giovedì 7 aprile 2011

Il libro della settimana: Sergio Fabbrini, Addomesticare il Principe. Perché i leader contano e come addomesticarli, Marsilio 2011, pp. 206, euro 15,00.    
http://www.marsilioeditori.it/


Tempi duri per i veri leader, quelli che un tempo si chiamavano príncipi regnanti. Soprattutto perché la crescente personalizzazione della politica, segnata da frenetici lanci televisivi e sondaggi a tappeto, impone al politico di decidere in fretta. Cosa, come si intuisce, non sempre facile, poiché se per un verso la decisione impone rapidità, per l’altro il sistema politico democratico, implica procedure capaci di rallentare l’azione decisionale.
 A dire il vero, leader come Bush figlio e Blair hanno mostrato di saper prendere decisioni importanti in tempi piuttosto brevi. Decisioni, tuttavia, non sempre felici: si pensi alle invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Stessi esiti non positivi, ma in scala più piccola, per Sarkozy e Berlusconi, tuttora alle prese con problemi economici, sociali e, per il Cavaliere, anche giudiziari. Perciò, almeno il linea teorica il leader, soprattutto se già di suo poco amante delle regole, andrebbe addomesticato o quantomeno ammansito… Ma come? Intanto, secondo Sergio Fabbrini, professore di Scienza Politica, autore di un interessante studio in argomento (Addomesticare il Principe. Perché i leader contano e come addomesticarli, Marsilio 2011, pp. 206, euro 15,00) chi trova un vero leader trova un tesoro… Perché « la buona democrazia abbisogna di leader (donne e non solo uomini) che “sappiano mettere le mani negli ingranaggi della storia”, come diceva Max Weber (…), ma deve anche preoccuparsi che lo facciano per migliorare e non per peggiorare » . Giusto.
 Quanto ai controlli Fabbrini, che con occhio solerte indaga la democrazia di qua e di là dell’Oceano Atlantico, pone l’accento non tanto sugli aspetti procedurali quanto su quelli socio-istituzionali. Secondo l’autore « i meccanismi del controllo non risiedono solamente nel sistema di governo, ma anche nel sistema istituzionale e sociale. Gli organi di garanzia e la magistratura sono importanti per controllare l’esercizio del potere politico, così come il sistema dei media è cruciale per garantire la trasparenza di quest’ultimo. Tuttavia anche questi organi debbono essere sottoposti a controlli. In una democrazia liberale non vi sono poteri per definizione virtuosi e altri per definizione viziosi. Tutti i poteri sono portatori di interessi parziali, essendo l’interesse generale i risultato dell’interazione sistemica tra di essi ». Ciò significa - cosa che ci trova d’accordo - che vanno contrastati i conflitti di interessi, inclusi, come nel caso italiano, quelli tra magistratura e politica e fra politica e comunicazione. Qui però Fabbrini scende alla cattedra e sferra un violento uppercut al mento del Cavaliere, proprio in merito all’ «interscambio» tra chi controlla l’informazione e chi fa politica: «Quando si verifica questo interscambio (come nell’Italia di Silvio Berlusconi) vengono alterate le condizioni essenziali della competizione politica, oltre che gettate le basi di una personalizzazione incontrollata. Se è vero che la politica è divenuta sempre più comunicazione allora un’efficace legislazione del conflitto di interessi dovrebbe impedire il controllo ( e non solo la proprietà) di risorse comunicative o informative da parte di chi esercita il potere politico (…). E dovrebbe impedirlo attraverso l’azione di agenzie regolative costituzionalmente indipendenti dal potere politico. Se la democrazia elettorale richiede che i concorrenti per il potere politico abbiano le stesse opportunità di acquisirlo (temporaneamente), allora tale principio è svuotato di significato quando uno dei concorrenti controlla il potere informativo che può decidere l’esito della corsa» . Tuttavia, ci risulta che Berlusconi, nonostante le televisioni, due elezioni politiche su cinque le abbia perse. Perciò, in ultima istanza, il vero “addomesticatore” del leader resta il popolo sovrano. Che non sembra essere così bue o, come si dice oggi, videodipendente. O no? 

Carlo Gambescia

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