mercoledì 20 aprile 2011

Divagazioni su un must dell’individualismo moderno (e postmoderno)
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Caro diario…



Un post ( o quasi) in argomento, letto in giro e tra l’altro ben scritto, oggi ci spinge a riflettere, anzi a divagare, sul diario e dintorni. Perché si tiene un diario? Si scrive per se stessi? Si scrive perché un giorno qualcuno leggerà? Dipende. E da cosa? Dall' autorevolezza e dall' egocentrismo di chi vi si cimenti, incrociando la spada con il proprio Io, come impone la gabbia d’acciaio dei moderni, ancorché decorata di fiori di plastica.
Sotto quest’ultimo aspetto il diario rispecchia la parabola del moderno, con un’ultima fermata, non a richiesta, dalle parti delle narcisistiche periferie post-moderne popolate di blog e social network. Si potrebbe addirittura tracciare un grafico, con due curve sovrapponibili, e in crescita: da un lato l’ascesa dell’individualismo dall’altro il galoppante sviluppo della diaristica, letteraria e non, oggi addirittura viva e palpitante sulla Rete, punto di arrivo prediletto, tuttavia metastatico, di quel pervasivo narcisismo che ci invita tutti a regnare solitari nei nostri piccoli orticelli.
Secondo Aron Gurevič, eccellente medievalista polacco, il diario medievale era una cronaca storica di e per quei tempi: l’individuo restava sullo sfondo. A meno che non si trattasse di santi, re, e papi, tutti in luminosa interazione con i decreti di Dio.
È con l’età moderna, lungo una linea solipsistica, per alcuni discendente, da Peyps a Gombrowciz, che il diario prende sicurezza autobiografica per contrapporsi a storia e società; ma nel farlo, perde smalto si mondanizza e intimizza. Ai decreti di Dio sostituisce quelli del caso o le necessità del nulla.
In genere, oggi, non si scrive un diario solo per se stessi, ma, se si è scrittori, perché si pregusta in silenzio il piacere che qualcuno leggerà… se si è sconosciuti, perché non si sa mai… E, in tal senso, la post-modernissima forma-diario-blog riunisce le due necessità, frutto amarognolo di un un individualismo, che, per contrappasso, sembra perdere vigore e diluirsi in facezie, proprio nel momento in cui si democratizza. Nulla di nuovo, almeno secondo Tocqueville, profeta dimenticato.
Il diario, insomma, resta intimo nei propositi immediati, ma non nelle finalità ultime. Ne coglie bene il senso profondo Oscar Wilde, maestro, s’intende, di auto…ironia: “ Non viaggio mai senza il mio diario: bisogna sempre avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno” .
Ovviamente, anche il cinema se n’è impossessato. E in particolare del diario come invenzione letteraria: un diario per interposta persona, frutto talvolta di onanistiche ed egocentriche oppressioni letterarie. Tensioni interiori via via convertite in pavloviani riflessi venali, lungo una strada periclitante che va dal robusto Diario di un curato di Campagna all’esile Diario di Bridget Jones.
Come dire, dal problema del male al problema della dieta punti.

Carlo Gambescia

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