutti coloro che credono sinceramente nei valori liberal-democratici dell’Occidente e che non vogliono piegarsi ai suoi nemici interni ed esterni.  Quindi le spese militari e per gli armamenti, come è stato anticipato anche in sede Ue, sono poste che vanno iscritte fuori bilancio.

Nemici dell’Occidente dicevamo. Ai quali ora si è aggiunto anche Trump. Nemico interno.  Che ieri a Monaco ha parlato per bocca del Feldmaresciallo James David Vance.

Carlo Gambescia

 

(*) Per una veloce informazione in argomento si veda qui: https://pagellapolitica.it/articoli/difesa-comune-esercito-unione-europea .

(**) Ne abbiamo scritto ieri. Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/02/nuuk-in-cambio-di-kiev.html .