Il selfie, dio, la carne e il diavolo
Sorridono
felici, sapete chi sono? Scafisti, poi
arrestati dalla polizia italiana, che prima di partire con il solito carico di disperati,
si sono concessi un selfie sulla plancia della loro bagnarola.
Poveracci. Ma anche Obama, che proprio povero non è, mostra di gradire l'autoscatto.
Inutile
fare i moralisti, il selfie cattura l’attimo
fuggente in un universo sociale dove tutto scorre a duecento all'ora. Altro che capitano mio capitano... Si è soli in pista. E tutto corre per per tutti: dallo scafista mascalzone al
presidente del politicamente corretto. Non è una questione di “liquidità”, come
asserisce quel chiacchierone mai veramente pentito di Bauman, ma di solidità. Certo, dell’immagine e dello stile di vita. È il capitalismo bellezza: con una mano dà con una mano toglie. A differenza del comunismo che ti toglieva tutto, arrivederci e grazie.
Anche perché la volontà di lasciare un segno, fosse pure un autoscatto, è lì da sempre, più forte di qualsiasi rappresentazione, liquida o meno, della società: dietro il selfie si nasconde quella fame di eterno, che da migliaia di anni taglia in due l'anima dell'uomo, lasciandola sospesa tra cielo e terra. Ovviamente il selfie è terra terra. Nel senso che appaga la carne: mi selfo
dunque sono. E lo spirito? A quello ci
pensano i network sociali, naturale pendant dell'autoscatto: reti che però più che comunicare giudicano e che perciò rappresentano dio nell’epoca
della riproducibilità tecnica. O il diavolo?
Carlo Gambescia
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