Democrazia elettronica?
No,
grazie
Esiste un’ideologia “tecno-entusiasta”,
generalmente di sinistra, erede degli sproloqui sessantottini, che scorge nel
Web lo strumento per eccellenza di una futura democrazia totale.
Non diciamo nulla di nuovo. Si tratta di una critica già brillantemente
avanzata qualche anno fa da Andrew Keen, professore di scienze sociali,
imprenditore informatico e autore di The
Cult of Amateur. A suo avviso la Rete sarebbe il regno del narcisismo digitale e
del dilettantismo. Milioni di persone, che senza alcuna preparazione specifica
si danno sulla voce, parlando di tutti e di tutti. Ma, soprattutto, di se
stessi.
Si tratta indubbiamente di un libro molto polemico, che rinvia a un elitismo
conservatore, molto anglosassone, che ama andare controcorrente, talvolta a
tutti i costi. Non ci sentiamo però di dare torto Keen. E in particolare sulla
qualità di ciò che si produce, culturalmente e politicamente, ogni giorno sul
Web.
Chi scrive ne ha viste di tutti colori: commenti offensivi, stupidi,
egocentrici. Di più: grazie alla facilità del “copia e incolla”, pratica
giustificata dallo sballato principio che online tutto debba essere gratuito e
prodotto dal basso, l’Amministratore (cioè il sottoscritto) si è ritrovato
citato e insultato in forum dai connotati ideologici a dir poco inquietanti.
Per non parlare dei plagi subiti.
Non desideriamo però commettere alcun peccato di narcisismo
digital-giornalistico. Abbiamo accennato alle nostre “web-disavventure” solo
per introdurre un argomento più nobile e interessante: quello della cosiddetta
democrazia elettronica. Fermo però restando un punto: la base sociale di
qualsiasi possibile democrazia elettronica resta, purtroppo, quella narcisista,
aggressiva, credulona e illetterata di cui sopra.
In argomento, c’è un bel libro, che si intitola appunto Democrazia elettronica (Editori Laterza),
pubblicato qualche anno da Daniele Pittèri, docente di Sociologia della
comunicazione politica e di massa alla Luiss di Roma.
Ne vogliamo parlare per un’ ottima ragione: si tratta di un volume che va
assolutamente letto, perché, a differenza dei fiumi di parole pubblicati in
argomento, assolve due funzioni importanti.
In primo luogo, trattandosi di un testo molto documentato, ci informa sugli
strumenti della democrazia elettronica: dalla posta elettronica al voto online.
E, in secondo luogo, aiuta a scoprire i possibili rischi di una forma di
partecipazione, dai tempi troppo rapidi e probabilmente poco favorevoli alla
riflessione. Ad esempio, votare istantaneamente e simultaneamente online con un
sì o un no a un certo quesito, potrebbe far scivolare la e.democracy verso
derive plebiscitarie.
Probabilmente, il problema della democrazia elettronica rinvia a una questione
normativa (etico-politica), di non facile soluzione: cosa si debba intendere
per democrazia.
Se si restringe la democrazia alla fase del dibattito pubblico, separandola da
quella dell’elaborazione tecnica e della decisione, che invece riguarda
Parlamenti e Governi, come sembra sostenere Pittèri, siamo davanti a una
visione restrittiva, ma tutto sommato realistica. Dove la democrazia è
essenzialmente “dibattito pubblico su”. Tuttavia, in questo modo la democrazia
elettronica, rischia di trasformarsi, come del resto già avviene ( ad esempio
con i sondaggi telefonici), in pura e inoffensiva trasmissione di orientamenti
politici su alcuni problemi, all’interno di priorità fissate dalla classe
politica.
Se invece si estende la democrazia, come auspica la teoria democratica, al
momento della decisione, si rischia di correre il pericolo contrario. Ovvero di
considerare in senso troppo estensivo la democrazia, fino ad escludere il
concetto stesso di classe politica. Ma fino a un certo punto... Si pensi, ad
esempio, a un ipotetico referendum online con valore abrogativo,
particolarmente gradito ai sostenitori della democrazia elettronica. In realtà,
però, i “rappresentanti del popolo” rientrerebbero subito in gioco, per
occuparsi della stesura “tecnica” della legge sostitutiva. Il problema è che la
tecnica, in quanto forma di conoscenza (anche in chiave di capacità
linguistiche e giuridiche acquisite), determina di per sé gerarchie tra chi sa
e chi non sa. Morale della favola: anche la democrazia elettronica “di massa” e
“diretta” non può non imporre l’esistenza di una classe politica.
Siamo perciò d’accordo con Pittèri, il quale non nutre aspettative messianiche
nei riguardi della democrazia online. Del resto, come accennavano, le classi
politiche tendono sempre a riformarsi per ragioni sociologiche legate alle
interazioni tra naturali differenze umane e condizioni sociali, economiche e
culturali. Detto altrimenti: il mondo sociale, si divide e dividerà sempre, tra
chi comanda e chi obbedisce. La democrazia, totale e diretta, è un mito.
A riguardo va rilevato un punto importante. Secondo Pittèri la e-democracy, col
suo principio della decisione digitale, trasparente, istantanea e di massa,
porta con sé il pericolo del possibile uso politico, sicuramente fuorviante, di
una devastante “logica della maggioranza”. Tradotto: sullo sfondo della
democrazia elettronica rischia di ergersi, minacciosa, la fosca figura del
“Grande Fratello” orwelliano, potenzialmente capace di influenzare e
strumentalizzare il voto elettronico. In che modo? Schiacciando la minoranza
sconfitta, in virtù - ecco il punto saliente - di un mandato conferito
direttamente da “sua Maestà il popolo elettronico”. Che, in linea teorica,
potrebbe sempre revocarlo. Ma come? Se anche la maggioranza “elettronica” si
comporrà, come ora sul Web, di narcisi, sprovveduti e ignoranti?
Carlo Gambescia